Lucia Chaloin ha 28 anni, ed è un nuovo membro dell’Indispensabile.
È attualmente ricercatrice in sociologia applicata all’urbanistica con base a Grenoble, Francia, preparando il mio futuro (progetto) di tesi su abitare, esclusione sociale e innovazione. Questo testo è una testimonianza del suo ambiente universitario, frutto anche del lavoro in darsi pace.
Cari e care,
sono quella ragazzina italiana arrivata a settembre a lavorare in università qui a Grenoble, sto nell’ufficio dei dottorandi, inizierò la mia tesi a fine anno. Sono quella che vedete sempre col sorriso, quella che vi chiede come state, quella che dite porti gioia nel corridoio, sono quella che vi studia silenziosa con gli occhi grandi, pieni di arcobaleni evanescenti di un’adolescenza ancora troppo vicina. Sono quella che non parla quasi mai a pranzo ma vi osserva e vi segue nei vostri racconti, cercando con quegli occhi di mostrarvi l’interesse che forse vi farà uscire dalle vostre recite, dal vostro raccontare elementi di una vita non vostra, spezzoni, succhi sfibrati di abilità linguistiche, esercizi di stile. Con quegli occhi vorrei tirare fuori qualcosa di vostro, di originale, che ha origine da voi, da come vi sentite oggi o da cosa vi ha fatto tremare ieri sera. Cresce la mia ribellione guardando gli esperimenti teatrali in cui fate mostra delle cose che avete fatto, di come siete brillanti nell’analizzare comportamenti imbarazzanti, machisti e fascisti, e mi sento incapace di contribuire, di aggiungere un tassello perché il vostro racconto è fine a se stesso, è un elenco di analisi stanche, condanne, conclusioni recintate, e non fa domande. Allora l’unica opzione sarebbe raccontare un episodio analogo, di cui io sono però sprovvista, non ho condanne, non ho episodi imbarazzanti, non ho nessuna chiacchiera con conclusioni stoppose da offrire. E vi sento irraggiungibili, non riesco a contattarvi alla vostra maniera, non riesco a consumarmi nei giochi linguistici, perché per me il gioco è cosa seria, il pranzo è cosa sacra e vorrei trovare piuttosto un modo per celebrare i giochi di colori nei vostri tupperware. E sotto sono arrabbiata. Sotto sotto dietro i miei occhi sorridenti c’è una scorza di avvilimento, perché mi sembra di dover combattere estenuantemente per avervi, per vedere qualcosa di più vivo, quando invece vorrei toccare con voi qualcosa di diverso, così diverso che vi faccia ballare anche gli occhi. E quando poi mi raccontate che stamattina vi siete svegliati alle 5 per andare a sciare avete visto l’alba e alle 9 eravate al lavoro, non volete raccontarmi della magia di vedere spuntare il sole? di come a poco a poco si rischiarano i fianchi delle montagne e di come quella poesia svanisce in pochissimo tempo lasciandoti mezzo inebetito?!
La sentite anche voi la sterile fatica del vostro mondo del lavoro, dove la vita scorre col calendario, le esperienze che fate sono elenchi della spesa, e il lavoro è quel qualcosa che prima si finisce meglio è se è una roba noiosa, e se una cosa è divertente è comunque stancante. Io mi sento terribilmente fuori posto, un folletto giocoso in una caserma. Qui si attacca alle 9 e si stacca alle 17, a pranzo small talks, il venerdì si va a bere un bicchiere insieme, una volta al mese facciamo il laboratorio fai-da-te dove a turno si propone un cucito, una danza, un lavoro all’uncinetto, e a me sembra di soffocare. Ma grida sommesso dal malchiuso portone anche il vostro ultimo eco frustrato, per invocare una follia nell’insostenibilità dell’accademia di cui siete le avanguardie, le fioriture su un tetto di un palazzo brutalista. Io vi guardo ancora, mi fermo a cercare di sostenervi in mezzo alle vostre corse alle responsabilità portandovi una coccinella trovata nelle scale, tentando di farvi festa portandovi la moka e il fornellino da campeggio per farvi bere un caffè italiano, mi fermo ancora quasi disperata come una bambina cerca di convincere gli adulti a sperimentare quanto è bello inventare un nuovo gioco. Mi fermo poi a cercare di farvi correggere il vostro dire quando vi sminuite, dicendovi che state facendo cose senza senso, dite che siete esausti, che siete degli impostori o ancora che quello che fate non serve a niente, mi sento una bambina che cerca di impedire agli adulti di dire le parolacce, perché intuisce che così si fanno violenza.
A volte invece mi sento una sorella grande e forte quando vi dico di pensarvi come un fiore che cresce e di dirlo al vostro direttore di tesi se vi dice che non state avanzando abbastanza velocemente. A volte se vi dico di pensare che avete tutto il tempo del mondo e potete godere di ogni piccola parola che scrivete, allora se mi guardate con un sorriso nuovo ci troviamo in un nuovo piccolo spazio di respiro, seguiamo un guizzo nuovo, allora lo spirito balla e la bambina ride felice. E nell’annunciarvi la poesia, il gioco e il riso, li annuncio a me stessa, e vorrei vedere i nostri bambini ridere, ridere di quell’adulto che dall’alto fa un po’ il Signor SI e ci vuole convincere che SI lavora a testa bassa, col metodo pomodoro SI lavora più efficacemente, che SI deve correre se SI vuole fare violoncello, balli, sci, bici, cucito, letture, bere l’aperitivo fuori. Ridendo possiamo rispondere insieme che IO, TU respira prima di tutto, ringrazia e contempla! Allora MI TI stupisco degli insetti sulla lavanda, delle formiche che hanno trovato un sentiero impensabile tra ostacoli assurdi, ringrazia TE stesso e la vita dentro di te e deridiamo gli imperativi schizofrenici del devi-farcela-da-solo-perché-gli-altri-non-lo-faranno-per-te, sciogliamo via dal credere che non siamo abbastanza, impariamo a sedere, col sedere studiamo come diceva Michail Lomonosov e col sedere creiamo la cultura come diceva Benedetto Croce, non con la testa e con il ragionamento, ma contattando quella farfalla graziosa che muove da dentro.
Coraggio,
Lucia
Grazie Lucia
Grazie!🙏
Che viva esortazione Lucia
Parole profumate !
Grazie!
Bei pensieri per cominciare la giornata. Grazie e buona nuova e preziosa giornata a te.
Francesca
Grazie Lucia. Ho letto al mattino prima di iniziare la giornata. Sarà sicuramente una giornata più luminosa grazie alle tue parole
Grazie Lucia. Ho letto al mattino prima di iniziare la giornata. Sarà sicuramente una giornata più luminosa grazie alle tue parole
Lucia, da adulto che vive in ambiente accademico, mi hai prima scosso, poi commosso.
E che cavolo, scrivi benissimo.
Grazie Lucia! Mi sono un po’ rivista, quando anch’io che sono “grande” mi sento sprovvista di episodi analoghi da raccontare, quando vorrei toccare qualcosa di diverso…e mi hai fatto un po’ “ballare”!
Che bello questo tuo sguardo dall'”alto” che osserva con consapevolezza e cerca anche di dare un sorriso a quelle anime inconsapevoli.
Mi è piaciuta questa tua descrizione di quell’ambiente che potrebbe essere un’altra delle tante simili e del tuo moto dell’anima.
Ciao, Francesco F
Cara Lucia, grazie infinite di questo scritto che ci regali. Trovo strabiliante come, alla tua giovanissima età, tu riesca a unire una critica pungente verso la desertificazione delle anime, come quella che respiri nel tuo ambiente universitario, con una sottile ironia estremamente benevola nei confronti dell’umano. Grande dono, questo! Possa questo sono farti ‘ballare’ sempre di più anche in un contesto così povero come quello nel quale ti trovi a studiare.
L’impoverimento e la cadaverizzazione degli ambienti accademici è qualcosa che era già presente ai miei tempi, ricordo. Perché sì, sono solito direi che “il peccato più grande del mondo è l’inconsapevolezza”. Un abbraccio, tanti auguri. Simone
Carissimi e carissime tutti e tutte! Vorrei abbracciare ogni parola che mi avete dedicato: sono per me un grande conforto. Sono molto felice di poter confluire insieme a voi a un sollievo comune, a una danza silenziosa di anime che si toccano, si salutano e si ringraziano. Ci auguro ringraziamenti pieni a questo movimento collettivo.
E che cavolo, i vostri complimenti mi rendono entusiasta!
GRAZIE, cara Lucia Cha-loin!
La tua lettera, letta stamane alle 7, mi è giunta come una leggera fresca carezza che ha fatto schiudere il fiore, la coccinella, la lucciola che c’è dentro di me e dentro ognuno di noi tuoi colleghe/i di vita…ha fatto vibrare tanti ricordi e speranze custodite nella mia memoria di bambina di 77 anni che considera preziosa ed indispensabile la forza della leggerezza e la fedeltà al nome. In nomen homen.
Tu, cara LUCIA CHA-LOIN, hai uno sguardo lungo e getti luce con molta non chalance e savoir faire da ricercatrice…
Stai già abitando e trasmettendo con inno-vazione la tua tesi in sociologia applicata all’urbanistica per imparare a dar-ci/si pace e coraggio! BUON CAMMINO e GRAZIE
Giuseppina Nieddu
Giuseppina! Grazie, le tue parole arrivano come una barca di salvataggio in questa mia giornata. Cantiamo inni, anche quando vorremmo farci piccini piccini e scomparire. E grazie di questo coraggio ricambiato con entusiasmo, vorrei soffiassero al cuore le tue parole quando si inizia a stritolare, cosi da rassicurarlo come dici tu che sta già’ vivendo le trasformazioni, i cambiamenti e può solo respirarci dentro con piena fiducia.
Leggendo gli ultimi commenti, mi torna “e che cavolo” (perdonate il refrain), “ma dove altro c’è questo dialogo profondo e prezioso ed autentico tra una donna di 28 ed una di 77 anni???” Che è bellissimo e vero, nel nucleo del cuore il tempo non è quello newtoniano, è un tempo relativistico che scorre a velocità tutte diverse e che dipendono dalla vita, dai sorrisi, dalle aperture del cuore stesso. Ma io stesso, ma quando mai, quando mai altrove, mi capita di leggere delle parole di una persona più giovane dei miei figli più grandi, e risuonare così intensamente con quanto scritto?
GRAZIE a tutti e in particolare a Lucia e a Marco, compagni di un cammino aperto dallo Spirito che sempre ci consola con la LUCE della sua fedeltà. Spero di vederci a Sacrofano . visto che mi sono iscritta!
A presto
Giuseppina
Grazie caro Marco! Felice di leggerti. Che possiamo risuonare come le due cinciallegre che mi salutano il mattino!
un caro abbraccio a te.
E un caro abbraccio a Giuseppina, mi rincuorerebbe molto incontrarvi. Sarò però impegnata in grosse fatiche per vincere il posto di dottorato.