Separazione è una di quelle parole un po’ particolari. Una di quelle, e ce ne sono tante, che non suscita immediatamente bei pensieri. Proviamo per un momento a pensare alla parola “separazione” e prendiamoci un secondo per annotare le immagini che iniziano ad affollare la nostra mente. La prima a cui ho pensato io è stata la perdita. L’immagine vivida dell’abbandono, della solitudine, della scissione. Non è stato bello e mi ha portato tristezza.
Poi però proprio su quel pensiero ho iniziato ad arrovellarmi. Ed ecco apparire un’altra immagine: la ferita. La “separazione” per me, in qualsiasi contesto della vita, che possa essere la cosa più semplice come la fine di una vacanza e il rientro a casa o la cosa più seria come un lutto, non è una cosa piacevole e mi genera ferite. Tante piccole ferite che si accumulano e che nel tempo diventano i miei piccoli ostacoli giornalieri nel non riuscire ad accettare che le cose, vuoi o non vuoi, finiscono.
A questo punto del mio pensiero poi, è arrivata magicamente la parola di qualcuno.
Mio padre, qualche tempo fa non molto lontano, venne da me a dirmi: “Perché hai paura di perdere questo caro amico? Non ti rendi conto che le persone non sono di tuo possesso? Le cose della vita sono così, vanno e vengono e tu non puoi fare altre che imparare ad accettarle e vivere con loro”.
Mi arrabbiai moltissimo per quello che stava dicendo. No, io non volevo perderlo. No, io non volevo separarmi. No, io non volevo accettare. E lì, dopo mesi, tornando con la mente a quel momento, capii.
Il mio problema risiedeva proprio nella “non” accettazione. Non solo del fatto che avrei potuto perdere un caro amico, che tutt’ora è uno dei miei più stretti, ma del fatto che la vera separazione era avvenuta nel mio cuore quel giorno. Mi sentivo lontana da me, indifesa, sconnessa e per cui arrabbiata, triste e dipendente. Non potevo perdere un amico nel momento peggiore per me, quello in cui vivevo la separazione più grande e dolorosa che possa esserci: quella da sé stessi.
Questo piccolo esempio cari amici, per ricordarmi di ricordare a me stessa e agli altri quanto riusciamo a soffrire e a far soffrire gli altri nei momenti di separazione da noi stessi. Perché in quella parte che si allontana per osservarci, criticarci e farci sentire separati, risiede quello che noi chiamiamo Ego. E no, non preferisce restare con noi. Preferisce accontentarsi di vivere nel disagio di una vita di ombre, omissioni e paure. E pensando e ripensando sono riuscita, almeno secondo me, a capire qualcosa in più che prima ignoravo. Che io ho il piccolo potere di dissolvere nel nulla la sua presenza. Con la semplice definizione di “separazione” mi ricordo istantaneamente un dolore che d’improvviso torna a essere piacevole come tante altre parole. Sì, perché è l’unica e vera sfida a trovare il coraggio di accettarmi anche nei mie momenti di debolezza, riconoscermi e ritrovarmi.
A volte sottovalutiamo questo nostro immenso potenziale di potere sussurrarci parole così importanti e precise quasi da far rabbrividire. Eppure la parola è proprio quello strumento così prezioso che tramite l’identificazione ci permette la conoscenza e la liberazione.
Ecco perché il nostro progetto il Dizionario della Nuova Umanità prosegue da quasi un anno senza interruzione a diffondere, tramite le parole, le ragioni di sofferenza e di gioia dell’uomo e, cosa ancora più importante, la via della liberazione dall’ego e di riconnessione alla vita dello Spirito, uno Spirito che ama gli uomini e desidera portare pace e giustizia sulla terra.È così che, in occasione della luna piena di oggi 17 giugno, pubblichiamo la nostra parola “separazione”. Il prossimo appuntamento è tra 14 giorni per la luna nuova del 2 luglio.
Buona estate, in compagnia dei piane
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