DarsiSalute propone la seconda delle due interviste al teologo Francesco Massobrio.
La prima è disponibile qui.
In questa seconda conversazione siamo andati alla ricerca di ciò che ci caratterizza come esseri umani. Sono emersi in particolare i tratti del sentire, del simbolico e della libertà.
Certamente non siamo soltanto un puro dato di natura, eppure la nostra vita si può esprimere soltanto come concretezza. “Le connessioni cerebrali – ci ricorda Massobrio – si formano all’interno di esperienze, di azioni, di modalità con cui stiamo nel mondo” e tutto questo accade fin dall’avvio di ogni esistenza.
Veniamo al mondo abitati da un “intuito antropologico” fondamentale che la vita sia bella da vivere, e il sentire è esattamente ciò che viene destato da questo lato attraente della vita. Insomma, la vita ci affascina, nelle relazioni con noi stessi, con gli altri, con il mondo e ultimamente con Dio, in modo man mano più consapevole, ma comunque fin da quando siamo bambini. C’è un aspetto promettente della vita che ci sollecita, che accende il sentire come sentimento, e così ci mette in movimento tramite il desiderio.
“Il sentire cioè è un’apertura verso il senso del mondo” che poi è la domanda: è praticabile questa vita che mi ritrovo tra le mani? Immediatamente allora siamo chiamati alla ricerca del giusto senso di stare al mondo, e questo richiede subito un deciderci per, un acconsentire a, che talvolta si fa obbedienza, e certamente formazione.
La vita allora, aprendosi come attraente e promettente, ma ben presto mostrantesi anche come drammatica, è un compito che si può ottemperare con stile laborioso. Vivere è impegnativo, sempre da ripensare, da scegliere, da discernere.
La società odierna ha invece puntato tutto sul lato allettante, stimolante, lasciando indietro il lato laborioso. Così dal sentire / sentimento scivoliamo nell’emotività, nello stimolo che si dissolve nell’istante, nel bisogno che è la brutta figura del desiderio. E così perdiamo l’occasione di assaporare davvero il lato promettente, per andare a caccia di una soddisfazione pronta all’uso che entri in azione ad ogni pizzicorino dell’impulso.
Così facendo però smarriamo il gusto del senso del mondo.
Il sentire come apertura al senso è possibile proprio perché l’essere umano non è appiattito sull’istinto biologico, ma è immediatamente simbolico. Tutto ciò di cui facciamo esperienza ha fin da subito un’implicazione simbolica, che va oltre il dato di fatto, perché il biologico e il simbolico nell’uomo sono co-originari: dal fiore che regalo ad un’amica (che non è mai soltanto una pianta erbacea) alla vita donata per altri fino alla morte (che non è mai soltanto una persona annotata nel registro dei deceduti).
La libertà allora è la possibilità di prenderci in mano la vita, di deciderci in modo così radicale fino ad andare contro le logiche del mondo (che possono essere anche le logiche di un impulso di sopravvivenza), la possibilità di assumerci responsabilmente la vita e cercarne il giusto senso.
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