Perché comporre?

Commenti

  1. Francesca Cammareri dice

    Quanta profonda apertura c’è in ciò che scrivi e, sicuramente, quanta “ricchezza” c’è nella musica che elabori – grazie. Sarà che manca tutto questo “sentire” e questo desiderio di “condividere vita autentica” che ha svuotato la maggior parte della musica di oggi che, personalmente, percepisco come confuso e fastidioso “rumore”? Grazie ancora e complimenti!

  2. Caro Pietro, che articolo rivoluzionario! Quale luminosità d’idee! Proprio in questi giorni ho finito di scrivere un primo testo sulla necessità di reinterpretare il fenomeno delle avanguardie storiche nel contesto dei gruppi di approfondimento tematico de L’Indispensabile, e ora la tua analisi mi dà una conferma preziosa di quanto sono arrivata a sostenere leggendo l’esperienza dell’avanguardia sovietica attraverso le categorie che caratterizzano l’esperienza poetica del Novecento in Europa!Ossia che così tanto si è giocato sulla scissione tra forma e contenuto che non poteva che risultare da un io scisso a sua volta. E che per uscire dal labirinto di forme è necessario fare i conti con il contenuto, con la nostra interiorità, i nostri dolori, come dici tu. Grazie, spero avremo l’occasione di conoscerci e parlarne, anche perché, fresca di questo lavoro, ho cominciato a interrogarmi sulla possibilità di reinterpretare anche il vastissimo e attualissimo fenomeno della musica elettronica, di cui apprezzo alcuni sottogeneri, secondo una chiave trans-egoica. Sarebbe interessante per me sentire le tue idee a riguardo 😀

  3. Bellissimo questo vero e proprio saggio! Non vorrei sbagliarmi, ma sento che tutto questo va anche un po’ a sanare quel divario spesso percepito tre musica “colta” e “popolare”, una rottura di simmetria dolorosa ma credo alla fine poco consistente (io ascolto dai Beatles a Bruckner e trovo necessità di esistenza di tutte le forme musicali).

    Mi pare infatti che quanto dici si possa applicare in ogni ambito musicale, anzi forse in ogni ambito creativo.

  4. Cari tutti, provo a rispondervi con ordine.
    Intanto Francesca: grazie per il tuo riscontro! Personalmente non credo tanto che manchi né il desiderio, né il sentire autentico; quello che riscontro più spesso è la mancanza di una competenza “linguistica” specifica per esprimerlo e problematizzarlo.
    Infatti molto spesso, senza competenze linguistiche, si rimane incastrati un frustrato desiderio di “voler dire” e in un sentire che non può che essere autentico (perché l’anima non è ingannabile), ma che riporta cosa che non vogliamo ascoltare perché non abbiamo la capacità di rispondere in maniera adeguata; un sentire che non vogliamo stare a sentire.
    Molta musica oggi è il prodotto di questa frustrazione secondo me. Che poi è anche interessante, perché pure questa riflette uno spaccato dell’essere umano, una specifica modalità in cui l’essere umano si trova ad essere nel momento in cui non ha la competenza per parlare di propriamente di sé.
    Il problema è che se la si ascolta allo stesso livello di non-competenza linguistica che l’ha prodotta, questa musica tenderà a ricreare nell’ascoltatore le stesse modalità spirituali di approccio alla propria interiorità del compositore…
    Se la si ascolta a un livello differente di consapevolezza può essere utile per capire la forma peculiare di dolore che affligge una certa cerchia di persone.
    Insomma, torniamo a quella necessità di una didattica dell’ascolto cui accennavo alla fine del testo.
    Grazie ancora per il tuo riscontro!

  5. Ciao Carmen,
    Intanto grazie anche a te per l’attenta lettura. Avrei piacere anche io a saperne di più sulle tue indagini sulle avanguardie! Se vuoi scrivimi a pietro01.lio@gmail.com per uno scambio di idee.
    Buon lavoro!

  6. Caro Marco,
    Hai perfettamente ragione! Come spiegavo parlandone con un altro compare darsipacista il mio intento dietro queste riflessioni è anzitutto didattico: io lavoro come insegnante di pianoforte e sto provando a sperimentare come la didattica dell’improvvisazione e della composizione possa essere un valido strumento non solo in sé (nello stimolare gli allievi a parlare la lingua musicale e non soltanto a ripeterla) ma anche in funzione dell’apprendimento ordinario dello strumento.
    Ebbene, lavorando in una scuola civica io ho davanti di tutto: dai bimbi di 4 anni portati li dai genitori, ai giovani anziani di 75 che avrebbero sempre voluto suonare ma che non hanno potuto farlo prima; dal rockettaro che vuole fare The Final Countdown al purista classico che suona solo da Bach a Rachmaninov.
    Quindi per poterli prendere tutti sono “incoraggiato” dal mio lavoro a cercare di creare una didattica compositiva flessibile che possa rispondere alle esigenze contenutistiche proprie di ognuno.
    Quindi si, hai colto bene! Cerco proprio una prospettiva integrativa.

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