Come mai non c’è una sola realtà fra le cose create che possa soddisfare il cuore dell’uomo?
Questa constatazione, di tutte le tradizioni spirituali e di pensiero serie, dice molte cose sulle realtà create e sul cuore dell’uomo.
Sulle realtà create: tutto ciò che c’è in questo cosmo, dal pulviscolo alle stelle, è destinato a passare. Tutto ha un inizio, una durata e una fine. È la legge dell’entropia. Siamo dentro a processi e a processi di processi in cui ogni forma viene sgretolata e trans-formata per poi risgretolarsi di nuovo.
Nulla, insegnava il Buddha, ha una sostanzialità che permanga: tutto in questo mondo di cui facciamo esperienza è impermanente e non sostanziale. Siamo dentro un mirabile processo di produzione, distruzione e trasformazione che appresta spettacoli sublimi e struggenti e annullamenti terribili e spaventosi.
Per questo, anche la realtà più buona e bella, più gentile e onesta, è insoddisfacente. Queste sono dunque le tre qualità di ogni esperienza in questo mondo: l’impermanenza, l’insostanzialità, l’insoddisfacenza.
E questo dovrebbe far pensare al fatto che questa realtà in cui viviamo, in cui nulla è definitivo, sia una specie di scuola. Scuola in cui dobbiamo accorgerci proprio di questo: non c’è nulla che mi soddisfi; non c’è nessuna esperienza che mi possa dare il senso di una pienezza durevole; non c’è nulla in questo mondo su cui possa fondarmi.
Già: ma cosa c’è in me che cerca tale soddisfazione? Cosa c’è in me che rimane sempre deluso di fronte a tale ricerca di pienezza? Cosa c’è in me che cerca un fondamento che sappia di incondizionato?
Cosa c’è in me, in sintesi, che di fronte al tutto che è impermanente, non sostanziale e insoddisfacente, ricerca il permanente, il reale e il pienamente soddisfacente?
C’è in me qualcosa che vive in questo mondo, ma non sembra “di” questo mondo, poiché anela incessantemente a qualcosa di cui l’esperienza di questo mondo non ha traccia.
Questo è un secondo grande insegnamento di questa scuola: in me sembra che vi sia qualcosa che vive in questo mondo ma non è di questo mondo, proprio perché nulla in questo mondo le può corrispondere pienamente.
Facciamo un piccolo e semplice esempio che potremmo chiamare di “epistemologia” elementare: se io guardo la quercia che è fuori, nel mio giardino, in me si forma l’idea, l’essenza della “quercità”. Questa idea in me, l’intelligibile della quercia, è universale e eterna: ma nessuna quercia nel mio giardino o nel resto del mondo è eterna!
Ogni volta che il nostro intelletto estrae la forma intelligibile delle cose, “crea” in sé stesso qualcosa che non c’è: appunto una essenza eterna. E questo è, secondo me, il significato più vero (si potrebbe dire iniziatico!) della nozione medievale di verità come “adaequatio intellectus et rei”: se l’intelletto può cogliere ciò che nelle cose è eterno e immutabile (anche se nessuna cosa sensibile dell’esperienza è tale!) è perchè l’intelletto stesso è immortale e eterno o è parte o facoltà di qualcosa (che si può chiamare anima, spirito, coscienza o come si vuole) che è immortale e eterno.
Dunque: sia sul fronte della conoscenza sia in quello del desiderio facciamo in noi esperienza di una dimensione che si affaccia continuamente sull’incondizionato e che non può essere soddisfatta da nessuna realtà o situazione di questo mondo, essendo esso contingente e perituro. Alla fine, in questo mondo anche di ognuno di noi non resterà nulla: il corpo si dissolve; l’anima se ne va chissà dove, assorbita e compenetrata nell’Invisibile. Questo mondo, questa vita sembra davvero una scuola, una preparazione, una sorta di penultima fermata.
Ma cosa c’è in definitiva da imparare qua o da iniziare a imparare? L’abbiamo già detto: che tutto è insoddisfacente e che tutto passa; che in noi c’è una sorta di bussola che segna invece sempre il nord della pienezza della Vita e della Gioia, a partire da cui noi possiamo giudicare qualunque altra realtà che non corrisponda a tale intuizione; che quindi noi viviamo in questo mondo, ma apparteniamo a un altro mondo. Ma tutto questo cosa ci insegna o ci vuole insegnare infine? Qual è il motivo ultimo per cui tutti quanti siamo stati imbarcati in questa scuola?
Io lo esprimerei così: siamo qua per imparare, ognuno nella propria via e Deo concedente, a diventare Dio. Niente di meno. E questo perché per amare e conoscere Dio bisogna essere simili a Dio: solo il simile conosce il simile (e anche questa è una “adaequatio”, quella definitiva!).
Grazie per queste riflessioni.
Grazie Massimiliano Villani per il tuo contributo.
L’uomo cerca Dio, ama Dio ed entra in relazione con lui ma Dio rimane altro da noi, per fortuna.
Diventare Dio è il titolo di un testo che raccoglie parole di Meister Eckhart che è un mistico tedesco.
Il vitello d’oro è il rischio che corriamo ogni giorno perché in fondo mi sto facendo l’idea che l’uomo incarnato non può che, almeno in parte, metterci del suo anche nel proprio culto a Dio.
Io mi sento molto corruttibile, anzi mi sento sempre più piccola ed insignificante e bisognosa dell’aiuto di tutti
Tutto posso in colui che mi da’ forza è parola da meditare con grande umiltà.
A me piace molto la preghiera dell’Altissimo: Tu sei bellezza Tu sei speranza Tu sei forza. Tu sei il nostro gaudio, tu sei tutta la nostra letizia.
Credo che ogni uomo come dice marco possa farsi ed essere fatto un altro Cristo ma è argomento da sviscerare.
Tutto è vanità e forse nulla di noi rimane.
Questa è la esperienza che tutti ci accomuna e da cui partire
Grazie.
Silvia
Grazie caro Massimiliano per la profondità e la chiarezza della riflessione che ci offri.
Abbiamo ereditato un tempo faticoso da abitare eppure meraviglioso se ritorniamo a frequentare la scuola di cui parli. Luogo in cui ogni autorità del passato non condiziona e noi possiamo sentire lo spirito che siamo e partecipare al gioco della ricreazione in atto.
E’ la scuola della trans-figurazione in cui impariamo a sottoporci libera-mente alla plastica dell’Io, una scuola da frequentare con gioia ogni giorno se vogliamo rinnovare le nostre identità di maschi e femmine, di mogli e mariti, di padri e di madri e di figli, di insegnanti, preti, medici, politici imparando ogni giorno a liberarci un po’ di più da relazioni di possesso dentro e fuori di noi.
Pur avendo insegnato per più di quarant’anni, e avendo cercato una scuola così, pur avendo sofferto il cambiamento senza riuscire a leggerlo e interpretarlo standoci dentro, ORA nel laboratorio Darsi pace torno ad entusiasmarmi e ad abbandonarmi al Gioco ricreativo in atto perché sento vere per me queste parole:
Io stesso non sono una figura
Finita, ma un corso
Della vita, un suo discorso
Che nelle pause del sonno mi continua
A parlare di te.
(Marco Guzzi, Lora della ricreazione, in Per donarsi pag. 74-77)
Parole che non afferro, ma lascio affiorare e accadere in me abbandonandomi al Dio che scruta la mente e saggia i cuori e all’Uomo che sta sempre un passo avanti a me.
Giuliana
Grazie Massimiliano, mi coinvolgono molto queste tue riflessioni.
Perché mi ricordano qualcosa di cui una specie di forza gravitazionale, mi porta invece sempre a scordare. Che niente mi soddisfa veramente. Così che anche le giornate in cui è successo tanto di bello, di cui ringraziare il cielo, mi guardo tornare verso casa con un senso “misterioso” di amaro in bocca, come a dire “sì questo è bello, molto bello. Ma io voglio (anche) altro!” senza poter definire questo altro… o Altro.
Chi ha letto il diario di Pavese ricorderà quel suo celebre appunto: “A Roma apoteosi. E con questo?” Per contestualizzare: era il 1950, e Cesare aveva appena ottenuto il Premio Strega. Mica bruscolini, per dire.
Leggendoti mi ricordo di una mia “insoddisfacibilità strutturale” e mi acquieto, almeno un poco. Forse il problema di tanta mia distrazione, è farsi ipnotizzare dalla muse della pubblicità imperante, che ti dicono che la soddisfazione è sempre possibile, ma sempre dopo il prossimo oggetto, il prossimo acquisto, la prossima trasgressione, il prossimo viaggio…
Leggendoti, inizio a ricentrarmi.
E almeno adesso mi perdono, per essere così spesso, insoddisfatto.
Grazie.
Mi ha colpito la foto perchè l’ho fatta paro paro questo autunno passato e quindi sono andato nella riflessione che è stata fatta e ti ringrazio.
https://www.youtube.com/watch?v=lg-1e0bN49E&ab_channel=FrancescoF
A me viene da dire, come Marco dice spesso, di essere pragmatico, quindi questa ricerca può dare un senso di direzione e di scopo alla nostra vita. Può aiutarci a superare le sfide e le difficoltà che incontriamo e a trovare una gioia e una soddisfazione più profonde.
Ciao, Francesco F