Un vecchio adagio, che tutti conosciamo, recita: la fretta è cattiva consigliera!
Come spesso accade i “detti” popolari ci parlano di una saggezza che sembra rasenti l’ovvio e perciò stesso viene bellamente tacciata di banalità da tutti quei colti intellettuali che, nel migliore dei casi, altro non sono che magazzini di informazioni accumulate alla rinfusa.
Noi viviamo in un sistema sociale che ha fatto della fretta, alias velocità, un totem.
La fretta, diventata una sorta di divinità, già a partire dai nostri “Futuristi” del primo novecento, sembra macabramente e farsescamente ritornare ad essere il leitmotiv delle classi dominanti di questo inizio inoltrato del nuovo millennio.
Bisogna quindi “fare in fretta”: perché non c’è tempo, perché il tempo stringe, perché il tempo è tiranno e quindi ci devono spingere in una accelerazione inverosimile e incontenibile.
Chi è però ad avere poco tempo? Ad avere questa frenesia sono i vecchi poteri di questo mondo che, di fronte ai cambiamenti che avanzano nella coscienza umana, si sentono alle strette e quindi accelerano.
Si, sono loro che accelerano, perché sentono di avere il fiato corto e, accelerando, si illudono di “frenare” la propria inevitabile caduta.
E’ un incredibile paradosso, ma i poteri del mondo pensano di “frenare” la loro caduta premendo sull’acceleratore e allora devono fare in fretta, perché in questo modo credono di togliere tempo alla riflessione, alimentando un vortice dentro il quale, sperano, nessuno possa più fermarsi e pensare.
Tutto falso anche perché, in realtà, l’altra faccia della fretta è l’ipocrisia.
Si vorrebbe far credere che fare in fretta aiuti a non fare impantanare le cose, perché i problemi vanno risolti in fretta, fingendo ipocritamente di dimenticare che quello che viviamo oggi è il risultato di una lunga traiettoria storica dove chi dominava, guarda un po’, non aveva alcuna fretta. Infatti ciò che vogliono fare, nascosto sotto la maschera della fretta, è ritardare il più possibile l’esplodere delle contraddizioni, frenare i cambiamenti antropologici epocali che non dipendono certo, e grazie a Dio, dalla piccola volontà di super-ego impazziti.
L’ipocrisia che si nasconde dietro la fretta è la volontà di non voler riconoscere il cambiamento, che avviene in tempi lunghi, lenti, quasi impercettibili.
Spiega bene questo processo un esempio che Marco fa spesso, quando si riferisce alla maturazione di un frutto, che giorno dopo giorno cresce ed evolve talmente poco che quasi non ce ne accorgiamo per poi, un bel mattino, mostrarsi maturo.
A noi è parso quasi all’improvviso, mentre invece sono trascorsi mesi, non pochi giorni.
Cosa diremo allora, che il frutto matura in fretta oppure ha impiegato moltissimo tempo per arrivare a maturazione?
L’ipocrita dirà che tutto è accaduto molto velocemente. Ecco quindi come fretta e ipocrisia si rivelano come due facce della stessa medaglia.
Noi invece non dobbiamo avere fretta e pratichiamo la meditazione, che è il suo esatto contrario. Noi ci vogliamo fermare, ci sediamo, per trovare quello spazio che ci viene negato dalla fretta imparando, lentamente, che occorre tempo e silenzio per ascoltare e osservare, perché il pensiero richiede gestazione e contemplazione.
Noi vogliamo essere fermi, ben piantati, possentemente inamovibili nella incrollabile volontà di non soccombere e di non correre spediti verso la deriva… in tutta fretta.