Quello attuale è un tempo molto difficile per essere scrittori, e lo è perché è molto ambiguo.
Non si è mai pubblicato e scritto così tanto, eppure si legge e si studia tendenzialmente poco.
Lo scrittore nel novantacinque per cento dei casi guadagna una miseria, e deve industriarsi in vari modi per sbarcare il lunario.
La scrittura deve competere con altri potentissimi media (tv, internet), ed è costretta ad adeguarsi alle leggi di mercato. Lo scrittore è divenuto davvero insignificante da un punto di vista sociale, ma anche culturale (gli scrittori vengono invitati in tv soltanto per parlare dei fatti di cronaca, e inoltre tendono a confermare il pensiero dominante anziché metterne in luce le falle).
E – forse la cosa più grave di tutte – ciò che Shoshana Zuboff chiama il santuario interiore, ovvero lo spazio del silenzio e della creatività profonda, è messo sotto attacco da un’incredibile frammentazione del pensiero (Le schegge, titolo dell’ultimo romanzo di Bret Easton Ellis, mi è parso quanto mai azzeccato al riguardo).
Ma già dalla seconda metà dell’Ottocento il ruolo dello scrittore si era problematizzato.
Non più foraggiato da un mecenate e non ancora libero professionista (ruolo che in Italia praticamente non esiste), lo scrittore si era via via isolato in mondi mentali – e talora anche materiali – periferici, dovendo sopportare il disconoscimento e la disillusione e pagando un prezzo altissimo dal punto di vista psicologico ed esistenziale (pensiamo a Melville, e più vicino a noi a Fitzgerald, solo per citare due fra i numerosi esempi possibili).
Io non so se la figura dello scrittore sparirà, soppiantata dalle serie tv, dall’intelligenza artificiale e dall’artificiale disperazione in cui siamo immersi (non è mica vero che se si sta male si scrive meglio; nella maggior parte dei casi se si sta male non si scrive).
So che lo scrittore vive con intensità questo tempo spaccato, paradossale e spesso irragionevole, un tempo che divora un libro al giorno, un tempo che elegge e dimentica capolavori con facilità sospetta, un tempo in cui non c’è più tempo.
E so che dall’intensità di questo vissuto, al di là di ogni ideologia, può nascere qualcosa di vivo e di duraturo.
Di questo ed altro parleremo Marco Guzzi ed io venerdì 1 dicembre alle h 18:00, presso la sede dell’Ance, a L’Aquila.
Non mancate !!!
Che bello caro Enrico!
Purtroppo, non potrò esserci ma aspetto con vivo interesse il video, quando ci sarà.
Nell’attesa dell’apertura di un ragionamento anche su Scienza e Rivoluzione, questo vostro incontro è preziosissimo.
Un abbraccio.
Dispiacendomi moltissimo del non poter venire…tra l ‘ altro nella cittá in cui ho passato gli ultimi vent’ anni della mia vita…spero che gli aquilani colgano questa importante occasione, d’ incontrare Marco dal vivo! È vero ció che dici; anche questo è uno dei tanti segni dei tempi che viviamo.
Carta scritta (e scritta a mano!)
Mano che dialoga con la mente, con la sua voce piú profonda.
Capace di raccontarsi e raccontare: essenziale per l’ umano, di ogni tempo! Per la sua conoscenza, crescita, condivisione. Leggere, scrivere, riflettere con calma; con piacere,
con gratuitá. Non è questo un pericoloso moto rivoluzionario?
Un silenzioso gesto, come quello di spegnere TV- PC- CELLULARE. E accendere la vita.
Ciao, Aquila bella mè! Brunella
Davvero un gran peccato non aver potuto partecipare in presenza a un incontro del genere… Mi sarebbe piaciuto molto.
Grazie a voi tutti, in ogni caso; a Marco e a Enrico, per quest’iniziativa. Attenderò con trepidazione che venga pubblicata.
Anche la scrittura oggi purtroppo si è asservita alle logiche del profitto, mentre già Oscar Wilde diceva che “tutta l’arte vera è inutile”; non che non serva a niente, ma proprio in-utile, che non porta né frutta, cioè, alcun UTILE (aziendale). Quando lo fa, a mio avviso, quando cioè si mette al servizio del dio Danaro, c’è un problema. E infatti non a caso oggi c’è un grande problema culturale: notiamo attività nel campo della “industria” editoriale e culturale (come oggi la si chiama) spuntare come funghi in ogni dove. Molte delle quali sono interessate solo a far soldi. E vengono anche ad adularti, quando gli presenti un manoscritto: sono disposte a pubblicarti purché tu paghi una somma di …
Il giovane Rimbaud era stato chiaro: “A me non interessa essere pubblicato; quello che conta è lo scrivere in sé”. Noi, specie noi di DP, potremmo tradurre tale frase anche con: “Importante è stare in e ricercare l’ascolto”.
Per me personalmente credo che ciò che conti maggiormente sia lasciare, in quel che si scrive (che sia tanto o poco), una piccola impronta di sé.. Un frammento della propria anima.. affinché qualcuno si ricordi che siamo esistiti.. che abbiamo provato a vivere e che abbiamo fatto del nostro meglio per umanizzarci in un mondo sempre più dis-umano..
Un immenso grazie ancora.
Con riconoscenza,
Simone
Davvero un peccato non aver potuto partecipare a un’iniziativa del genere. Grazie a tutti voi, soprattutto a Marco e a Enrico. Attenderò con trepidazione che venga pubblicata.
La scrittura è una forma di arte; e, come diceva Oscar Wilde, “tutta l’arte è inutile”. Non nel senso che non serve a niente, ma che è in-utile, non genera, cioè, né frutta alcun utile. È gratuita. E quando invece è imperniata sulla generazione di un utile (o profitto), come accade oggi in questo neocapitalismo liberale, c’è un problema.
Il problema è dato dal fatto che assistiamo a una proliferazione incessante di attività della cosiddetta “industria” editoriale e culturale (come la si chiama oggi), che spuntano come funghi sul panorama desertico della quotidianità occidentale e che puntano perlopiù solo a far soldi. Dove vengono persino ad adularti, allorché gli invii un tuo manoscritto, e che ti dicono di essere interessate a una tua pubblicazione.. purché tu versi una grossa somma di … tot Euro.
Abbiamo fatto anche dell’arte un oggetto di LUCRO. Ecco il dramma.
Il giovane Rimbaud diceva della scrittura che “l’importante non è essere pubblicati, ma continuare a scrivere”; noi in Darsi Pace diremmo, con altri termini, “continuare a restare in ascolto”. Poiché l’intelligenza universale, come la chiamava lui, non cessa di parlare.
Personalmente credo che ciò che conti di più nella scrittura sia lasciare un’impronta di sé e della propria anima.. a qualche eventuale postero oppure anche no.. Lasciare un frammento del proprio viaggio terreno alla scoperta di sé e dell’incondizionato.. una testimonianza della propria presenza.
E se non ci fosse nessuno a cui lasciare.. andasse pure tutto alla damnatio memoriae. Ma almeno per chi ha scritto avrà avuto un senso.
Un immenso grazie, in ogni caso, a tutti voi.
Simone
Concordo in pieno con te, Brunella!
Ciao a tutti, mcarla