IL MALE È NECESSARIO?
Ha un senso nell’economia complessiva della creazione?

Commenti

  1. Francesco F dice

    Una bella intervista che mi ha fatto conoscere un filosofo. Molto giusto non aver colto l’occasione sprecata della caduta del muro dove invece si è imposto il modello capitalistico neo-liberista senza scrupoli. Bello l’invito finale ai giovani in questi tempi aridi e violenti di fare attenzione al fatuo e al vuoto dei valori e andare a riscoprire una nuova fede, intelligente, generativa, mi è parso proprio il programma e la carta della Nuova Umanità. Il posto giusto degli Indispensabili!!
    ps: e poi sempre in questa casa DP mi è parso di vedere un grande Maestro.

  2. Questa intervista mi colpisce in senso personale in più aspetti, desidero dunque spiegarne alcuni, sperando di non essere troppo lungo e soprattutto senza voler sottrarre attenzione al dialogo stesso, ben più importante delle mie considerazioni.

    Conosco il prof. Borghesi da molti anni, da quando per la precisione fu mio supplente di filosofia al quinto anno di liceo, al Vito Volterra di Ciampino. È stata una delle persone che, certo senza volerlo, ha più influito sulla mia vita, perché fu lui a segnalare – a me e un altro gruppo di studenti – la allora nascente (si era all’inizio degli Ottanta del secolo scorso) università di Tor Vergata. Frequentando la quale la mia domanda sia spirituale che affettiva, allora aperta, avrebbe trovato una risposta compiuta, nella fede cristiana attraverso dei volti di amici e di sacerdoti che seguivano la pastorale universitaria, e conoscendo quella ragazza che sarebbe poi diventata mia moglie.

    Dunque, ho visto con curiosità e anche gioia il suo nome comparire nello stream Facebook di Darsi Pace. Per quanto ci si senta poco per varie circostanze, penso sempre a Massimo come un amico e non dimenticherò mai che attraverso di lui la mia vita ha preso alcune direzioni fondamentali. Che lui è stato uno strumento importante del Destino, per me.

    L’intervista non delude perché è ricchissima di contenuti. Ad un certo punto ho sentito la necessità di aprire il computer e prendere appunti, tanta la ricchezza di temi trattati. Ma in qualche modo mi ha fatto anche tornare indietro nel tempo, quando il professore ci riceveva in gruppo a casa sua, fuori dall’orario scolastico, per approfondire elementi di filosofia, con una dedizione assolutamente non comune verso il suo ruolo di educatore e con piena coscienza della responsabilità che vi compete. Non era frequente essere trattati come “vere persone” a quella giovane età. Di questo la mia gratitudine è ancora ben viva.

    Ricordi personali a parte, il dialogo è illuminante (e bravo il nostro Andrea a rischiarsi anche in considerazioni ampie e mantenere la conversazione su argomenti comunque attualissimi) proprio per capire il nostro presente, che quando sembra rifiutare ogni filosofia è invece profondamente nutrito di pensiero filosofico, di cui Massimo analizza con lucidità encomiabile le radici e la genesi. Devo dire che mi ha colpito ed anche “riorientato” l’avvertimento che “il problema è Hegel non Cartesio”, avvertimento che viene compiutamente illustrato ed argomentato: io come scienziato ero “in lotta ideale” con Cartesio che a mio avviso aveva formalizzato e dato parvenza di dignità alla deriva materialista, ma la questione era molto più complessa di come pensavo. E che i nemici del cristianesimo non sono appena i materialisti (il materialismo, dice Massimo, è molto povero – in piena concordanza con Marco Guzzi quando lo definisce “cattiva filosofia” nella nostra intervista sulla scienza che appunto si chiama “Oltre il materialismo”), ma i panteisti ed in generale chi svuota il cristianesimo “dall’interno”:

    Sono questi degli spunti preziosi per capire il reale. Quello che ci arriva addosso dai telegiornali risulta infatti una narrazione incomprensibile ed alla fine brutalizzante ed anestetizzante, se non sveliamo le radici filosofiche anche delle guerre che ci circondano, incidendo il reale fino a scoprire la “necessità di sacrifici” e di sangue del pensiero anticristiano). Innervata da questo pensiero solido, il reale acquista più intelligibilità.

    La chiusa è di speranza e di ragionevole ottimismo. L’accento sulle personalità mi fa riflettere anche sulla fortuna della mia vita, dove ho incontrato da giovane il pensiero ed il carisma di Giussani, come incontro ora quello di Marco Guzzi. Filoni che in questa intervista sembra si riallaccino in una nuova e più robusta concordia ideale, per me che ascolto.

  3. Splendida intervista! Grazie!
    Il rischio di leggere il ritmo triadico del cristianesimo come pensiero e quindi in modo simbolico e/o psicologico è alto come alto è il rischio del sacrificio del singolo alla collettività spacciato per cristianesimo.
    Cristo è una persone a la sua morte e resurrezione un fatto storico di un singolo che muore e risorge per tutti.
    Lavorare sulla trasparenza anche nella fede per non giustificare il male, ma se non giustificassimo quel bastardo del male forse impazziremmo…
    D’accordo anche sul rischio del panteismo spinoziano. E’ esattamente come detto: Hegel vede l’incarnazione come momento necessario ma da superare per giungere al punto in cui ognuno è dio.
    Riporto quanto scriveva un noto gesuita Fausti:
    “Dio è da sempre tutto in tutti”, non so se questo può essere letto come panteismo.
    Altra visione è quella di un Dio in cui vi sono nella sua essenza il bene ed il male, anche questo non è la visione cristiana,
    Molto interessante è il riferimento alla modernità da vedersi non solo come antagonista ma come foriera di stimoli utili e necessari al cristianesimo che si gioca sul singolo e non sul collettivo, anche se non ci si salva da soli. Da qui il riferimento a Kierkegaard ed alla sua etica del singolo.
    Grazie.
    Molto bello.

  4. Luca Cimichella dice

    Ti ringrazio molto, caro Andrea, per il servizio di questa bellissima intervista, che finalmente ci fa sentire parole di alta qualità e ci dà spunti di riflessione fin troppo rari. Penso che il commento e l’approfondimento di questo dialogo sarà compito del nostro gruppo tematico, tutto da inventare. Per ora mi limito a segnalare alcuni di questi punti, più o meno critici, sui quali converrà meditare a fondo nei prossimi anni o decenni:

    1. Il concepire la giustificazione del male come un frutto degli ultimi due secoli prometeici e anti-cristiani ci distoglie a mio parere dal pensare la totalità del Cristianesimo storico (e in particolare il secondo millennio a partire dalla Riforma dell’XI secolo) come una fenomenologia strutturale-apocalittica di tale giustificazione. Casomai si dovrebbe parlare di esplosioni consecutive di questa radice in età moderna, già in atto nella teologia della crociata e in quella anselmiana della Croce, che ne è alla base. Tra l’altro Borghesi dimentica che se nel Settecento le guerre non coinvolgevano i civili è perché c’erano già state le guerre di religione, che – in quanto manifestazione sostanziale dell’essenza cristiana – erano state delle apocalissi di tenebra in nome del Bene sommo. Si tratta dello stesso periodo, la prima metà del Seicento, in cui assistiamo alla prima vera rivoluzione moderna, quella puritana inglese, compiuta però non in nome di un’istanza secolare, ma proprio in nome del Dio cristiano. Cosa c’è di più titanico di un parlamento eletto che uccide il proprio re in nome di Dio? E di fatti Milton scrive e vive nell’Inghilterra di Cromwell (che di esplicitamente secolare non ha nulla, anzi). La categoria di “secolarizzazione” è dunque insufficiente a pensare cristicamente la storia occidentale.
    2. Quello dei fraintendimento razionalistico-spirituale dell’Incarnazione è la deriva tipica dell’intera tradizione protestante, soprattutto calvinista. Hegel appartiene totalmente a questa tradizione, e Borghesi lo sottolinea bene. Ciononostante, il problema non sta nel presunto “panteismo”, bensì casomai nella giusta interpretazione della profezia paolina, secondo cui Dio – nell’apocatastasi del mondo – diviene «tutto in tutto». Da questo punto di vista, il Cristianesimo è molto più panteista di qualsiasi culto pagano. La differenza cruciale non sta sta nell’opposizione superficiale tra trascendentalismo e immanentismo, bensì nel Chi – nella rivelazione cristica – accade come Inizio-del-Tutto (Identità-in-Differenza) rispetto alle rivelazioni precedenti.
    3. Se da un lato esiste il pericolo della dissoluzione dell’Io in un Tutto anonimo, dall’altro corriamo il rischio di dimenticare il mistero IN SÈ molteplice dell’Uno stesso. L’in-dividualità dell’Io, in senso metafisico, è la vera eresia della modernità, laddove l’Io è riconsegnato alla sua Unicità multivoca proprio col mistero del Popolo (la Chiesa), che è il vero e proprio Inizio-del-Sé. L’Io stesso (Dio) è Tri-unitario, ossia Uno-di-Tre: l’Unicità di un Uno-Molti in quanto Corpo di Cristo/Corpo della Chiesa. Qui si deve pensare il Popolo ancor prima della distinzione tra nazione e individuo. Il Popolo cioè sta all’Inizio del Proprio dell’Essere, e non nella mera aggregazione storica di individui dati.
    4. È molto problematico sostenere che la deriva luciferina dell’Occidente nasca con l’abbandono esplicito del Nome di Cristo. Basti pensare alla violenza apocalittica scatenata nella storia proprio NEL NOME di Cristo: in Spagna per secoli il rito dell’Autodafé era sostanzialmente un supplizio pubblico degli eretici compiuto unitamente al sacramento della messa e della penitenza. Per non parlare delle guerre sante, di cui Borghesi non fa alcun cenno. Io allora parlerei piuttosto di una continuazione a-tea/in-conscia del pronunciamento di questo stesso Nome, ma NELLA MANIERA che aveva già provocato lo scatenamento dell’oscuro nella storia messianica. In altre parole: il problema non è il riferimento esplicito al Nome di Cristo o a qualsiasi altro nome (Dio non ha forse infiniti Nomi, anzi, Tutti i Nomi?), bensì IN QUALE MODO (ossia: essendo IN QUALE STATO DELL’ESSERE) il Nome stesso viene invocato dall’esserci.
    5. Borghesi insiste sul carattere storico della fede cristiana. Ottimo. Proprio per questo allora occorre un pensiero radicale che pensi l’essenza del fatto storico, il suo modo d’accadere e darsi ad essere in relazione al fatto mitico-poetico. Occorre una mistica pensante della fattualità storica e dell’essenza occulta della storicità, altrimenti ricadiamo in uno storiografismo pseudo-scientifico della fede, come ne abbiamo visti tanti (d’altra parte la stessa teologia liberale, da Strauss ad Harnack, si è nutrita moltissimo di Hegel, che esordiva da ragazzo con il suo “Jesu Leben”: testo capitale del cosiddetto studio sul “Gesù storico”).
    6. D’accordissimo sul completo spreco del 1989 e dell’occasione epocale che ci offriva. Ma direi di più, l’aborto dell’occasione storica del 1989 riflette l’aborto ancor prima dell’Anno zero 1945, laddove non si è voluto pensare fino in fondo il trentennio appena trascorso. Lo diceva bene Heidegger nel 1952. Nostro compito sta e starà nel pensare fino in fondo il procedere della rivelazione storica dell’essere, da molti punti di vista arenatasi proprio nel 1945.

    Un abbraccio e a presto,
    Luca.

  5. Davvero piacevole e semplice da comprendere per chi come me non ha dimestichezza con la filosofia. Una persona affabile e profonda il Prof. Borghesi. Bravissimo Andrea e grazie

  6. Marco Maria dice

    Grazie Andrea per questa intervista e grazie al Prof. Borghesi per la disponibilità! Tuttavia non mi ha convinto e Luca Cimichella da attentissimo filosofo ha saputo cogliere quelle sfumature che non vengono in mente subito quando si tratta di argomentare a ragion veduta e su una base solida culturale che Luca ha! In effetti il nome Luca vuole dire “Luce”!
    Un saluto cordiale!
    Marco Maria

  7. Mariella Pica dice

    Grazie, molto interessante; ho anch’io avuto sempre l’impressione di una patologia profonda del preromanticismo e di una componente troppo sentimentale, straziante, di un anelito immediato (non graduale e non comunitario, ma pericolosamente individuale) all’unità in certo germanesimo che paradossalmente si racconta come razionale/scientifico ed invece è misticheggiante e appassionato; un sentimentalismo che trovo stucchevole già a partire dalla Pamela di Richardson e dalle eroine infelici del romanzo moderno e da Rousseau: è come se l’Europa moderna risvoprisse il “cuore”, citatissimo da Rousseau e Foscolo, e cedesse ai suoi impulsi, senza la sapienza investigativa delle passioni già espressa da un Seneca e dalla morale cristiana ripensata con l’etica di Aristotele e la virile saggezza dei pagani. Nella volontà di potenza prometeica di certo pensiero disperato e appassionato tedesco non c’è niente di virile, niente di logico: mi pare puro irrazionalismo, regressione culturale molto netta. Da qui dovremmo invece, a mio avviso, rivalutare e riscoprire con orgoglio il genio italiano, il romanticismo di Leopardi e Manzoni; il secondo a mio avviso grandissimo nel saper attraversare la modernità riconcoliandola e purificandola con il cattolicesimo; il primo, pur ateo, attentissimo nel cogliere il rischio prometeico dell’ Ottocento (“secol superbo e sciocco”) e invitando ad un sano ritorno al realismo e umile e alla razionalità (la “ginestra”): il senso del reale, del semplice, della misura, della miglior tradizione italiana, più grande quanto più popolare e quanto meno paganeggiante e titanica (l’ immenso mostro padre Dante, Machiavelli, Boccaccio, Ariosto, Tasso, Goldoni, e anche Galilei, come fermi al dato reale, senza voli pindarici, più razionali del millantato spirito pratico e organizzatore dei popoli nordici).

  8. Mariella Pica dice

    Tasso, in realtà, è già sentimentale e appassionato (stati pericolosi), già quasi preromantico, reagiva anche lui alla lacerazione delle guerre di religione con un anelito all’ unità; tuttavia mi sembra abbia il mo di aver scritto un poema che interpretava il sentire popolare, e infatti ebbe successo tra il popolo.

Inserisci un commento

*