Non è semplice condensare l’esperienza di far parte del gruppo Darsi Pace in poche righe.
La prima parola che emerge dal cuore è libertà, ognuno di noi è libero di parlare, di tacere, libero di esprimersi senza una maschera, libero di essere debole, fragile, senza paura del giudizio; è il luogo della rinascita di una socialità di tipo comunitario, dove ognuno viene visto, viene accolto, in cui ci si sostiene vicendevolmente, in cui si sperimenta l’unità, l’unità di tutte le nostre parti che riconosciamo negli altri.
La partecipazione al gruppo è totalmente libera, non lo faccio per obbligo, perché ho preso un impegno, o perché “devo”; l’espressione “devo” si dissolve, per lasciare spazio a “voglio” e alla consapevolezza che il contributo di ognuno è importante per la crescita di tutti.
Per molti di noi, prendere parte agli incontri richiede un notevole sforzo (alzarsi presto al mattino, fare un viaggio in treno anche di più di due ore etc) ma quando torniamo a casa non ci sentiamo stanchi e affaticati, ma al contrario, pieni di energie.
Il gruppo Darsi Pace è nutrimento, nutrimento dell’anima, per cui donativo di forza ed energia.
Il nostro impegno per “esserci” è di grande valore; provo per questo un grande senso di gratitudine, che esprimo a modo mio, portando sempre qualcosa di buono da mangiare per il pranzo.
Momento anche questo molto importante della nostra giornata, dove discorriamo delle più svariate questioni e dove si stringono i rapporti tra noi, anche solo con uno sguardo o un abbraccio.
Il nostro gruppo è molto variopinto, ci sono anziane signore, giovani filosofi, musicisti, e chi più ne ha più ne metta, la nostra piccola comunità non ha confini né di età, di religione, pensiero politico o altro; stiamo semplicemente e umilmente percorrendo insieme lo stesso cammino, non importa che anno del percorso Darsi Pace stiamo frequentando, non esiste quello più bravo e quello meno bravo, quello più avanti; esiste solo un mutuo sostegno, che non termina alla fine dell’incontro, ma che perdura nei giorni e nelle settimane.
Questo perché non esiste più il semplice piccolo “io”, si fa breccia qualcosa di più grande. il “noi”.
Lidia Amato