L’universo è un luogo accogliente? Secondo Brian Swimme (professore di cosmologia evolutiva presso il California Institute of Integral Studies) questo è l’interrogativo fondamentale. Concordo. Non appena per gli scienziati, ma per qualsiasi uomo, in qualsiasi epoca. In effetti, è la domanda che mi ritorna, che mi ricircola come una sorta di processo di background, ogni giorno, ogni ora, ogni minuto. Anche se non ci penso, qualcosa in me si interroga costantemente su questo, esattamente su questo. Il mio clock interno rientra su questa domanda con cronometrica precisione, rimarchevole costanza.
La domanda rimbalza subito qualcosa. Forse, l’eco di una mancanza. Leonardo Boff e Mike Hataway, nel Tao della Liberazione (uscito nel 2014 per i tipi di Campo dei Fiori), parlano espressamente del fenomeno della perdita della cosmologia in Occidente. Un fenomeno gravissimo, che contribuisce non poco al malessere moderno del quale difficilmente – proprio in quanto uomini del nostro tempo – riusciamo a non fare esperienza, direi quasi esperienza quotidiana. Abbiamo infatti perso, con la stessa entrata nella modernità, la nozione di universo “amico”, luogo di riparo e protezione. Come scrivono gli autori, “abbiamo smarrito una narrazione onnicomprensiva che ci dia l’impressione di avere un posto nel mondo. L’universo è diventato un luogo freddo e ostile, in cui dobbiamo lottare per sopravvivere e guadagnarci un rifugio in mezzo a tutta l’insensatezza del mondo”.
E’ cruciale, il passo. Questa visione non ci raggiunge, vorrei dire, come termine di ragionamento speculativo: quando (poniamo) in una tersa sera d’estate, lasciamo finalmente libera la nostra mente di spaziare sui temi dell’immensità del cosmo. Niente affatto. Questa immagine invece ci recupera, ci cattura, attraverso la forma – ultimamente illusoria, ma molto convincente – di una affermazione di perentoria ed immediata verità, di cui appena prendere atto, entro cui dover provare a vivere, a sopravvivere (per quanto si può). Una immagine male-detta che ci avvolge, ci coinvolge, quasi nostro malgrado, e rischia di informare quasi totalmente il nostro muoverci nel mondo.
Ora, con che animo, e soprattutto, in che schemi alienati di interazione con il mio vicino, con il traffico, con il capoufficio, con il partner, posso affrontare il quotidiano, vista la premessa, ricevuta ed accolta acriticamente, quasi come un messaggio indiscutibile, cristallizzato a guisa di dogma, ormai acquisito e confermato “perfino” dalla scienza?
Mi chiedo allora, a che serve, a che cosa è servita questa scienza? Se è a questo che ha portato, la tentazione sarebbe quasi quella di prendere le distanze dall’impresa scientifica nel complesso. Magari rifugiandosi nella pseudoscienza, in una drammatica ritirata che però eliderebbe le grandi e definitive acquisizioni che la scienza ha comunque portato; in una tragica marcia indietro, tanto apparentemente spirituale quanto ultimamente impotente. Ma che alternativa abbiamo? La scienza ha davvero desacralizzato l’universo, relegando la domanda del Prof. Swimme ad un interrogativo retorico, ad un buonismo senza alcuna effettiva speranza?
Capisco che la cosmologia, che in questo caso vorrei definire come lo studio dell’assetto del cosmo, in relazione al soggetto che lo esplora, è una istanza conoscitiva fondamentale. Ci siamo però da tempo abituati ad una cosmologia fredda, impersonale. Ci siamo abbeverati – come pozione velenosa – ad uno schema di universo distante e indifferente, teatro olimpicamente neutro di eventi che apparentemente non trasmettono e non conservano nessun vero senso. Devo davvero rassegnarmi a vivere in un universo indifferente? Non ci arrivano segnali nuovi, dal cosmo, per creare nuove risposte a questa domanda?
Da bambino, spesso mi trovavo a casa dei nonni materni. Ci stavo bene, mi sentivo al sicuro, l’appartamento bello e grande, affacciava sul laghetto del quartiere EUR della capitale, con un ampio balcone dal quale lo sguardo spaziava libero su un ampio panorama. Mi dava tranquillità, insieme ad un senso misterioso e bello di appartenenza, e protezione. L’unico momento in cui mi sentivo piuttosto a disagio era quando, per fare le pulizie, venivano spalancate le finestre e dato aria a tutti i locali, scostate tutte le tende, lavati i pavimenti. Tutto mi sembrava allora improvvisamente troppo grande, troppo esteso, troppo freddo: ogni ipotesi di possibile raccoglimento era persa, dispersa, incluso quel tiepido senso di casa che mi era tanto di conforto. Di colpo, tutto era troppo, per sperare che io potessi mantenere un luogo caldo dove poter dimorare.
Ecco, l’universo della moderna vulgata cosmologica mi sembra un po’ così, come casa dei nonni durante la fase delle pulizie. Una distesa incommensurabile di spazio in cui si muovono e roteano stelle e pianeti, galassie e quasar, senza alcuna ipotesi di senso. Come uno spazio cartesiano esteso all’infinito, ove i tre assi proseguono con tenace determinazione il loro viaggio verso una liberazione dal sacro, che porta nel cuore ulteriore freddo. Ove per giunta, e per un malinteso senso di politically correct, scegliamo di pensarci quali esseri minuscoli e casuali, spersi in un pianetino in corsa pazza verso non si sa cosa – come noi stessi in realtà ci troviamo spesso presi in corsa pazza verso un obiettivo che neanche riusciamo (più) compiutamente definire. Ma io voglio essere amato, prima di tutto voglio essere amato. Dove risiede l’amore, nell’universo fisico, così concepito? In questa fredda concezione matematica, distante anni luce da ogni ipotesi di ripresa sacralità, e dunque di inesausta carnalità?
E’ proprio così? Deve essere così? Dice Franco Battiato in una bella canzone che tutto l’universo obbedisce all’amore, rivoltando così d’un sol colpo, nella forza semplice dell’intuizione poetica, secoli di cattivi pensieri su noi e sul cosmo. Non è che anche di questa visione malata di universo, possiamo finalmente fare un poco di (salutare) pulizia?
Tutto questo ragionare di universo, si comprende ormai, è in realtà un ragionare sull’uomo. E per questo ce ne occupiamo, qui. La cosmologia è infatti legata a doppio filo con la nostra percezione più profonda di noi stessi. Scrive Heynemann che l’immagine cosmologica rappresenta il nostro mondo interiore. Tutto ciò che sappiamo o immaginiamo è contenuto, consciamente o meno, al suo interno.
Urge allora riprendere il lavoro verso una nuova cosmologia, una cosmologia che è ormai compiutamente supportata dall’indagine scientifica, peraltro, senza alcuna reale necessità di indulgere in derive pseudoscientifiche. Che apre finalmente ad un altro cosmo. E – notare bene – lo fa adesso, in questa epoca di svolta, in questa fase cruciale, dove l’analisi “oggettiva” del mondo è arrivata alla sua massima possibile espressione, restituendoci una visione dell’universo che attende di aggiungere al dato matematico quella ipotesi di senso che è pur stata sua prerogativa per millenni e millenni.
Con una piccola e fondamentale differenza.
Che stavolta il modello di Universo che abbiamo sviluppato è compiutamente scientifico e non più mitico, e la sfida dunque di dar senso al tutto è come se fosse rilanciata ed amplificata al massimo grado. Come se ormai tutto urgesse, perché la esattezza e falsificabilità della nozione scientifica si dovesse sposare di nuovo con una compiuta espressione di senso, che viene dalla filosofia e dalle altre espressioni dell’avventura umana.
Urge innanzitutto comprendere (e far comprendere) come la visione cartesiana meccanicistica del cosmo è definitivamente superata, appare ormai drammaticamente semplicistica e troppo ingessata nella cultura sette-ottocentesca per trattenere nelle sue maglie la complessità viva del reale, quale oggi appare e già da tempo appariva agli animi più avvertiti.
Non è un pungolo culturale, appena: è una vera urgenza. Non abbiamo molto tempo: l’opera va abbracciata adesso, tutto ormai indica questo. Ogni stasi, ogni idea di universo stazionario, si traduce adesso in un pericoloso soffermarsi, un goffo cercare di sottrarsi al vento impetuoso della trasformazione, del risanamento. Processo che è anche, peraltro, un ricominciamento. Difatti, scrivono Boff e Hataway, l’umanità si è in genere considerata parte di un cosmo vivente intriso di spirito, un mondo dotato di una specie di incanto. Una percezione che offre quel caldo, quel riparo che permette all’uomo di conoscere, e di creare. Afferma Morris Barman che il rovesciamento completo di questa percezione avvenuto appena quattrocento anni fa ha distrutto la continuità dell’esperienza umana e l’integrità della sua psiche. Ha quasi distrutto il pianeta. L’unica speranza, o almeno così mi pare, è in un re-incantamento del mondo.
L’unica speranza è davvero in questo re-incantamento (e in fondo, ogni progetto come AltraScienza si propone di lavorare per questo, solo per questo). La cosa bella è che il tempo per lavorare a questo incantamento nuovo è finalmente venuto, il tempo è ora.
34 risposte
Articolo bellissimo, intriso di una freschezza e di un tepore accogliente ( per seguire il paragone con la casa dei nonni) che mi hanno reso la lettura ancora più piacevole.
Grazie Marco
Fabio
Grazie Fabio!
Cercavo proprio un modo di scrivere che fosse appunto “accogliente” in modo simile a quanto esponevo come contenuto, e che soprattutto fosse “incarnato” e non “teorico” (per questo ho lasciato affluire i miei ricordi, come la casa dei nonni). Sono davvero lieto che questo tentativo sia “passato”, almeno in questo caso, nel sentire di chi legge.
Un abbraccio,
Marco
Grazie Marco per il tuo articolo. Questo è davvero un punto radicale. Parafrasando la citazione che riporti dal Tao della Liberazione, quante volte sento questa voce spietata e maledetta: “L’universo è freddo e ostile, anche oggi devi lottare per sopravvivere, in un mondo che comunque resterà insensato qualunque cosa tu faccia”.
Corrisponde allo stato naturale con cui mi sveglio la mattina. Per cui la liberazione per me nasce da qui: non rimuovere dalla coscienza questo pensiero gettandomi subito nella routine quotidiana, ma iniziare a contestarlo. E per contestarlo, avere fede nella possibilità che le cose non stiano così, che il non senso e l’ostilità non siano l’ultima “verità” sull’esistenza.
E’ confortante sapere che anche la scienza stia iniziando a contestare questa visione male-detta della vita.
Ciao e a presto,
Filippo
Grazie Filippo; sì direi che è molto confortante che sempre più anche la scienza riconosca e contesti la visione “ottocentesca” (per comodità di dizione, ma va ben al di là del secolo), e fa anzi di questo momento un momento veramente particolare. E’ come se la scienza – e lo dico da scienziato – abbia conquistato, piano piano, una porzione di fiducia che non le compete, perché le altre forme di conoscenza (principalmente “metafisiche”) sono state duramente contestate. E quindi ora è veramente importante che, conquistata tale fiducia, ci si possa riaprire – con piena legittimità – ad istanze che esorbitano dal puro meccanicismo.
Questo ci aiuti in un momento davvero critico, nella storia personale e collettiva. Un momento in cui questa voce spietata e maledetta sembra prendere forza, con tutto l’esito di nichilismo distruttivo e violento che purtroppo conosciamo. Contestarla è un lavoro a volte duro, quasi utopistico, ma mi dico (e brandelli di esperienza me lo confermano, se solo rifletto) che è la cosa più benefica che si possa fare.
Ho la sensazione che l’Universo “aspetta” questo nostro esatto lavoro.
Grazie,
Marco
Grazie Marco per aver affrontato con umanità e semplicità un tema così fondamentale ed attuale. Lasciarsi stupire ed accogliere dalla bellezza che ci avvolge per me significa anche un po’ “sognarla”, reinterpretandola secondo ciò che sono in questo momento. Così quando riesco a percepire il profondo bene che mi anima, posso anche pensare l’universo come parte di questo bene, come un posto che vive in armonia col Tutto e del suo senso si nutre.
Lo sviluppo delle peculiari doti umane ci ha consentito di interpretare questa bellezza in modo scientifico, ma fermarvisi è assolutamente limitante, significherebbe pensarci come esseri razionali, ma privi di sentimenti. Come la casa dei nonni spogliata del suo calore, della sua sicurezza, degli odori e dei colori che la costituiscono: diventerebbe quattro mura e un pavimento come qualsiasi altro edificio simile. No, quella è la casa dei nonni. Questo è il nostro universo.
La scienza, in realtà, di spunti per una visione più unita ed accogliente ce li sta dando, ma fatichiamo a recepirli. Forse soprattutto attraverso le grandi voragini che non può interpretare pienamente, ma solo lontanamente sfiorare. Ecco perché le nostre menti, così razionalmente impostate e irrigidite, rifiutano gli elementi più fluidi della scienza: la quantistica, la relatività, l’indeterminazione…
Sorridere e accogliere la vita con gratitudine mi rende fiducioso sul fatto che tutto sia in armonia, e che sia un Tutto accogliente. E credo che sentirlo sia già contribuire a realizzarlo.
Non più di sette secoli fa, un’ altra “intuizione poetica” (ma un po’ più alta, anzi DIVINA!) aveva portato a concludere la famosa COMMEDIA umana, con la rassicurante espressione “l’amor che move il sole e l’ altre stelle”: L’INCANTAMENTO DELL’ UOMO, RACCHIUSO DA DANTE IN UN SOLO VERSO CHE ANCORA “RAPISCE” E RISVEGLIA LA NOSTALGIA DI UNA “COMUNIONE” COL COSMO E COL SUO “FATTORE”…
Poi Galileo – quattro secoli or sono – aveva rivolto il cannocchiale verso il cielo ed aveva avviato l’ avventura umana, alla scoperta dell’Universo. E ci era sembrato che, le tante scoperte “astronomiche” – scientificamente condotte – allargassero i nostri “ristretti” orizzonti umani.
… Ora – ma già da un po’ – cominciamo a sentire il vuoto che tale “conoscenza” ha scavato nella nostra “coscienza” desiderosa, o proprio bisognosa, di INCANTAMENTO.
Che dire? Questo terzo Millennio, assieme alla “modernità liquida” registrata da Bauman, ci sta regalando IN VARIE DISCIPLINE, nuovi spazi vitali in cui far “respirare” la coscienza degli umani, in cerca dei luoghi in cui sentirsi ancora a “casa dei nonni”.
E il bello sta nel poterlo fare, in sintonia con la ricerca più avanzata ed in compagnia di scienziati ed operatori che si preoccupano anche di divulgata, come fa anche AltraScienza con meritevole impegno.
Ma questo non basta: abbiamo bisogno di riempire questi primi spazi aperti, con tutto quello che – man mano – ci può aiutare a ricostruire i puzzle di un MACRO-COSMO e di un MICRO-COSMO, PIÙ “VIVIBILI” E RISPETTOSI- ad un tempo – dele nuove acquisizioni della scienza.
Grazie a tutti coloro che stanno suscitando il giusto RE-INCANTAMENTO, DEGLI UMANI DISINCANTATI, del nostro tempo.
“Questo ci aiuti in un momento davvero critico, nella storia personale e collettiva. Un momento in cui questa voce spietata e maledetta sembra prendere forza, con tutto l’esito di nichilismo distruttivo e violento che purtroppo conosciamo. Contestarla è un lavoro a volte duro, quasi utopistico, ma mi dico (e brandelli di esperienza me lo confermano, se solo rifletto) che è la cosa più benefica che si possa fare.”
Caro Marco, ti ho ‘scoperto’ solo da qualche giorno e sto divorando i tuoi articoli. Te ne ringrazio infinitamente e confermo l’enorme importanza del lavoro che stai facendo su questo argomento così attuale. Contro questa ‘voce spietata e maledetta’ adesso c’è bisogno di scienziati quasi-utopisti e illuminati come te. Continua per favore! E quando ti sembra di andare in crisi pensa alla parabola del granello di senape…
Con immensa gratitudine.
Benigno
Anche lo scienziato più riduzionista non può prescindere dalla curiosità che lo motiva alla ricerca, dalla meraviglia che lo affascina e gli pone sempre nuove domande: un esercizio di creatività irriducibile. L’umanità è breccia a se stessa, perché alla fine Dio conduce la creazione all’uomo affinché riceva nomi (Gn 2,19): in noi rimane il richiamo primordiale e profondo che ci sollecita al senso che decidiamo di dare alla vita, qualunque cosa essa sia.
iside
Pier Luigi, Amedeo, Benigno (grazie per l’incoraggiamento!), Iside…
leggo i vostri commenti con grande interesse e vi trovo, complessivamente, motivo di vero conforto. Trovo ulteriore conferma del fatto che in Darsi Pace possa trovare casa una istanza che mi “tormentava” da molto tempo, ma qui si definisce e si “ordina” – e questo è un dono, innanzitutto per me. Un dono poi che non rimane, non ristagna, ma si irradia, si comunica: almeno, prova a farlo, perché non può fare altro. Perché è nella sua natura: ricevere, per dare.
E’ bellissimo poter lavorare su un “nuovo universo” della nostra mente, delle nostre relazioni, delle nostre stelle… è bellissimo non sentirsi soli in questo lavoro, ma insieme, “in cordata” verso la vetta. Ognuno tiene la mano dell’altro, pronto a sostenerlo se scivola sul brecciolino insidioso di vecchie concezioni, di arcaiche male-dizioni, di ingessate cosmologie… pronto a farlo tornare in piedi, con quel sorriso tranquillo che dice, senza dirlo, “vedi? Tutto questo non può vincere, per quanto ti sembri pesante. Solleva lo sguardo: ci sono le stelle”.
Grazie!
Non è affatto indifferente sapere in quale universo viviamo, se amico al quale poterci affidare, amico che ci consola e ci invita ad avventure creative , o nemico dal quale difenderci, come in una guerra stellare , con missili atomici contro gli asteroidi e i risucchi dei buchi neri. Dimmi che cosmo pensi e ti dirò come vivi in relazione agli altri, direi in sintesi da povero ignorante in materia.
Bravo Marco, è davvero un articolo forte, servono scienziati pensanti come te ! L’unica speranza è davvero in questo re-incantamento , cosa che da sempre sanno i poeti e i bambini….gli scienziati, come al solito arrivano dopo e tu spingili un po’ più avanti !
Un caro saluto
ivano
Mi è capitato in effetti di vedere scienziati superarmi in avanti… a volte l’ho presa (egoicamente) con rammarico, con rabbia, con preoccupazione per le mie qualità (sono bravo, non sono bravo abbastanza?). Ora capisco che forse (a volte) io capito dietro esattamente per quello… per spingere!
E la cosa non mi dispiace, sinceramente.
Grazie Ivano, un sorriso!
Per come mi sembra, l’auspicato il re-incantamento sarebbe in realtà un ri-sveglio. Un tornare ad esse svegli dopo anni di incantamento, dovuto in gran parte anche alla scienza che, pur con le migliori intenzioni, non ha fatto che aumentare la distanza noi e noi stessi in nome dell’oggettività.
Caro Francesco,
grazie per il messaggio. E penso anche io che sia in realtà un (benefico) risveglio, come difatti autorizzano a pensare le citazioni del “Tao” che chiudono il mio articolo.
Il problema della visione del mondo diffusa e divulgata dalla scienza, e al suo mutare nel tempo, è abbastanza articolato, e suscettibile di varie interpretazioni. Nel “Tao” ad esempio viene portato avanti compiutamente un pensiero per cui la scienza ha sviluppato di volta in volta quella visione funzionale al porsi stesso dell’uomo nel cosmo – se con atteggiamento di dominio e sfruttamento (sul debole, sulle donne, sul creato) o di deferenza, solo per menzionare due posizioni estreme e antitetiche. Per ogni posizione viene sviluppato un modello, che risulta “armonico” con il sistema di valori che viene innescato da tale posizione. Può sembrare un’idea un po’ faziosa, ma è indubbiamente feconda ,ed è assai interessante percorrere l’evidenza di come anche le cose “del cielo” sono legate a doppio filo a quelle “della terra”.
Un pezzo veramente squisito Marco. E anche i commenti qui sopra aprono momenti su cui riflettere.
Comunque io quando contemplo l’Universo non vedo soltanto quasar e buchi neri e il mortale freddo dello spazio, il meccanicismo di spietate e indifferenti leggi fisiche. Se descritto separatamente nelle sue piccole parti l’Universo può apparire spoglio e indifferente se paragonato alla scala umana, così come un singolo uomo percepisce insensibile la somma di tutte le tragedie passate e presenti di tutti gli altri esseri umani se paragonata alla sua. E invece ecco che la Storia dell’Universo se narrata in tutta la sua magnificenza diventa per me tutt’altro che arida e fredda: no, non è per l’uomo in sé e neppure per l’Umanità presa singolarmente, come vorrebbe una visione ancora troppo antropocentrica.
Percepisco che esistiamo come esseri capaci di interrogarci sulla nostra esistenza, quello che nelle varie epoche i teologi di tutte le religioni del mondo e di tutte le epoche hanno chiamato Scintilla Divina. Esistiamo perché l’Universo si è plasmato grazie alle sue leggi naturali, a stelle che sono vissute e morte per forgiare i nostri mattoni a partire dall’informe idrogeno. Scorgo le asimmetrie nelle forze nucleari che hanno plasmato le molecole organiche verso una particolare chiralità affinché queste possano funzionare correttamente. Vedo i campi magnetici prodotti dal nucleo di ferro fuso del nostro pianeta, là dove Dante indicò essere il più dannato dei gironi dell’Inferno, che ci proteggono dai mortali — per noi — raggi cosmici. E che dire di questi, se non che potrebbero essere la fonte dell’energia che ha fatto sgorgare le molecole biologiche nel freddo dello spazio rendendo così fertile e potenzialmente adatto alla vita tutto il Creato?
Quando guardo l’Universo vedo tutto questo e penso quale mirabile creatura io — Uomo — sia: una parte del Tutto che si interroga su sé stesso!
Sono convinto che Dio e l’Universo siano la stessa cosa espressa con nomi diversi e che sia la fede che la scienza cerchino nel loro modo la stessa risposta percorrendo vie solo apparentemente opposte. Quando guardo le stelle mi sento davvero figlio di Dio.
Ora torno a studiare 🙂
Caro Umberto,
ti sono grato per questo commento. Grazie perché rende il post più interessante ancora, presentando un punto di vista saggiamente “integrativo” rispetto alle coordinate che ho sviluppato, e lo apprezzo molto. In effetti c’è – c’è sempre stato – un modo di guardare il cosmo che è aperto allo stupore, quello stupore che poi è l’unica vera molla conoscitiva che abbiamo a disposizione, l’unica “finestra” efficace sul mondo esterno (“Solo lo stupore conosce”, questa frase di Gregorio di Nissa è una delle formulazioni sintetiche che preferisco).
Tu scrivi giustamente “percepisco che esistiamo come esseri capaci di interrogarci sulla nostra esistenza” e questa è una percezione di meraviglia, indubbiamente, e anche di gratitudine – direi – per questo semplice fatto meraviglioso. E come ci interroghiamo sulla nostra esistenza, ci interroghiamo sul cosmo e sul mondo fisico. O meglio, lui si interroga “attraverso di noi”, ed ecco che ci possiamo riaccordare dunque, senza sforzo, a quanto dicevo nel post, sull’onda di questa visione nuovamente “confortante” dello scenario cosmologico.
Quel “reincantamento del cosmo”, insomma, che è davvero l’unica speranza anche per una vita più umana, più degna e potenzialmente bella, pur con tutto l’umano, umanissimo limite, è già viva nelle tue parole. Vivere la scienza come un’avventura di meraviglia – e la prima meraviglia di tutte è che l’universo “si faccia comprendere” – è lavorare per questo reincantamento cosmico.
Lavoro più bello, forse, non è reperibile.
Dopo aver scritto a Silvia Rambaldi, ho collegato questo articolo a quello di Grazia Gavioli, cui rimando.
Caro Marco, grazie per aver condiviso con noi la tua ricerca scientifica, la tua passione e la tua speranza.
“Il mondo”, che pure recalcitra davanti all’ipotesi di un cosmo incantato e meraviglioso, ne ha una nostalgia che lo divora.
Ha bisogno, per vivere e non disperarsi, di quelle domande che tu poni e alle quali si oppone, per ora.
I commenti così importanti che tanti amici hanno fatto sono la conferma che hai toccato un nodo centrale.
Grazie a te e agli amici di “Altra scienza”,
buon lavoro, GianCarlo
“Il Cielo tratta gli uomini come cani di paglia”.
Così moltissimi anni fa Lao Tze, pur non avendo nozioni di cosmologia, descriveva la condizione umana rispetto all’ Universo. “Cane di paglia” è una espressione cinese usata per definire oggetti senza alcun valore sia affettivo che economico. Quindi ciò che ha scritto Marco, a sentire Lao Tze, ha una eco ben più più antica che non può essere fatta risalire alla “grande distruzione” connaturata all’evolversi scientifico. Se andiamo temporalmente ancora più indietro ai Maya, notiamo che la loro cosmogonia e successiva cosmologia era basata su un Universo violento e casuale quasi quanto quello che oggi la scienza moderna ci prospetta e c’è da notare che i Maya non erano i soli ad avere “cosmologie violente” di questo tipo: quasi tutte le antiche civiltà che sono riuscite a sviluppare una conoscenza astronomica degna di nota ne hanno di simili .
E come notava Marco se noi abbiamo smarrito il “senso del cosmo” in quelle antiche civiltà lo stesso , pesante ed onnipervasivo “senso del cosmo” le ha condotte ad avere punte di violenza e crudeltà inaudite.
Quindi cosa rimane della nostra idea di Universo come “casa accogliente” ?
C’è mai stata per noi una casa simile ?
E la scienza davvero ha distrutto questa nostra illusione ?
La risposta all’apparenza è sconfortante, se diamo per valide le credenze cosmologiche antiche confrontandole a quanto oggi sappiamo e diamo per valido il pensiero di molti filosofi antichi e moderni, non sembra che abbiamo speranza: siamo soli , insignificanti e frutto di un caso in un universo infinitamente violento e fine solo a se stesso.
La scienza moderna non ha distrutto l’illusione ha solo documentato e certificato le cose per come sono e, strano a dirsi, ha gettato le fondamenta di una casa ben più solida rispetto a quella che immaginavamo prima, perché tra le infinite casualità di cui questo universo dispone, la scienza ha dimostrato che vi è anche la Vita e noi siamo quello.
E sappiamo per esperienza non scientifica che una delle forme di energia della Vita è di sicuro l’amore , per cui siamo un aspetto fondamentale di questo Universo, non siamo affatto periferici.
La Vita, dunque, è qualcosa che estrae la sua essenza proprio da questo Universo che è la sua casa naturale.
Quello che dovrebbe cambiare per sentirci di nuovo a casa è la visione di noi stessi: se come esseri senzienti osserviamo l’Universo come cosa a sè stante è ovvio che non abbiamo speranza di vedere nell’Universo una casa, se invece cominciamo a sentirci parte del meccanismo, osservandolo dal di dentro, le cose cambiano e parecchio, solo in questo modo possiamo vedere tutta la nostra casa meravigliosamente casuale piena di equilibri dinamici tra le varie forze che la vivono che la distruggono e la ricreano in forme sempre diverse: non un insieme ordinato di perfetti cubicoli freddi tutti uguali con leggi perfette che li regolano cosi come la nostra Logica umana e parte della tradizione religiosa amerebbe vedere per sentirsi a casa, ma un meraviglioso caos di cui noi stessi siamo parte rilevante, è questo che ci sta dicendo la Scienza, è questo il disegno della nostra casa di cui prima vedevamo solo una piccola parte, la cosmologia non ha distrutto nulla, ha solo squarciato il velo sui nostri occhi ed a noi , come bambini, è rimasta la paura della mancanza del riferimento 🙂
Non è come “quando si spalancano porte e finestre” , più semplicemente non esistono né porte , né finestre !
Esse sono parte della limitazione voluta dalla logica umana che giudica il senso di “appartenenza” solo legato a dei confini e condizioni specifiche, ma se si fa uno sforzo per superarli il mondo incantato non solo ritorna , ma ritorna più grande ed incantato che mai .
Gentile signor Mariano, le crudeltà inaudite hanno trovato un loro spazio in tutte le civiltà, e non vedo come dovrebbero essere conseguenza del loro senso del cosmo: e non invece dell’io egoico-bellico ferito della scissione e dalla perdita dell’integrità in seguito alla caduta.
Nel XX secolo quali cosmologie hanno prodotto i campi di sterminio del nazismo e i gulag siberiani del comunismo ?
Quei regimi totalitari erano accomunati dalla superbia dell’uomo che si ritiene autosufficiente e rifiuta la trascendenza, e hanno finito per accomunarsi nell’alleanza Molotov-Ribbentrop, alleanza antiumana e mostruosa.
Mi hanno sempre incuriosito i cultori del caso come artefice dotato di intelligenza e mosso da finalità e da senso.
Logica matematica e statistica erano gli esami che temevo di più all’università, ma li ho superati brillantemente.
Ho incontrato molti che liberamente si lasciano affascinare dal nihilismo e demoliscono prima il divino, poi la spiritualità, poi vedono la logica come evanescente, e dopo aver divinizzato la ragione e la scienza le infangano.
E mi chiedo: ma il caso che proclamano, quale fondamento statistico ha? o quale fondamento fideistico ha?
Molti cultori delle teorie del caso, e dell’evoluzionismo, mi superano sul piano della fede e su quello del dogmatismo.
Io sono cristiano e almeno dichiaro la mia libera scelta di fede, e dichiaro la mia adesione al dogma: e loro?
E non è vero che basta l’amore.
Infatti è diffuso nel mondo attuale il solidarismo nihilistico che suona così: ” Visto che niente ha senso almeno aiutiamoci per non peggiorare la nostra condizione”.
Io rispetto le convinzioni e le scelte di tutti: lo fa il Dio di Gesù che in quanto Amore dona libertà, e certo lo faccio io.
Ma il fatto è che il solidarismo nihilistico non funziona perchè è un ripiego, agisce amaramente sotto il giogo di una natura matrigna e di un caso dal ghigno feroce che è indifferente ai “cani di paglia”, gli uomini gettati a caso nel vuoto.
Mentre invece la solidarietà e la carità vere sono un canto libero che si dona al prossimo in gratuità e quindi con gioia.
Questo è possibile se c’è un senso alle cose, se l’uomo decide di dare un senso alla Vita e a sè stesso.
Ci pensi perchè se ne può fare esperienza: è l’augurio che Le faccio per il nuovo anno.
Caro Mariano, caro Giancarlo,
intanto, permettetemi di ringraziarvi in modo non formale, perché tenete vivo questo ragionar sul cosmo, e di questo mi rallegro veramente molto.
Direi che sono contento anche che arrivino spunti un po’ … diversi e gentilmente “provocanti”, nel senso migliore del termine. Se ci rimbalzassimo un coro di consensi, alla fine ci annoieremmo a morte tra noi stessi, e probabilmente non avremmo stimoli per proseguire il ragionamento.
Prendo una frase di Mariano, “La scienza moderna non ha distrutto l’illusione ha solo documentato e certificato le cose per come sono ” perché mi sembra significativa.
Ecco, no. Secondo me, no.
Io non credo che la scienza abbiamo documentato e certificato le cose per come sono. Penso che nessuna scienza potrà mai farlo, se devo essere sincero (e lo dico da scienziato). La scienza può applicare solo un “modello” al mondo, che ha una sorta di inconoscibilità intrinseca. Inconoscibile ma “modellabile”, ecco la peculiarità di questo nostro universo. Tutto va come se… tutto va come se l’universo fosse nato 13,7 miliardi di anni fa, tutto va come se la materia fosse enucleabile in “atomi” elementari, tutto va come… Ma sono “modelli”, non sono “le cose come sono”. Tante volte questi modelli ci sono cambiati sotto il naso, e nulla ci fa pensare che non continuerà così. L’universo “si fa vedere” un po’ di più quando è tempo di mettere in crisi un modello e introdurne un altro, e così si va avanti.
Mi fermo su questo particolare perché è il cardine del discorso, lavorando su questo si muove anche poi tutto il resto, la catena di considerazioni che possono essere fatte sulla cosmologia e sull’uomo. Il punto è che il modello non è “impersonale ed oggettivo” ma è frutto di una elaborazione filosofica e prettamente “meta-fisica” del pensiero, che proietta le sue precise categorie nella realtà (inconoscibile nel suo fondo profondo). Ogni categoria che getto sulla realtà mi restituisce una “struttura del reale” che risponde alle mie categorie.
Così il cosmo può apparire ostile od amichevole, a seconda delle categorie con le quali “vedo” il mondo. Leggendo il “Tao della Liberazione” risulta molto evidente e ben documentata la corrispondenza di diverse cosmologie con diversi modelli di civiltà e diverse concezioni di uomo. Dunque io non condivido l’idea di una scienza che ci dice “le cose come sono”, come non ce lo dice la letteratura o la poesia (o forse queste ultime lo fanno, in senso intuitivo). Piuttosto, mi pare che viviamo in un mondo che rimbalza, esalta, riflette le frequenze con le quali lo investighiamo.
Ovvero (ed è il punto misteriosissimo) che si piega alla nostra libertà.
Non so cosa sia il reale, ma so che è misteriosamente plastico, sufficientemente elastico, per cui posso vedere quello che sento nel cuor mio di poter vedere. So che mi risponderà sulle mie frequenze, per quanto appaia strano. “Da che punto guardi il mondo tutto dipende” diceva una canzone. Credo nasconda una verità profondissima, di portata (non scherzo) cosmologica.
Il resto è evidentemente collegato a questo punto focale, carissimi.
E le derivazioni diverse rispettano la libertà di pensiero di ognuno di voi. Il mio personale pensiero è espresso nel post, ed è più che mai “dedicato” all’opera del rincantamento del cosmo. Per alcuni popoli lo è stato, e ora può tornare ad esserlo. Ad un livello di incantamento più adulto, più consapevole e più profondo.
Ad intero nostro beneficio.
Alla fine si potrebbe dire che ognuno trova quello che cerca e non esiste nessun Assoluto
Ho dimenticato di citare:
Forse un mattino andando in un’aria di vetro… Di Montale, che rende bene il senso dell’universo secondo me.
Si potrebbe dire, caro Anon.
Ma se non ci fosse un Assoluto, vana e disperata sarebbe ogni ricerca.
Dobbiamo decidere.
Mi ricorda un mio studente che , parlando del clima atlantico delle coste della Francia, diceva: piove perche’ le mucche devono mangiare l’erba che cresce meglio con la pioggia.
Comunque ti auguro un Buon Anno!
Caro Anon, forse mi sono espresso un po’ brevemente, ma io penso davvero che non va confusa la libertà della ricerca con il fatto che… non vi sia nulla da cercare. A mio avviso, la mancanza di un Assoluto non può che togliere in modo definitivo quell’incanto del mondo, che è l’oggetto specifico del mio post. Un mondo incantato è un mondo “magico”, un mondo dove vi sono presenze che riverberano un misterioso “altro”. Nota che in questa sede non scendo a specificare la forma specifica di questo “incanto” e nemmeno la modalità in cui noi possiamo riceverlo (o Lui si comunica).
Il mio asserto, la mia convinzione, è che il mondo fisico non è capace di autocontenersi, ma è un continuo rimando a qualcosa che necessariamente lo trascende. Con questo moto di “evasione” si ritrova una completezza ed un compimento, che rimanendo al suo interno non sono reperibili. In questo sono confortato da saggezze millenarie, che in varie declinazioni hanno sostenuto ed irrobustito questa visione.
Che naturalmente, non può essere imposta, ma appena proposta, alla libera ricerca d’ogni persona.
“Comunque” (?) ti auguro buon anno!
Caro Anon, concordo con Marco che son cose diverse la libertà di cercare e il nulla da cercare.
E a noi è stata data libertà proprio dall’ipotetico Assoluto che non impone né la sua esistenza né la sua inesistenza.
L’Assoluto è. E’ L’Essere.
Io liberamente scelgo di credere che è, e che è Amore.
50% e 50% : se non si sa, l’uomo oltre ad essere libero di scegliere, ha uguali possibilità per una ipotesi o per l’altra.
Se anche il Dio di Amore in cui ho scelto di credere non esistesse, è più intelligente credere che esista perchè mi fa bene, perchè è un positivo che mi può aprire alla speranza.
Mentre il negativo toglie e può distruggere, il positivo dà e può costruire.
Mia nonna Maria, discendente dai Camuni, direbbe: “sirca mia ol frecc indel lecc”, ” non cercare il freddo nel letto”.
Sapienze popolari, sapienze millenarie, cui conviene fare un pensierino.
Senza “comunque”, davvero ti auguro un buon anno,
GianCarlo
Buon Anno anche a te caro Giancarlo!
Grazie Marco per le tue riflessioni e per quelle che induci in noi tutti.
Leggendo qua e là verifico che la fisica, da quasi cento anni, ha superato ampiamente quella fase materialistica e meccanicistica che connotava il precedente pensiero scientifico. Non siamo più osservatori che guardano il mondo che esiste fuori da noi. Osservatore e cosa osservata sono intimamente legati, sono la medesima cosa, sono l’unica cosa. La realtà è una effettiva sovrapposizione di stati possibili che si rivelano quando osservati. E’ la coscienza dell’osservatore che estrae la realtà dalle infinite possibilità di esistenza.
Molti scienziati affrontano il tema della coscienza come effettiva creatrice di quello che percepiamo. Si legge di COSCIENZA UNA alla quale tutti apparteniamo anche se ad un basso livello e con molte limitazioni che ci impediscono di viverla compiutamente. E poi la non località ormai dimostrata del nostro universo dove avvengono comunicazioni istantanee fra punti lontanissimi che sono in realtà non separati perché intimamente connessi da sempre.
E le nuove interpretazioni sul tempo che pare scorrere e del quale viviamo la sola eternità del presente.
Sembra proprio che la fisica stia avvalorando scientificamente visioni ben descritte 6 o 7 mila anni fa. Per i Veda la realtà era maja, illusione. E l’anima universale Brahman si scopre essere tutt’uno con lo spirito dell’uomo Atman.
Come non legare questo all’esistenza di un inconscio collettivo, alle idee fantastiche sull’ordine implicito ed esplicito ed a quella interpretazione olografica dell’universo per la quale ogni minima parte contiene l’informazione del tutto
La fisica attuale sembra validare una visione spirituale dell’esistenza mentre altre scienze che dovrebbero essere più vicine all’uomo come la biologia e le neuroscienze stanno avvalorando una visione organicistica e materialistica dell’essere umano. Sembra dipenda dal fatto che i biologi non sono abituati ad avere a che fare con realtà immateriali che invece sono oggetti familiari per i fisici.
Cose affascinanti nelle quali mi perdo.
Grazie ancora
Carissimo Claudio,
grazie per il tuo intervento oltremodo interessante! Ci sono molti segni – a volerli leggere – nella fisica “moderna” che puntano decisamente ad un superamento totale del meccanicismo ottocentesco, e anzi ad un mondo totalmente diverso da quanto siamo ancora abituati a pensare. La fisica moderna – e questo è interessantissimo in questa sede – ci punta verso un mondo di “relazioni” e non di “oggetti”, nel senso che – scavando scavando – la verità ultima è proprio la relazione! Se ci rendessimo appena conto dell’importanza impressionante di questo concetto, noi che abbiamo ancora in testa un mondo di “cose”!
Che il mondo sembra fatto in modo che scavando non trovi una particella elementare ma una rete di relazioni, come verità ultima, non lo dice, si noti, un qualche teologo con velleità di scienza, ma (anche) un fisico ben noto come Carlo Rovelli, nelle sue (a buon diritto) molto diffuse “Sette brevi lezioni di fisica”. E se vogliamo, un quadro molto vicino a quanto tu argomenti, emerge già in un libro degli anni ’70 del secolo scorso, il celebre Tao della Fisica, di F. Capra, dove il rigore scientifico si accompagna felicemente ad una serie di impressionanti analogie con il pensiero orientale.
Non so dirti in verità cosa “bolle in pentola” per la biologia e le neuroscienze, per mancanza di competenza in materia. Spero vivamente che qualcuno che bazzica nel ramo finisca tra le (inoffensive, docili) maglie del gruppo AltraScienza, in modo da poter fare un lavoro anche in quella direzione 😉
Un saluto,
Marco