Dopo le immani tragedie del Novecento, ci siamo un po’ tutti rassegnati a concepire l’identità umana e la sua relativa salvezza – anche in senso laico – come un mistero prettamente individuale. In sé questo non è né strano né sbagliato, ma ci fa correre il rischio di dimenticare l’entità profondamente comunitaria non solo dell’archetipo messianico, ma anche – in termini moderni – della speranza in un miglioramento storico della condizione umana.
Così come sulla terra non si dà mai un’identità-in-liberazione solamente individuale, così anche il mistero del Regno – nella tradizione biblica – è incarnato dapprima dal popolo eletto d’Israele, poi dalla comunità pentecostale del Corpo di Cristo (detta anche, con un termine greco, “Chiesa”).
Il mistero della Chiesa è in sé un mistero di popolo. Analogamente, in tutta la storia moderna, la promessa di progresso ed emancipazione sociale è espressa sempre (anche) in forma comunitaria, e quindi politica. La moderna democrazia ha inscritta nel suo stesso nome proprio questa vocazione.
Di qui la necessità, che noi come Darsi Pace stiamo rilanciando da almeno un anno, di risanare e purificare le identità nazionali in quanto forme essenziali di autocoscienza comunitaria della nostra umanità. Nulla deve essere calpestato, ma tutto invece può e deve essere passato al vaglio di una amorevole quanto severa distillazione. A partire dalla nostra personale liberazione interiore, ogni identità – anche e soprattutto quella nazionale – deve essere messa in cammino di conversione verso una figura radicalmente nuova: non violenta e strutturalmente in relazione con tutte le altre. Si tratta di un’esperienza iniziatica, che parta dall’ascolto nuovo e poetico dei linguaggi simbolici che via via ci rivelano l’essenza dell’uomo.
L’inno nazionale è un esempio molto importante di questo linguaggio simbolico collettivo. Non si può costruire un mondo di pace, come invece è urgente fare, continuando a inneggiare al versamento di sangue e all’odio tra i popoli (senza magari nemmeno accorgercene).
Questa re-visione e ri-scrittura dell’inno di Mameli è quindi un evento cruciale nella storia in atto dell’identità italiana. Nella nuova luce e parola che questo inno è in grado oggi di ispirarci, noi onoriamo la nostra storia, dandole appunto il Volto Nuovo – quello del Nascente – che essa stessa ci chiede di darle.
La Rivoluzione è innanzitutto questa alchimia terapeutica e poetica di tutti i linguaggi tradizionali.
Il tesoro di futuro che essi stessi racchiudono, nell’attesa di essere continuamente cantato e portato in luce da uomini e donne profetici di un’altra umanità.
Questo è accaduto a Sacrofano, la scorsa estate, con l’inno di Mameli ri-visto e ri-poetato da Marco Guzzi. Questo è accaduto il 27 aprile scorso a Bologna, in una pubblica Festa della Nuova Umanità, consacrata alla speranza della riconciliazione dei popoli!
Rilanciamo quindi oggi, in questo spirito, l’interpretazione dell’inno offertaci da Marco
all’ultimo intensivo di Sacrofano, il 17 giugno del 2023.
Che questa fatica creativa e comunitaria
porti con sé già oggi – a partire da un’Italia nuova e ridestata –
il seme di un mondo veramente inaudito,
tutto ancora da godere e da scoprire, per il quale – sì –
valga davvero la pena di vivere… e di morire.
Buon ascolto! –
È utile capire il nostro inno e il clima di pensieri e di concezione del mondo in cui è sorto. Quello che mi colpisce positivamente su tutto, comunque, è che l’anelito al cambiamento si unisce in Marco Guzzi al grande ed incondizionato rispetto di chi, in quella visione, in buona fede, ha dato la vita.
Capisco che questa è la strada, l’unica strada. Quella che corrisponde proprio alla nuova coscienza del cosmo. Grazie!