Siamo ormai entrati, con questa primavera, nell’ultima fase delle feste della nuova età che il movimento Darsi Pace offre a tutto il popolo italiano. Siamo giunti quasi alla fine della stagione ’23-’24. Vi confesso però che proprio, in questi giorni, stanno nascendo tante domande e dubbi su quello che stiamo facendo.
In realtà scrivo questo articolo per sfogarmi, per confidarmi con voi: le notizie quotidiane, l’allarme pressante di una guerra nucleare imminente, mi stanno stremando, esaurendo, sotterrando vivo.
Quando ascolto le parole dei leader mondiali – le minacce di Putin all’Occidente e dell’Occidente a Putin – tutta la mia vitalità si prosciuga e mi spengo. Sono giovane, ho 20 anni, mi piace studiare, andare all’università…I prati della Sapienza, sapete, in questi giorni sono gremiti di torme di ragazzi e ragazze vocianti e allegri, i cieli sono tersi e riflettono la bellezza dell’inizio di questa primavera che si espande. Ebbene nell’esatto istante in cui mi sposto dalla più prossima quotidianità al palcoscenico della storia del mondo, tutta questa gioia primaverile si spegne e la mia esistenza cade in un vuoto orrendo.
Tutta la nostra vita in realtà smette di avere senso di fronte a una guerra di siffatte proporzioni. Che senso ha infatti andare all’università, impegnarsi, appassionarsi, studiare e amare se, da un momento all’altro, possiamo tutti saltare in aria, fritti come pesci da una radiazione nucleare?
Mi conforta ricordarmi che la nostra situazione, nello scacchiere complessivo, è per molti versi analoga a quella che visse Israele nei suoi antichi profeti. Anche loro infatti si trovarono nel bel mezzo di uno scontro fra superpotenze – Assiria, Egitto, Babilonia, Persia etc. – di fronte ai quali essi non contavano nulla.
Isaia parla di noi quando, dinanzi alla minaccia che incombeva sul popolo, scrive che il suo cuore tremò “come tremano gli alberi della foresta davanti al vento” (Is 7,2). La profezia stessa nasce, in un certo senso, come risposta a questa angoscia.
È poi dall’ora più buia del brutale (semi-)annientamento che Israele soffrì e subì che nacque la speranza messianica, speranza che questo orrore di guerre e morte finisca una volta per tutte (Is 2 e Is 9,4).
Sappiamo come questa visione ha, nei secoli successivi, alimentato l’intero Occidente, eppure non si deve dimenticare che essa non fiorì in un cenacolo di intellettuali comodamente seduti sulle loro poltrone, non sorse da sacerdoti pacificamente abbarbicati nei loro culti, ma si fece strada nei cuori stremati di uomini che, profondamente radicati – come termometri – nelle tempeste della storia, soffrivano in prima persona l’angoscia dell’annientamento più concreto, del loro annientamento e di quello del loro mondo.
La Parola irrompe proprio dall’impotenza radicale che Israele, nei suoi profeti, accettò e attraversò: non altrove né in un altro momento. Dio non parlò del suo Messia agli Assiri, ma a chi periva sotto i colpi del progetto imperiale del dio Assur, non ai vincitori, ma agli sconfitti. Israele ha fatto della sua sofferenza il luogo di ascolto di una Parola più grande di essa.
Nei testi di Isaia sembra trasparire quella consapevolezza che vede nelle decisioni dei capi di stato dei grandi imperi – sì, quelli che da un momento all’altro possono decidere del nostro futuro, rovinandolo per sempre – un “potere” che non è niente di primo o assoluto. Dunque irreale o innocuo? Certo no.
Tuttavia non l’unico potere in gioco, come a prima vista – se ci manteniamo sul piano del visibile – potrebbe sembrare. Le decisioni dei grandi della terra appartengono a un Gioco molto più vasto di cui essi non sono che delle fuggevoli comparse. Chi ha veramente il potere sulle nostre misere faccende umane? Chi conosce fino in fondo la sceneggiatura della parte geopolitica che dobbiamo recitare?
“Quando chi non è profeta si trova di fronte a un grande impero ha l’impressione che esso riempia tutto l’ambito del mondo e della storia e gli vien fatto di chiedersi come tutta la sua forza soverchiante si possa conciliare con l’onnipotenza di Dio. Tutto il contrario per il profeta: per lui gli imperi posti sul Tigri e sul Nilo non sono nulla o meglio sono nelle mani di Jahvè come un semplice strumento preso in prestito” (Von Rad).
La Parola ci insegna innanzitutto a relativizzare, sgonfia l’orizzonte saturo della presenza: c’è Altro dal mondo e dai suoi imperi. Il Gioco visto da quassù, con gli occhi del Signore, sembra immensamente più aperto e areato, forato nel suo fondo di necessità ed esposto a una variante incalcolabile e imprevedibile: questa Apertura, questo respiro che improvvisamente mi invade, scoperchiando il mio cuore, è la libertà; le sentenze di morte non per questo sono cancellate, ma ritrascritte dalla pietra sulla sabbia. Basta perciò una folata di vento, impercettibile, per cambiare l’ordine delle parole – poco prima ferocemente rigide nella loro consequenzialità – e mutare una condanna certa in un atto di grazia: assoluzione. Su questa folata – che in ogni istante può sopravvenire – mi vorrei infine dedicare.
In questo periodo di (personale) disorientamento cerco la luce non solo nell’abbandono a Dio, ma anche nelle parole di chi c’è già passato: i profeti appunto. Mi sembra però che tanto lo schema classico dell’apocalittica, tanto la visione indiana degli yuga convergano, in fondo, nel restituirci uno scenario escatologico desolante: quello in cui a pochi santi-giusti-eletti sono opposti i molti ingiusti, distruttori della terra; Gesù anzi ci dice che i pochi diventeranno, probabilmente, sempre più pochi perché “si raffredderà l’amore di molti”.
Sembra non esserci scampo: più si avanti, più si peggiora: certo la liberazione è più vicina ma essa è la “nostra” liberazione, quella esoterica, condivisa in conventicole chiuse o catacombe di perseguitati. Perché allora non chiuderci in noi stessi, mi dice una voce? Che senso ha andare a spasso per l’Italia per annunciare la nuova età se l’esito finale della battaglia – almeno sul piano terreno-visibile – è già scontato: è la sconfitta?
La tentazione di rinchiudersi in sé o andare sul monte Athos la sento fortissima in questi giorni: “che fai qui Elia?”, disse Dio al profeta che fuggiva. Che ne è, nello schema apocalittico, della nostra libertà? Che senso avrebbe poi la nostra presenza nel mondo se la destinazione escatologica del mondo stesso è quella che è, la peggiore immaginabile? Siamo qui, incarnati nel tempo, solo per uscirne? Ma allora perché, se tutto è – sul piano escatologico – immodificabile, Cristo ci avrebbe donato di partecipare alla sua potenza creativa assoluta: “niente vi sarà impossibile”? Questa partecipazione non implica infatti la possibilità di infinite (e ignote) modificazioni del corso, anche macroscopico, degli eventi? Con il cortocircuito, già rilevato da Buber, tra apocalittica e libertà, l’Apertura che prima avevamo sfiorato torna a richiudersi: non c’è libertà, almeno sul piano cosmico-storico (non esoterico-individuale).
E, tuttavia, e qui concludo, accanto alla visione apocalittica tradizionale se ne è, nel corso del tempo, imposta un’altra. Di essa s’è nutrita l’intera età moderna che infatti ha vissuto il suo rapporto con il tempo sotto il nome di “progresso”. Pensiamo anche, più banalmente, all’idea di un “mondo migliore”. Se volessimo essere apocalittici fino in fondo dovremmo rigettare questa formula – e tre secoli di pensiero moderno e filosofie della storia – come insensata. Così, sempre nello spirito dell’apocalittica, sarebbe parimenti insensato andare a votare o compiere qualsiasi altra azione che comporti (o presupponga una fede nella) modificazione attuale del presente stato di cose. L’unica modificazione sperabile è infatti quella che viene dall’intervento diretto di Dio, dopo tribolazioni etc.; Questa insensatezza della apocalittica, lo voglio precisare, non è assenza di fede nella salvezza, ma un certo modo (acosmico individuale) di rapportarsi ad essa, del resto pienamente conforme alle Scritture.
La modernità sembra però invertire – unicum antropologico! – questo rapporto. Questa inversione ci parla della possibilità che la verità della realtà spirituale si faccia epoca, non più catacombe di reietti, ma vita storica di una moltitudine. Nello schema originario – di Gioacchino da Fiore, poi ereditato dal moderno – si rovescia la formula tradizionale “septima aetas currit cum sexta” (ovvero il Regno è nel mondo unicamente nel nascondimento e nei suoi pochi, sparuti eletti) in questo modo: la Settima Età segue alla sesta: ovvero il Regno può farsi presente nel mondo come nuovo mondo, nell’evidenza di una comunità).
La visione gioachimita corre, a sua volta, accanto a quella apocalittica-agostiniana: l’avvento dell’Età dello Spirito è possibile tanto quanto l’invecchiamento immodificabile del mondo. Proviamo a sostare un attimo presso la vertigine di questa possibilità, lasciarci andare in questo abisso, che è la libertà di una fine conosciuta, eppure non prescritta. Tutto torna a muoversi, vedete? Noi stessi ci muoviamo, non siamo più paralizzati nel terrore! Perché però ci muoviamo? Per andare dove? Per fare cosa? Può il granello della nostra libertà fracassare i piedi del gigante? Torna a inquietarci la domanda sul senso della nostra presenza nel mondo… Se la nostra libertà – come potenza creatrice coereditata in Cristo – deve e può avere realmente un senso il mundus senescens e l’inevitabilità delle tenebre sempre più fitte che esso prospetta devono rappresentare solo un ramo dell’alternativa, una strada di un bivio che, per noi, non s’è ancora chiuso. Il bivio è però, innanzitutto, in noi come due interne tendenze contrapposte: quale gioco scegliamo di giocare? Saliremo sul monte, ascendendo senza più fare ritorno, o scenderemo nella città, dando la nostra testimonianza, comunque vada?
Carissimo Andrea Granato,
leggo nel tuo scritto la seguente affermazione:
“Sappiamo come questa visione ha, nei secoli successivi, alimentato l’intero Occidente, eppure non si deve dimenticare che essa non fiorì in un cenacolo di intellettuali comodamente seduti sulle loro poltrone, non sorse da sacerdoti pacificamente abbarbicati nei loro culti, ma si fece strada nei cuori stremati di uomini che, profondamente radicati – come termometri – nelle tempeste della storia, soffrivano in prima persona l’angoscia dell’annientamento più concreto, del loro annientamento e di quello del loro mondo”.
So che i cenacoli di intellettuali ed i loro “culi” sulle sedie danno ed hanno dato molto fastidio, ma come ha detto anche Marco in un suo contributo, se vuoi sapere devi anche studiare. Per studiare devi mettere “il culo” sulla sedia e tentare di capirci qualcosa, cosa che, se la sperimenti, è molto difficile. Negli incontri precedenti ci diceva proprio che lo studio è un lavoro artigianale, prendi la matita e sottolinei. Non tante cose ma cose che arricchiscono te e gli altri.
O forse, come sembra sia molto di moda, ci suggerisci di scendere nelle piazze con i forconi prendendocela con l’istituzione piu’ vicina che troviamo a portata di mano? O con il primo che passa per la strada? O continuando a stringere rapporti superficiali o coatti? O a parlare del nulla?
I sacerdoti sono pochissimi e sono preziosissimi. I nostri attacchi continui alla loro serenità ed al loro operato li rendono sempre piu’ fragili, quasi caricaturali. E sempre meno.
E così i loro territori,
Per quel che mi riguarda a questo gruppo va il grande merito di divulgare cultura, di offrire degli spunti per tutti e di aver riportato in auge il concetto di festa, concetto bellissimo e raro in una società che di fatto non sa fare piu’ festa nella verità dei rapporti interpersonali.
Per quel che riguarda gli intellettuali ed i preti, io me li terrei molto stretti.
Sono molto pochi.
Per quel che riguarda questi uomini con il termometro che soffrono l’annientamento del proprio mondo, non saprei cosa dirti. Mi sembra un po’esagerato e vittimistico. La terra è un mondo tutto in guerra e tutto è molto caduco e transeunte e noi siamo solo un piccolo granello di sabbia.
Ahimè.
Possiamo a volte solo celebrare la vita con dei fratelli come noi .
E fare Pasqua.
Tanti cari auguri a te ed alla tua famiglia.
Grazie
Silvia
Caro Andrea, tu scrivi “Che senso ha infatti andare all’università, impegnarsi, appassionarsi, studiare e amare se, da un momento all’altro, possiamo tutti saltare in aria, fritti come pesci da una radiazione nucleare?” e capisco bene questo senso di scoramento, per uno che si aspetta una vita davanti. Colpisce me che ho sessant’anni, figuriamoci un ragazzo!
I tuoi dubbi sono anche i miei, talvolta. Sì, le Feste sono bellissime, sono sacrosante, ma non è che stiamo ballando sul Titanic che affonda, intanto? Una cosa virtuosa e bella ma ormai, diciamocelo, inutile?
La soluzione che prospetti tu, esistenziale e pragmatica (“dando la nostra testimonianza, comunque vada?”) a pensarci mi convince, è già un elemento sufficiente a metterci in gioco. Anzi forse proprio questi tempi estremi e pazzi: a me pare di vivere in un mondo di assoluti pazzi, dove tra una caffè e un aperitivo si ragiona sul numero di atomiche di Putin e intanto si rifornisce l’Ucraina di altre armi – ormai a pioggia come vaccini (sic) – come se non avessimo proprio capito cosa sono le atomiche, tanto a morire a decine di migliaia sono i loro ragazzi e non i nostri – per ora).
Mi dico, devo scuotermi nel mio timore e nel mio pessimismo, proprio adesso è il momento di impegnarsi. Di cercare compagni di cammino, gente che legge il pericolo estremo ma anche la bellezza di questo tempo. Sono chiamato a svegliarmi dal torpore, sono chiamato a denunciare e costruire, per come posso. Sarà bello averlo fatto, “comunque vada”. E sono certo ne rimane traccia, nello sconfinato Universo. Nessuna luce per quanto piccola, si perde tra le stelle.
Sarà bello, per me, domani, andare a Grosseto con questo animo, per mettere anche un piccolo mattone, con tutte le imperfezioni e le approssimazioni che ben conosco, ma che non mi impediscono di porre mano all’Opera, se solo scelgo di farlo. Sarà bello parlare di bimbi e stelle e quindi una umanità nuova, anche se questo assetto mondiale mercificato e per questo nichilista (chiaramente menzognero e insostenibile a lungo) cercherà intanto spettacolarmente di autodistruggersi, come del resto sta già facendo, nella divertita incoscienza di “grandi” giornalisti e affermati “opinionisti”.
Buongiorno Andrea,
Ho letto il tuo bellissimo articolo e vorrei congratularmi con te per la profondità, il respiro, la forza della tua scrittura. Anche questa capacità è un senso delle cose. Da dove viene? Dalla costanza e assiduità degli studi o da una attitudine innata che nasce da dentro e che l’orizzonte delle nostre conoscenze risveglia? E perchè scegliamo certe direzioni di apprendimento e non altre? San Paolo direbbe che molti sono i talenti ma una sola è la fede.
Siamo, però, misteri, tutto qui è mistero. Le domande che tu poni sulla china apocalittica dell’umanità sono legittime ma, pensandoci, quanto a logiche intrinseche, sono trasferibili anche su piani molto più grossolani e banali. Per esempio: perchè far sacrifici nel regime alimentare o nello stile di vita se tanto dobbiamo morire? Mi scuso per la grettezza del paragone, ma era solo un esempio.
Proprio ieri sera, inoltre, prima di addormentarmi, ho aperto a caso un testo di Anselm Grun, una sorta di bibliomanzia, che ogni tanto pratico per “gioco”. Ebbene, la pagina che si è aperta e le cui righe scorrevano sotto i miei occhi parlavano di CRISTO RE, della regalità del Cristo che è la nostra regalità. Come fai comprendere nell’ultima parte del tuo testo, è questa la chiave di volta nel rapporto con il mondo: il nostro essere sovrani nello Spirito ed è proprio ciò che infastidisce i cosiddetti “poteri forti”. Dovremmo entrare nell’antitesi che fa implodere il mondo potere-amore. Da una parte il potere, la finanza, le armi, la guerra e dall’altra l’amore, la ricerca della verità, le propensioni creative, l’intelligenza di aggiungere a noi stessi, agli altri, qualcosa che prima non c’era come giocolieri dei nostri talenti che dalle individualità abbracciano la sfera socio-culturale e anche l’aggregato politico.
I Salmi si aprono con “Le due Vie”, sta a noi scegliere, e proseguono con il Dramma Messianico secondo cui Dio irride i potenti.
Io, che non sono giovane, sono convinta che il mondo non soccomberà, che ce la potrà fare e che i ragazzi come te saranno la futura classe dirigente di un società nuova. Ciò che conta è sostituire l’amore al potere e che ciascun essere umano sia consapevole del suo potenziale creativo, ognuno nel suo ambito. La vera felicità e libertà è data dall’essere noi stessi e come direbbe Marco Guzzi “La vita è l’opera”. Ho voluto con semplicità condividere i miei pensieri sparsi.
Grazie e Buona Pasqua!
Ciao Silvia. Io in realtà non ho alcuna risposta dirimente e decisiva ai miei interrogativi. Perciò neanche sono troppo interessato a giudicare “sacerdoti” e “intellettuali”. Il riferimento ai primi ha la sua ragione nello stesso contesto storico della profezia. Per quanto riguarda i secondi il mio riferimento nasce dal disappunto che avverto di fronte a molta cultura filosofica contemporanea infarcita di temi messianici. Secondi me chi soffre poco dovrebbe parlare di meno. Tutto qui. Un abbraccio
Ciao Marco, leggendo il tuo commento mi veniva in mente la frase del Gladiatore: “quello che facciamo in questa vita [forse noi diremmo: nello Spirito] riecheggia per l’eternità”. Ad Maiora!
IL PRIMO GIORNO DI PRIMAVERA.
I “grandi” dell’Europa di sono riuniti per mettere a punto la loro “macchina” da guerra, dove gli ingranaggi saremo noi e i nostri figli; nel primo giorno di primavera.
“Derubati”, nel giorno dell’inizio di ogni germogliare, di ogni nuovo inizio, della possibilità di rinascere in idee, progetti, speranze, prospettive.
La vitalità di ogni prospettiva nascente non trova spazio in questa “pianificazione sistematica” delle nostre vite: tutto dovrà essere funzionale al sistema della guerra, tutto votato al “vincere” fino alla morte.
Nel primo giorno di primavera, il “germoglio” del primo mattino di primavera, i “germogli” delle vite dei figli sono setacciati e pestati e destinati al tritacarne di un fronte bellico.
La “loro morte” stamani ha pervaso il mio cuore.
Il veleno del loro cuore belligerante mi impestato il mio “sguardo” di luce.
No! Stamani non ce l’ho fatta a guardarti bene, a bene- dirti, fiore di pesco.
Ho il cuore malato e male- dico nel primo giorno di primavera.
Buongiorno, volevo solo aggiungere, dato che purtroppo nella storia dell’umanità le guerre accadono, che i rischi si pongono realmente. Come sappiamo tutti, si sta parlando dell’invio in Ucraina di uomini dalla Francia e di missili a lunga gittata dalla Germania (il cancelliere tedesco Schols per ora smentisce).
Ad animarci dovrebbe essere sempre una speranza nella Ragione….
Buongiorno Andrea,
è stato bellissimo leggerti, mi ha permesso di sentire condiviso il fortissimo sentimento di dolore e smarrimento. È stato danzare nel tuo forbito linguaggio tra concezioni di pensiero storico e biblico. Credo che sia un dono immenso, all’età di vent’anni poter usare così fluidamente e profondamente la propria mente.
Ti rispondo così: la prima volta che andai in India ebbi la visione della complessità nella pluralità che ogni persona è e vidi che era come una cosa compattata: ci stavamo tutti e, insieme….
Alcune persone che vivono forme di estrema povertà in cui gli altri e gli eventi si impongono imprescindibilmente sulla loro vita, possono essere grandi contemplativi e raggiungere con facilità ciò che noi riusciamo a fatica dopo anni di studi e formazioni. Queste persone sanno accettare la morte ed onorarla come parte della vita senza bisogno di tanti insegnamenti.
Ci sta tutto sotto il sole, tutto sotto l’immenso incondizionato flusso dell’essere.
Anch’io penso tanto a quei bimbi che a Gaza come in altre parti del mondo saltano per aria come uccelli da cacciagione e mi immagino che il loro compito, qui sulla terra sia compiuto e in un attimo si trovino nella regalità della luce immensa.
Questo non placa la mia coscienza : vedo benissimo chi è l’aggressore e chi la vittima. E questa distinzione non e’ occultata come avveniva nei miti dei testi greci o sanscriti. Nel vecchio testamento l’ aggressore è agressore e la vittima è vittima e nel Vangelo è ancora più evidente la vittima immolata è Gesù che, però, dopo tre giorni risorge.
Grazie caro Andrea che il tuo scritto ha dato adito di tirar fori anche da me questo grido lancinante che so: si trasmutera’ pian piano in un’esplosione di gioia.
Bianca
Caro Andrea,
queste tue domande le sento risuonare forte anche dentro di me, e analogamente a te, mi hanno sempre accompagnato fin dalla mia giovinezza. Non ho trovato mai nè certezze, nè risposte..ma quello che ultimanete sento emergere è che in fondo, non è la certezza o la probabilità della vittoria quello che deve motivare, quanto la giustezza dell’azione in sè in risonanza con la tua verità profonda…agire secondo l’integrità di quello che sei e di quello che senti essere la tua aspirazione (di diventare/ essere sempre più pienamente co-erede, agente di trasformazione del mondo), anche se mai potremo pienamente incarnarla su questo piando di realtà. Qualunque sia il riultato non mi importa, ma nella mia libertà, posso e devo scegliere in qualunque momemto da che parte stare e agire di conseguenza. Non voglio collaborare con lo Spirito di questo mondo consegnandomi alla rassegnazione. Dunque faccio quel poco che posso, nella misura in cui posso (non per mettermi a posto la coscienza…un’altra delle obiezioni che mi muovo da sola…) ma perchè non posso fare altrimenti. E’ proprio il bivio che poni con la tua ultima domanda…da che porte vogliamo stare?
Ti abbraccio con affretto e grazie ancora per questi scritti densi di bellezza e profondità
Maila
Caro Andrea,
Quali profondità e cultura intrise di umanità- nuova – hai! Leggendoti, sono rimasta colpita e risonante. Vedi, se io dovessi andare dietro la mia ombra, nel
qual caso bella rabbiosa, o come vuole dp, al mio io egoico bellico direi:” perché, cari leaders mondiali, indegni di tale appellativo, non vi andate ad ammazzare tra di voi e lasciate in pace noi ed il resto del
creato?”. Ed ancora:” perché
permetti tutto ciò, Signore?
Perché siamo sempre noi
‘popolo’ a pagare le conseguenze
delle gesta dei potenti?”. Insomma, tra rabbia, dubbi persino sull’esistenza di Dio e
quant’altro, i sovrascritti sono i
moti più immediati. Introietto il leader in me si direbbe tra gli esoteristi, se ho ben compreso il loro rapportarsi alla ‘realtà’. E
Sono cosciente che con tale
dicotomia (bene e male), cosi
inzuppata nella melma, neanche mi pongo in una comunicazione
orizzontale bensì sprofondante
nelle viscere degli abissi. È pur
vero che, oltre i racconti di mia
nonna e delle sue fughe sotto i bombardamenti durante la
seconda guerra mondiale, in un
certo senso è una vita di guerre. Una ferita ancestrale che tutti ci portiamo dentro e dietro. Al di la della biografia personale già ardua di per sé, ricordo che quando ero adolescente
scoppiava il conflitto dei
Balcani, i nostri ‘dirimpettai’
dopotutto. Qualcuno già parlava
di terzo conflitto mondiale, persino tra i giovani amici di allora. Tutto pare concorrervi, effettivamente ed ininterrottamente, poiché come
tu ben sai la seconda grande
guerra è deflagrata anche per i
diversi conflitti che si andavano
accumulando da secoli e che nel novecento paiono aver trovato la loro apoteosi. Sembra un perpetuo ripertersi in un certo
senso. Eppure, eppure… essi, i
potenti del mondo, non possono controllare tutto: un misterioso
imprevisto può ” rovesciarli dai
troni” ! I tuoi meravigliosi
estratti si avvertono come
profezie sempre attuali. Io spero
con tutto il cuore che la fantasia di Dio li lasci, ci lasci attoniti, magari piacevolmente beati e confortati! Penso inoltre, nel mio piccolo, che le feste della
nuova umanità, così come ogni
cammino di crescita spirituale
incarnata, siano ‘la contro-
offensiva’ alle minacce di questo
mondo, una promessa
‘verticale’, un fiorire e rinascere di ogni maestro asceso, nel nostro percorso in particolare
di Cristo in e tramite noi… possa
il tuo cuore pieno di vita e di
amore per la vita battere sempre
gioiosamente, anche quando è cupo d’incertezze trovare il palpito e l’anelito che ha già dentro ! Questo il mio augurio
bene-detto per te, anche se
non ci conosciamo e dunque
senza pretese ma con tanta
partecipazione e gratitudine
per tutto il bellissimo lavoro
che, nella freschezza della
vostra giovinezza, portate avanti
🙏
Un caro saluto,
Girgia
Ascoltiamo i nostri cuori palpitanti in questo inizio di Primavera e non separiamocene. Non esiste poesia, non esiste arte, non esiste cultura, non esiste matematica, non esiste una dottrina, non esiste una civiltà umana. Esistono solo i nostri cuori che chiedono di essere ascoltati. Buon ascolto a tutti!
Madre Teresa di Calcutta di fronte all’infinito numero di bisognosi da soccorrere ripeteva: “Non scoraggiarti, aiuta chi hai davanti a te”
Caro Andrea, come hanno risuonato forte le tue parole, il tuo tormento tra la tentazione del ritiro e la rassegnazione inaccettabile dell’orrore del potere, che sempre schiaccia e semina il terrore. E’ vero, siamo sull’orlo, sul limite estremo, sul fragile concepimento di una consapevolezza amara e dolcissima, stordente e straordinaria.
I tuoi vent’anni sono così vicini a quelli che, quarant’anni or sono, furono i miei:
“Stonano molto queste dissonanze quotidiane.
La grande generazione d’intenti della civiltà micro processuale,
Liberatrice dal lavoro, dalle fatiche. Posso sentirne lo stridore
Pungente di questa sorte ironica e beffarda che ha impresso
Il suo marchio di disperazione sul progresso. Regresso.
Limiti e marginalità sono confini troppo stretti e presto gli argini
Si romperanno. Un mare di conflitti preme. …”
e poi continuavo questo testo, scritto appunto quarant’anni fa, ancora con altri versi che qui per brevità non riporto.
Così scrivevo e sentivo durante i miei vent’anni per ripiegare poi nei miei tormenti, tra distrazioni, impegni irregolari e fughe in precipizi interiori, sempre più profondi, sempre più sentiti come irrimediabili.
Oggi, a distanza di tanto tempo vedo con chiarezza il bivio di cui tu parli “saliremo sul monte o scenderemo nella città…?”
Personalmente non mi faccio più questa domanda anche perché credendo di salire sul monte mi sono poi scoperto invischiato e corrotto, succube del fascino velenoso delle luci della città. È giunto infine il momento in cui ho compreso che non ero caduto nella città per esserne vinto ma per dare, come an he tu dici, la mia testimonianza.
All’età in cui sono non si tratta più di fare qualcosa “comunque vada” ma per testimoniare una verità immarcescibile del nostro spirito, una qualità indomita della nostra anima che non è stata, né mai lo sarà, vittima di un siero velenoso o di una bomba, per quanto subdole o potenti queste armi possano essere.
Noi siamo come i semi della parabola, quelli che cadendo sopra un terreno buono daranno i frutti, una umanità che è come il figliol prodigo e sperperato tutto ora torna al Padre. Quindi anche tu, siine certo, sei il seme caduto nel terreno buono di queste condivisioni, così forti e pregnanti, figlio della nuova umanità che andiamo predicando e festeggiando, sulla via del ritorno. Quindi ti saluto nella fede che ciò che stiamo vivendo non sarà comunque vada ma perché vada verso un dove che ancora non conosciamo ma che sentiamo e sappiamo essere già dentro di noi. E’ per questo che ci dice Gesu’ “noi abbiamo già vinto”, “niente vi sarà impossibile”. Grazie Andrea per avere condiviso.
Grazie Andrea