La pace attraverso l’ascolto

Commenti

  1. Grazie Giulia!

  2. Ciao Giulia,
    Mentre leggevo il tuo discorso mi si è accesa come una lampadina su, come dire, un “arco di circonferenza” di quel circolo vizioso che porta a ricorrere alla violenza dopo una serie di fallimentari tentate soluzioni.
    Credo che la violenza sia anche alimentata da una componente di “esasperazione” nel constatare la propria incapacità di risolvere le situazioni problematiche, sia nel mondo materiale che nel mondo sociale.
    E’ come se tanto più si provasse fallendo a risolvere un problema tanto più si alimenta una rabbia che giunge all’estremo tentativo di rimuovere ed eliminare il problema stesso.
    La cosa che mi incuriosisce di questo circolo vizioso è che il dolore accumulato (e non smaltito attraverso un lavoro e un dinamismo di fede specifico) in un certo senso “instupidisce”: il dolore emotivo limita la capacità dell’intelletto di scorgere nel reale quei “dettagli” che se valorizzati potrebbero portare a una risoluzione dei problemi.
    Trovo particolarmente interessante questo legame tra dolore e “stupidità” in quanto in un epoca che ancora esalta troppo l’importanza della ragione come “nemica” dell’emotività può essere usato come argomento per portare a capire l’importanza del lavoro interiore a chi pensa di poterlo saltare a piè pari poiché in grado di rivolgersi a una qualche pseudo-illuministica “ragione superiore”.
    Grazie per il tuo articolo!

  3. Gennaro De Mattia dice

    Questo intervento tocca una ferita aperta del nostro essere umani. Toccare questa ferita provoca un grande dolore e, di conseguenza, la necessità di lenire questo dolore, acuto, profondo e insopportabile ma allo stesso tempo onnipresente. Veniamo al mondo attraverso un atto doloroso, non a caso chiamato anche travaglio e, una volta concepiti i primi suoni che emettiamo sono urla, grida. Sembra un quadro sconvolgente e certamente lo è, e ancor più lo è stato nel passato, quando l’atto della nascita si accompagnava spesso alla morte della madre o del nascituro o di entrambi. L’atto del concepimento però è anche un atto di amore di ineguagliabile forza e bellezza, uno straordinario evento che si dipana durante il lungo arco della gestazione. Questo per dire di come è di quanto gioia e dolore siano inestricabilmente tra loro legati, di come senza l’uno non potessimo conoscere l’altro. Ma è davvero questa la natura umana? E’ davvero nel dolore che esiste la gioia? Oppure esiste un’altra possibilità! Noi ne siamo certi, così come certo è il limite temporale della nostra esistenza su questa terra. Forse sto divagando ma in noi coesistono questi due elementi e, nonostante ciò, nonostante tutte le sofferenze e le tragedie umane, noi continuiamo imperterriti a ricercare un percorso di liberazione e di compimento. Nasciamo, ovvero ci sentiamo scaraventati in questo mondo, e ne perdiamo via via consapevolezza, terrorizzati all’idea di dovere, prima o poi, fare i conti con la fine dei nostri giorni. Nella sublimazione di questa elementare e primordiale certezza costruiamo le nostre difese, costruiamo le nostre esistenze dentro recinti che pretendiamo possano proteggerci e, fatalmente, ci rinchiudiamo dentro castelli di solitudine, dimentichi degli altri.
    Così quando qualcuno si avvicina viene trasformato in un pericolo, lo sconosciuto, nel senso di tutto ciò che non conosco o che ho dimenticato, e da cui bisogna difendersi, perché ci impaurisce il non sapere, a tal punto da non volerne sapere, e fino a desiderarne l’allontanamento, con qualsiasi mezzo, anche con la violenza. Ho probabilmente molto banalizzato ma se solo, come ha mirabilmente esposto Giulia, riuscissimo ad ascoltare o perlomeno ci impegnassimo a volerlo fare, forse scopriremmo che le nostre paure sono in tutto simili a quelle altrui e magari finiremmo col riconoscerci e quindi accoglierci. Prima però è necessario apprendere come ascoltare se stessi, come far tacere i mille e mille pensieri che affollano la nostra mente, per scoprire uno stato di silenzio dentro il quale possa risuonare la vita, lo spirito, l’anima che ci abita. Per trovare questo luogo di silenzio dobbiamo però imparare ad ascoltare tutti i rumori assordanti che ci invadono e nell’accettare, nell’accogliere ciò che vorremmo allontanare da noi, perché ci provoca dolore , compiremmo un passo importante verso una vera pace che, partendo da noi stessi possa irradiarsi anche agli altri. Nel “darsi pace” possiamo trasformare l’ esistente e la metafora e’ così racchiusa in questo intento che, in quanto riguardante me stesso e il mio Io, rappresenta un atto rivoluzionario a carattere permanente, si auspicato ma non ancora realizzato.

  4. giancarlo salvoldi dice

    Quanto dolore ci doveva essere nei due adolescenti che hanno sterminato la loro famiglia?
    Lo dicoenza nessun giustificazionismo nei confronti di chi ha commesso delitti di omicidio.
    Probabilmente quei ragazzi non sono riusciti a far ascoltare il loro dolore ed i genitori, probabilmente nel dolore a loro volta, non sono riusciti a capire e quindi ascoltare il dolore dei figli.
    Come dice il card. Pizzaballa a volte si può solo “esserci”, ma anche quello può non bastare, misteriosamente.

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