“Non mi raccontare quello in cui credi: fammi vedere come preghi!”
Così Antonio, nella sua densa testimonianza, ci stimola ad approfondire e a scandagliare i modi di scendere nell’interiorità, al di là dei dogmi concettuali, degli schemi mentali, e di ciò che crediamo di credere.
Una preghiera di totale abbandono implica un processo di conversione: dal narcisismo autoreferenziale dell’ego allo slancio fiducioso verso un’alleanza che ci libera e ci salva.
Nella riscoperta di una spiritualità più profonda e incarnata, non limitata al compimento volontaristico di atti devoti, il corpo assume una nuova e importante dignità, proprio perché è lì, sul piano sensibile e sperimentale, che si tocca con mano la gratuità del processo trasformativo.
Una buona pratica meditativa quotidiana ci predispone con umiltà alla realizzazione degli stati trasformativi, li prepara e li propizia, attraverso l’esercizio di un ‘attivo’ abbandono, di una passività ‘alacremente perseguita’, pur con tutte le nostre discontinuità e debolezze.
Gli stati fioriscono nella misura in cui li realizziamo, uno per volta, senza fretta, senza pretese, con precisione e con una tranquilla consapevolezza.
Dal nostro progressivo divenire ‘recipienti capaci’ (di lasciarci salvare, di ricevere la grazia…) sperimentiamo una dimensione di alleggerimento, di dolcezza, e di gioia piena.
Così ci accorgiamo che questo momento, precisamente questo momento qui, “è veramente un momento meraviglioso”.
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