Se non fosse per il freddo, che al mio corpo biologico procura non poco disagio, e che a volte può essere una vera e propria scocciatura, gennaio rientrerebbe tra i miei mesi preferiti. Campagne vuote, la volta del cielo tempestata di stelle sul capo, le strade del paesello in cui vivo prive di gente a sera e dominate da una quiete a tratti mistica e surreale. Tutto in questo periodo mi rimanda al vuoto; sì, a quello spazio in me che conosco e tuttavia non conosco del tutto; so solo che si tratta del luogo in cui più di ogni altro posto vorrei dimorare; poiché lì avviene la mia rigenerazione. È lì che io mi immergo nelle acque battesimali del cosmo, del mio vecchio Io, e posso rinascere come nuovo Io in connessione col Principio della Vita.
Spoglio, completamente spoglio come un albero in inverno; come un pioppo in attesa di mettere i primi germogli. Non lo apprezzavo un tempo; non ne ero neanche capace; denudarmi oggi, faccia a faccia con me stesso, è una delle esperienze più vivificanti che possa fare di me e del mondo. Il silenzio regna sovrano sulle terre dismesse; odo solo il vento, che soffia imperterrito con la sua forza spaventosa; mi ha sempre affascinato il vento, specie quello tempestoso, in linea con quello che Kant avrebbe chiamato “sublime dinamico”: la sua potenza contiene qualcosa di tremendo per me, mi rapiva già da ragazzino; forse perché in qualche modo .. faceva da specchio al mio animo sempre inquieto. Ma nel suo soffio c’è una voce, che mi chiama: “Cercami, Simone .. Cercami; non dimenticarti di me”. La profondità di quella voce, quasi impietosa e sfidante, è tale che al suo cospetto a volte neanche riesco a trattenere le lacrime.
Il vuoto è davvero la dimensione più ricca di noi stessi, benché nella nostra società consumistica nessuno ce lo insegni, e quanto più vuoto siamo in grado di creare dentro di noi, tanto più permettiamo alla verità di noi stessi di entrare in noi e di colmarci. Una ricchezza che sa di pace, quella vera, in cui il tempo sospende il suo corso e in cui lo spazio perde di significato. È una regione che troppo spesso trascuro, ma più che altro che, una volta contattata, fatico a custodire; e in cui tuttavia, cadute le nostre camicie di forza e i consueti ceroni che ci teniamo appiccicati addosso sul viso come vernici avariate, possiamo incontrare chi veramente siamo. Sono solo; nel campo. Avvolto dalle fredde nebbie invernali, che non a caso ricordano la palude di Cocito di Dante, il punto terribile del dolore più bruto. Eppure, dalle tenebre di quelle gole oscure, dalle ombrose selve che si stagliano lungo i colli retrostanti, riecheggia l’alone della requie; una requie mortuaria, tombale, che ricorda il sepolcro di Cristo (o, a un livello iniziatico, il sabato santo), e immergersi nella quale però non è lugubre, non ha niente in comune con il macabro o terrifico. È come un galleggiare dentro al liquido amniotico di una placenta, come un occhio che, attraverso un cannocchiale calibrato con maggior precisione, fissa nella fissità di un paesaggio sterminato. Il vuoto: non a caso simbolo del ventre materno in cui l’embrione può attecchire e svilupparsi; sì, anche del materno in noi, in me, di tutto ciò che è femminile – dolcezza, sensibilità, tenerezza, di cui così poco mi sono preso cura in passato. È l’icona misterica della Concezione Immacolata di Maria, uno degli arcani più rilevanti della fede cristiana.
Ma quel vuoto non è solo beatitudine e pace, come ci suggeriscono anche le tradizioni orientali – penso alla Maitrī Upanishad, dove si afferma che “La beatitudine che sorge nello stato di supremo assorbimento, quando la mente purificata si è acquietata nel Sé, non può mai essere espressa a parole! La si deve esprimere direttamente, da sé, nel proprio intimo essere”. (VI, 34, 9)”; non è solo infinito godimento di uno spazio assoluto e spersonalizzato. Tra quelle onde fluttuanti di aria, nel mezzo al nulla aleggia la Presenza di qualcuno. Calda, benevola, dotata di un tale potere di penetrare nella carne che disarma, facendo cadere ogni nostro scudo. “Signore, sei tu”, esclamo. “Sì”, mi si risponde. “Eccomi”, dico. La mia anima mariana, porto di soavità di quella luce che si accende in me, pervasa da un flutto di benevolenza trasversale a ogni creatura, trasalisce e inizia a levare un accenno di canto. “Grazie, Signore, del tuo dono. Grazie per esserti donato a me e avermi accolto. Non te ne andare; resta con me. Non mi lasciare in balia del freddo. Riscalda il mio cuore, ti prego. Ho una nostalgia pazzesca della tua casa, della MIA vera casa. Ingravidami della tua pace, della tua essenza; fammi essere Uno con te”.
Rivedo la mia storia e il mio passato fluttuare su un orizzonte che adesso si è fatto più ampio; qualcosa in me si commuove, con un’emozione, sullo sfondo, di pura gratitudine, in cui sosto per un po’. “Tu sei prezioso per me, ragazzo, non dimenticarlo; non sei più nel pozzo, adesso sei con me – e in me. Lasciati toccare, piccolo Simone; lasciati illuminare. E sorridi, non dimenticare .. Sorridi sempre alla vita”. Mi sembra di trovarmi per qualche istante in paradiso; sì. Le sfere angeliche sono davvero un altro campo di frequenze, più elevate, vivide e fresche, che l’Io ordinario non può conoscere né sperimentare. La Presenza poi sembra andarsene, poiché è così: non si lascia acchiappare; lo Spirito non lo si può acciuffare. Ma non mi sembra di aver vissuto un sogno: era qualcosa di reale. Così ritorno al silenzio e alla letizia del suo accordo, di quella melodia senza spartito che mi ha alitato dentro. Non mi scordo, però, di quell’incontro; quelle parole, quell’energia, le conservo nel ricordo. O almeno ci provo.
Ho un vuoto di memoria; non so più chi sono. Sono Tuo; Tu sei mio. Insieme. Per sempre. Amen.
Grazie Simone per questa bellissima meditazione. Ho aperto “per caso” questa pagina e mi hai detto una forte spinta per iniziare la Settimana Santa. Sono alla seconda annualità del percorso Darsi Pace e sto cominciando a percepire l’importanza di arrivare a fare questo vuoto di cui parli. Anch’io quando riesco a lasciarmi andare nel vuoto percepisco una voce amorevole che mi chiama. Vorrei tentare in questi settimana di non perderla. Grazie ancora. Buona Settimana Santa.
grazie Simone per questa condivisione poetica, tutto mi rimanda alla luce ..”la luce in cui siamo” come nelle parole della seconda meditazione di DP …in fondo è nel vuoto di cui parli che riusciamo sempre meglio ad abitare questa luce
un caro saluto
Grazie Simone per queste parole di consolazione.
“Adesso sono in mezzo ai vivi come il ramo nudo il cui secco rumore fa paura al vento della sera. Ma il mio cuore è gioioso come il nido che ricorda e come la terra che spera sotto la neve. Perché so che tutto è dove deve essere e va dove deve andare: al luogo assegnato da una sapienza che (il Cielo ne sia lodato!) non è la nostra”.
Milosz
“Grazie, Signore, del tuo dono. Grazie per esserti donato a me e avermi accolto. Non te ne andare; resta con me. Non mi lasciare in balia del freddo. Riscalda il mio cuore, ti prego. Ho una nostalgia pazzesca della tua casa, della MIA vera casa. Ingravidami della tua pace, della tua essenza; fammi essere Uno con te…
Ho un vuoto di memoria; non so più chi sono. Sono Tuo; Tu sei mio. Insieme. Per sempre. Amen.”
Caro, piccolo Simone, tutta la tua meditazione e in particolare le tue parole che ho virgolettato risuonano anche per me come una luminosa preghiera e un canto di gratitudine e di richiesta di aiuto che desidero custodire nel mio cuore per imparare sempre più ad accogliermi e ad accogliere le persone e le situazioni che mi creano smarrimento.
GRAZIE, Simone e Buona Pasqua di RESURREZIONE. KYRIE AMEN ALLELUYA
Che meraviglia…Grazie Simone. Grata per ogni parola che hai scritto.
Grazie, amici cari, delle vostre risonanze, a ognuno di voi: Daniela, Loretta, Salvatore, Aldo, Giuseppina e Maila.
Il vuoto è l’anticamera della gioia; quella vera, profonda, non quella di questo mondo. Questo è quanto percepisce il nostro Io spirito. E io stesso, come voi, comprendo sempre di più l’importanza di abitare quello stato, che mi traghetta verso quel che gli antichi alchimisti chiamavano Albedo od Opera al Bianco, dove il mio Io vecchio si disfà e si crea una sosta foriera di inediti movimenti di ricomposizione degli elementi disciolti.
Auguro a tutti noi di farne sempre più spesso esperienza, dacché il portale verso la nostra trasformazione si trova là.
Un affettuoso saluto a tutti. E a tutti auguri ancora.
Simone