Ascoltando il terzo incontro della seconda annualità, mi ha colpito la frase spesso sentita da Marco:
… e così ce ne andiamo nel mondo…intendendo: andiamo con le nostre belle maschere, create dalla paura per difenderci da noi stessi, dagli altri, e dall’ignoto che la vita ci prepara!
Poi pensando a questo, moltiplicato per milioni e milioni di altri che, con le stesse anche se differenti ragioni, lo replicano recitando i loro ruoli sul palcoscenico del mondo, ho visto il labirinto autistico in cui viviamo! Il mondo che il piccolo dittatore chiamato ego, in ognuno di noi, ogni giorno contribuisce ad estendere nelle vie di ogni dove; lastricate di solitudine sofferenza smarrimento distruzione.
E mi sono sentita perduta nella pesantezza di questo scenario, e nella mia impotenza.
Fino a quando mi sono chiesta: ma perché la maschera è così forte?
Eppure sperimentiamo quanto siano illusorie le sue rassicurazioni, incapaci di evitarci il soffrire!
Di cosa ho paura, in fondo, nel dire e fare ciò che penso e sono? Cosa mi può accadere di così terribile?
Se io mi presento a te senza me, e tu fai lo stesso senza te: cosa incontriamo, se non il vuoto di noi stessi?
È la mia vulnerabilità che m’insegna la paura, e quindi a mentire (tutti mentiamo, spesso senza saperlo!)
per proteggermi. Perché quella parte di me, che come una bambina spaventata sente tutta la sua impotenza fragilità precarietà della condizione umana, si rifugia nella menzogna di se stessa invece della verità che oltre a farmi stare meglio è l’unica in grado di liberarmi? Non dalle condizioni percepite che sono realistiche, ma dall’incapacità di affrontarle con le giuste misure: il kit che la vita confeziona in noi stessi
A poco a poco, sperimentando il lasciarci cadere nelle nostre profondità durante la pratica, possiamo riconoscere che non ci accade nulla di ciò che le ombre suggeriscono; ma al contrario, ci sentiamo meglio. Molto meglio, dei molti luoghi che frequentiamo fuori di noi, mascherati e quindi lontano da noi stessi.
Chissà, forse questo benessere è simile a quello che viviamo nelle acque materne, prima di nascere.
E forse, questo stato è l’anticamera di ogni nascita, alla quale siamo di continuo chiamati. Di vita in vita.
Di sponda in sponda, nel suo fiume inarrestabile, possiamo lasciare andare ciò che non seve più; e fiduciosi nel nuovo respiro donato, abbandonarci tra le braccia aperte della nostra umanità che dice: Io Sono.
E in questo abbraccio accogliere chi mi è accanto, cercando il suo volto, oltre la paura che lo nasconde.
Hai ragione cara Brunella,
la paura di mollare la maschera è così forte… anche se la sicurezza che ci dà è illusoria, non dura niente, sottopone a continuo stress, alla necessità di verifica costante… gli altri mi vorranno bene anche oggi, anche così? Mi vogliono bene perché non sanno come sono realmente? E se la maschera cade, se mi vedono come sono, io come faccio, sono perduto? E via di questo passo…
Eppure, è anche vero che nella meditazione si affacciano nuove possibilità. Emerge la possibilità lieta e quasi inaspettata di essere sé stessi e sentire che va bene tutto, per questo si è amati ed apprezzati di più che se portassimo la maschera, non il contrario! Come dici tu, non accade nulla di quanto le ombre suggeriscono.
Ma è una prassi, una pratica, non un ragionamento. Qualcosa di cui ci scordiamo, da ritrovare nella pratica stessa. Insieme alla gratitudine per tutti coloro che ci guidano e ci accompagnano in questo cammino, verso la profondità bellissima di noi stessi.
Grazie.
Grazie Brunella.