L’unico vero progresso, la rivoluzione di cui pochissimi oggi parlano,
è la transizione da una visione del mondo come caos di cose separate e in conflitto fra loro,
una giostra senza senso dominata dalla guerra, dal dolore e dalla morte,
un terrificante gioco a somma zero in cui la posta in gioco è la sopravvivenza,
una religione il cui dogma supremo, archè del cosmo, è “mors tua vita mea”
a un panorma opposto in cui tutto ciò che fa parte dell’essere costituisce un unico “corpo”,
un solo campo intessuto di relazioni, interdipendente e invisibilmente cooperante.
Questo ci ha sempre detto la saggezza di tutti i luoghi e tempi storici da quattromila anni a questa parte,
e a questo ci stanno conducendo i più recenti avanzamenti delle teorie scientifiche da ormai un secolo.
Dobbiamo denunciare che la visione bellica dell’esistenza ha a lungo preso a prestito,
selezionato per i propri interessi e strumentalizzato alcuni passi di autorevoli pensatori come Eraclito, Hobbes e Adam Smith,
mistificando il cuore del loro discorso che, se non può dirsi messianico a causa di un’irrimediabile antropologia pessimista
(proverbiale è il disprezzo del primo verso la grande massa dei “dormienti”,
l’immagine di umanità animalesca, terrorizzata e violenta del secondo
e l’egoismo utilitaristico innato descritto dal terzo,
i quali tendevano a considerare rilevante il comportamento medio piuttosto che le poche ma significative eccezioni
di santi e sapienti, disperando sulle possibilità evolutive della coscienza di tutta la specie)
prospetta comunque un orizzonte cosmico salvifico: tutt’altro che nichilista.
Eraclito infatti parlava di “perfetta concordanza dei discordi” nell’unità sottostante del Logos,
Hobbes, da buon cristiano, poneva a fondamento della sua visione anche politica la fede nella redenzione finale tramite il Figlio di Dio (“Jesus is the Christ”)
e sentiamo cosa dice Smith, autore della famigerata opera “Wealth of Nations”, manipolata e assunta come Bibbia dal neoliberismo,
il sistema presente fondato proprio sul principio universale della competizione che intende la “libertà” della concorrenza
come la “libera volpe nel libero pollaio” (Latouche):
“La natura ci ha insegnato che se la prosperità
di due esseri è da preferire a quella di uno solo, la prosperità di molti, o di tutti, deve esserle infinitamente
preferibile. Ci ha insegnato che noi non siamo altro che uno solo, e che, di conseguenza, se la nostra prosperità
è in contrasto con quella del tutto, o di una sua parte considerevole, deve cedere di fronte a ciò che è
infinitamente preferibile” (Teoria dei Sentimenti Morali, ed.BUR, pag. 528).
Hai capito questo Smith, tramite la cui dottrina si pretende di legittimare la massima diabolica “homo homini lupus”:
pensate come si starà rivoltando nella tomba!
Ma se è vero che siamo tutti nodi indistricabili di una sola rete,
se è questa l’essenza di tutte le cose, come sostiene il nuovo paradigma
in sintonia tra l’altro con i più recenti studi psicologici (Bartolini, Università di Harvard) che attribuiscono alla qualità delle relazioni
l’influenza più rilevante sul benessere percepito, cioè sulla felicità individuale,
come dovrebbe mutare l’educazione per conformarsi a questo ordine?
Una rivoluzione dell’idea cosmico-antropologica infatti non può che trascinare dietro di sè come un’ombra la rivoluzione pedagogica.
In base a questo, sicuramente a scuola ci sarebbero da rivedere le priorità.
Per semplice deduzione dovremmo porre, in ordine di importanza, prima la relazione docente-discente e fra i discenti,
poi la trasmissione del contenuto disciplinare (che non può che passare attraverso quell’intreccio di comunicazioni)
e solo per ultimo il medium tecnologico come strumento che può o meno implementare e facilitare tali contatti.
Ma oggi non avviene esattamente il contrario? Non idolatriamo le private e costosissime tecnologie digitali
a prescindere dalla loro capacità di trasmettere conoscenza e ignorando del tutto gli effetti sugli esseri umani che ne fanno uso?
A questo punto la soluzione è semplicemente rovesciare la piramide, perchè l’attuale piramide è già rovesciata:
si configura come un’anti-piramide dei valori educativi.
In secondo luogo, per educare tramite le relazioni dovremmo imparare a prenderci cura di queste relazioni,
e quindi saper curare gli altri; ma per far ciò c’è bisogno prima di conoscerli profondamente, questi altri,
e per conoscerli logica vuole che dobbiamo prima conoscere noi stessi.
Questa catena causale ci porta alla semplice conclusione che la formazione degli insegnanti oggi non può più prescindere
da un lavoro serio di autoconoscimento, oltre che di esperienza del mondo
(sempre che IO e MONDO possano essere nettamente scissi come entità diverse e irriducibili, punto su cui sarebbe doveroso dubitare e discutere).
Darsi Scuola porta il suo contributo alla pedagogia di marca italiana del XXI secolo riprendendo il metodo triadico elaborato da Marco Guzzi
e adattandolo al mondo dell’educazione in tutti i suoi ambiti.
Questo metodo comprende tre attività parallele (culturale, psicologica e spirituale), possibilmente quotidiane, in un vicendevole alimentarsi:
uno studio, su libro cartaceo, che non sia solo acquisizione di nozioni da ritenere nella memoria ma espansione della coscienza,
esercizi scritti di esplorazione curiosa della nostra profondità emotiva e psichica
e infine pratiche di rilassamento, concentrazione e silenzio interiore.
Un triplice sentiero che non ha solo uno scopo professionalizzante, ma che innanzittutto rappresenta un vero e proprio volano
verso uno stile di vita olisticamente salutare, umanamente ragionevole.
Ci preoccupiamo a tal punto del buono stato, interiore ed esteriore, delle persone che insegnano,
e che ricevano una formazione seria e permanente,
perchè solo così essi saranno in grado di comunicare il benessere e gli strumenti adeguati per raggiungerlo e mantenerlo
a chi è destinato a imparare da loro, a modellarsi inevitabilmente sulla loro immagine.
“Insegnanti felici cambiano il mondo” si intitola un libro del monaco buddhista e attivista Thich Nhath Han,
e noi potremmo aggiungere “Insegnanti felici cambiano il mondo insegnando come essere felici ai giovani”.
Invece che occuparci direttamente della didattica, noi pensiamo sia più efficace occuparci della salute fisica, mentale e spirituale di chi la fa:
il rinnovamente della didattica verrà da sè.
Concludiamo affermando che questo processo “iniziatico”, che altro non vuol dire se non “trasformativo
nella direzione di una sempre maggiore armonia con la nostra coscienza,
gli altri e l’ambiente”, proprio nell’ottica dell’unità che tutto ciò comprende, senza omologare ma anzi conciliando in una sintesi più alta,
noi ci impegnamo per portarlo a tutti, al popolo forgiato nella scuola pubblica.
Lo scopo che ci proponiamo è infatti cambiare la persona tramite un’educazione integrale alla pace (Montessori),
e per far dilagare questa rivoluzione dobbiamo rendere partecipi tutte le generazioni,
ancora vittime di un’istruzione deformante, violenta e repressiva,
in definitiva criminale contro l’umanità,
che produce necessariamente personalità distorte e aggressive ben pronte ad obbedire agli ordini militari,
piuttosto che creare un circuito privato, minoritario e separato
mentre fuori infuria la guerra che – su questo non v’è dubbio – prima o poi coinvolgerà tutti,
anche chi crede di potersi salvare da solo costruendo una “società-ombra” alla periferia dell’impero.
Questa soluzione, messa in atto per esempio dalle tante scuole parentali o del bosco,
è senza dubbio utile e meritoria, costituendo uno spazio libero da qualunque coercizione calata dall’alto;
ma a nostro parere deve costituire un bastione sicuro in cui rifugiarci e rifocillarci quando le cose si mettono male,
un’extrema ratio (come d’altronde è stata nell’emergenza degli anni recenti),
e anche perchè no, un laboratorio di sperimentazione;
un avamposto fondamentale non utile quindi per rinchiudersi in una ristretta “zona di interesse”,
sacrificando l’ “andata al mondo” e la socializzazione pluralistica garantita, con tutte le sue magagne, dalla scuola pubblica,
bensì per sempre ripartire “all’arrembaggio” delle istituzioni educative repubblicane
le quali abbiamo ricevuto come preziosa eredità da quel documento di altissimo valore pedagogico che è la Costituzione italiana,
che noi studiamo, amiamo e da cui perennemente traiamo ispirazione per il nostro lavoro che è la missione di tutta la vita.
L’anti-piramide dei valori educativi e il nuovo paradigma pedagogico
Postato il 11 Aprile 2024 Scritto da 5 Commenti
Vi invio l’art 9 della Costituzione che tanto amiamo.
https://www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaArticolo?art.versione=1&art.idGruppo=0&art.flagTipoArticolo=1&art.codiceRedazionale=085U0121&art.idArticolo=9&art.idSottoArticolo=1&art.idSottoArticolo1=10&art.dataPubblicazioneGazzetta=1985-04-10&art.progressivo=0#:~:text=1.,grado%20e%20istituti%20di%20educazione.
Cordialità
Silvia
Cosa possiamo fare?
Grazie
Silvia
https://www.google.com/search?q=la+scuola+cattolica&oq=la+scuola+cattolica&gs_lcrp=EgZjaHJvbWUqBwgAEAAYjwIyBwgAEAAYjwIyEggBEC4YQxiDARixAxiABBiKBTIMCAIQABhDGIAEGIoFMgcIAxAuGIAEMgwIBBAAGEMYgAQYigUyBwgFEAAYgAQyBwgGEAAYgAQyBwgHEAAYgAQyBwgIEAAYgAQyBwgJEAAYgATSAQk2ODgzajBqMTWoAgCwAgA&sourceid=chrome&ie=UTF-8
Bellissime parole!
“In ultimo, vorrei aggiungere che, oltre al lavoro, nella vita è importante anche divertirsi, avere uno scopo, anzi è necessario. Perchè, se si lavora soltanto, la vita non è poi cos’ bella. Perde di intensità. Credo che il modo migliore di immaginarla sia così: ogni aspetto della nostra vita è collegato a tutti gli altri, in un continuo e reciproco arricchimento”.
Banana Yoshimoto, Che significa diventare adulti?
Adesso, caro/cara MA hai la banana e puoi andare dove vuoi, con chi vuoi e come vuoi.
Io sono, ahimè, come Marco Guzzi cattiva ed irrecuperabile ovunque vada.
Ti abbraccio
Silvia
Ottimo articolo. Non la solita dichiarazione di intenti. Ma molto più perché traccia una linea di lavoro davvero rivoluzionaria.
Mi permetto di aggiungere una riflessione ad alta voce.
Spesso la Nostra Scuola, le Nostre famiglie e tutti i Media dai quali ci abbeveriamo, chi più chi meno, ci dicono e convincono che: la Scuola ci deve formare per farci trovare un lavoro !!! (Ma è poi così Sicuro?) l’ho pensato per anni ed ho vissuto spesso male il mio percorso scolastico ed universitario; ed il Mondo funziona meglio se c’è competizione!!!! (Ma è davvero così) se ci mettiamo sempre in competizione come potremo curarci di noi, conoscere gli altri ed amarli?
Grazie Pier Domenico, come tu dici bene si tratta di cambiare linea di lavoro (“cambiare canale” dice Marco), liberarci dalle tante menzogne mortifere che ci spacciano come dogmi, trovarci su una nuova visione, o almeno su dei punti cardine, e poi lavorare per portarla giù fin nei minimi dettagli della vita scolastica. Qualcuno potrebbe dire che siamo troppo lontani o che ci vorrà troppo tempo, io credo invece che i tempi estremi siano i più propizi per un cambiamento, e anzi che sia una fortuna che questo “lavoro” non ci manchi. Cambiando noi stessi cambieremo tutti i luoghi di relazione, compresa la scuola: è solo questione di tempo. A presto, Alessandro