Testimonianza di Betta: affidandosi ad un nuovo inizio
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Testimonianza di Betta: affidandosi ad un nuovo inizio
La testimonianza di Enrico Macioci al corso di Marco Guzzi “La Ri-Generazione” (25-29 marzo 2009) precede di 6 giorni il terremoto all’Aquila.
Enrico è abruzzese e aquilano, la sua casa è stata danneggiata dal sisma, e attualmente risiede con la moglie presso i suoceri, fuori città.
Mi sembrano molto significative del suo percorso di ricerca le parole che ci ha rilasciato a commento del lavoro svolto nel seminario, che aveva come sottotitolo “Critica e trasformazione delle immagini di Dio, dell’uomo e della società”.
In esso Marco si prefiggeva di mostrare la corrispondenza tra immagini di Dio (tra ‘teologie’, compresa quella ateistica) e immagini dell’uomo (‘antropologie’), e di farci sperimentare come molte concezioni, anche inconsce, di Dio, o, più semplicemente, del senso della vita, abbiano il potere di bloccarci nel nostro processo di liberazione e di mantenerci in uno stato di paura e di soggezione.
L’idea di un Dio-Persecutore, che giudica e punisce e ha bisogno dei sacrifici delle sue creature, come anche l’idea di un Dio-Assente e cioè di un universo privo di senso, un ‘tritacarne’ in cui l’uomo non ha più dignità rispetto a un verme della terra, e, come diceva Sartre, è soltanto ‘una passione inutile’, ci schiacciano alla nostra datità e annullano ogni speranza, ogni fiducia nella bontà delle cose.
Solo la buona notizia, una visione che diventi esperienza vissuta, dell’amore incondizionato di un Dio che è in noi, ed è un Padre che accoglie le nostre fragilità, potrà far fiorire la nuova umanità che a fatica sta emergendo sul pianeta terra.
Auguriamo a tutti noi di poter continuare a crescere nella forza e nella libertà, con la certezza che questo amore incondizionato non ci farà mai mancare ciò di cui abbiamo bisogno.
Ad Enrico auguriamo anche, come scrittore e intellettuale (un suo intervento su Paul Celan lo trovate su questo sito), di riuscire sempre più a condividere e a mettere al servizio degli altri il suo percorso di liberazione, ad essere “un esperimento vivente con la verità”, secondo l’invito di Nietzsche, evitando però di bruciarsi con il ‘troppo fuoco’, la scarsa presa a terra, e quindi imparando sempre di più e sempre meglio a disattivare i pensieri negativi, a diradare le ombre della mente capziosa, e i suoi cavilli che giocano sempre a nostro sfavore.
E anche il pianto che zampilla in queste sue poesie potrà diventare acqua di vita che irriga l’anima per nuovi sbocci di eternità.
OB-AUDIRE
sul prato
i crochi
stridono
tenui
sul vetro
scivola e non scalda
questo avvento,
scivola e non scalda
selve aurorali
alla mia finestra
verranno, sporgeranno
sin dentro i sogni
già mi pendono i rami
sopra le ciglia, già mi
stillano tutta la resina
per piangere bene
29.3.2009
PRESENTE
forse ho pianto
un mattino
verde come
fumo di ceppi
forse ancora
là mi si troverebbe
chino, alla fonte
venuta dal cosmo
là, dove il presente
è un lago espanso
di rorido vino
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Un altro racconto, dopo quello di Antonio e Giulia, una altra occasione per capire e per interrogarci sui segreti dell’amore e dell’unione tra uomo e donna.
Come accompagnamento del video e della testimonianza che Giuseppina e Fabrizio ci hanno dato al termine del corso intensivo “Imparare ad amare” nel novembre 2008.
E’ importante per noi sentire come nella storia umana ogni costruzione vera si basi su una ricerca inesausta e costante del senso delle cose, su una fedeltà alla vita che supera ogni chiusura o tentazione di ripiegamento su se stessi.
Ed è bello, a livello individuale, ma anche come coppia, non stancarsi mai di ri-raccontare la propria vita, magari in poche righe, in una sorta di esercizio essenziale ed esistenziale, che aiuta ogni giorni a ri-allinearci, a ritrovare il filo, la direzione, e lo slancio per nuove fioriture.
Lascio alle parole dirette di Giuseppina il compito di una sintesi, necessariamente non esaustiva, delle cose che hanno segnato e che guidano il tracciato della loro vita.
Al termine, due poesie che Giuseppina ha dedicato a Fabrizio nel corso degli anni.
“La nostra storia d’amore è iniziata esattamente 40 anni fa con una dichiarazione (allora era d’obbligo!!) sulle rive del mare di Populonia dove eravamo in gita insieme a tanti amici, il giorno di S.Giuseppe. Entrambi siamo partiti con la serietà e la certezza di essere fatti l’uno per l’altra.
L’incontro fu una vera svolta nella nostra vita, in particolare per me che, avendo vissuto tanti dolorosi lutti familiari mi ero tuffata nello studio e stavo per concludere gli studi all’Università di Pisa nella facoltà di lingue e letterature straniere. Ero convinta che sarei ritornata per sempre nella mia Sardegna per insegnare francese nelle scuole medie, ma la vita riservava altre destinazioni…
In effetti siamo sposati da 37 anni e per motivi di lavoro, necessità abitative e affettive (Fabrizio, ingegnere elettronico, è stato dirigente Telecom) abbiamo fatto sette traslochi con cambi di sede (Cagliari e poi Roma e Pisa), città dove non abbiamo potuto contare sul sostegno delle famiglie d’origine per la crescita dei figli.
Abbiamo sempre creduto e detto di esserci sposati in tre, non solo perché le nostre nozze furono benedette da tre sacerdoti amici di Fabrizio, ma soprattutto perché, essendoci sposati ad Assisi a meno di un anno dalla morte di mio padre, avevamo sentito particolarmente il bisogno del Padre come garante e custode del nostro SI.
In effetti durante il nostro cammino lo abbiamo sentito sempre presente (anche quando sembrava assente) in tutte le nostre difficoltà e negli scontri a volte anche molto forti che si sono sempre e comunque risolti riportandoci all’unità più consolidata.
Il nostro “nomadismo” è stato faticoso, ma segnato da tanti incontri e doni.
Nei nostri sogni c’era una famiglia numerosa con molti figli anche adottivi, in effetti ne abbiamo solo due (uno di 37 e l’altro di 30 anni), inizialmente affidati e poi adottati.
Il loro inserimento non è stato facile, specie quello del più grande che ci è stato affidato ad otto anni, quando il piccolo, affidatoci a 25 giorni, aveva 16 mesi.
Ora lavorano entrambi e vivono vicino Roma.
Per dare un sostegno adeguato al figlio maggiore la cui primissima infanzia è stata vissuta dentro un lager familiare abbiamo avuto bisogno per lungo tempo di un sostegno psicologico per noi genitori, cosa che ci ha messi in discussione profondamente, lavoro che continua… a farci camminare per imparare ad amare davvero….
Nei vari spostamenti abbiamo ricevuto il dono di incontrare tanti amici, ci siamo inseriti in gruppi, associazioni di volontariato e ricerca umana e spirituale (come, ad esempio, l’Associazione Ore Undici, http://www.oreundici.org/).
Abbiamo avuto una relazione privilegiata, intensa e consolatrice con la comunità dei Piccoli fratelli e sorelle del Vangelo di Charles de Foucauld, in particolare con fratel Carlo Carretto, fratel Arturo Paoli e la petit soeur Lidia Gert (olandese che per 30 anni ha vissuto da itinerante come il pellegrino russo).
Tutti e tre hanno vissuto per qualche tempo in casa nostra: sono stati per noi doni inviatici dal cielo. Ora, sia Fabrizio che io siamo in pensione. Da tre anni ci siamo trasferiti a Pisa e facciamo la spola tra Roma, dove stanno i figli ed abbiamo tanti amici, e la Sardegna.
Dopo la pensione nel 2002, ho pubblicato il mio primo libro di poesie e continuo a scrivere e a tenere contatti con alcune classi di studenti delle scuola medie per laboratori di poesia, invitata da colleghe-amiche.
Anche per questo mio interesse per la poesia considero l’incontro con Marco un grande dono, di cui faccio tesoro anche quando incontro i ragazzi nelle scuole”.
Nozze d’argento
E’ stato come circumnavigare l’Africa
spinti dal vento, dalla tempesta,
arenati talvolta per la bonaccia
nelle mangrovie, breve riposo.
Ecco siam giunti
al Capo di Buona Speranza
unica, perseguita meta,
gli occhi aperti sulla bussola del cuore.
Ancora navigheremo insieme, incantati,
solo l’Amore sarà il nostro bagaglio,
unica merce di scambio, nude le mani,
fra noi e tutti i compagni di viaggio.
(Giuseppina Francesca Nieddu, Pietre Vive)
Amore contadino
Ogni giorno mio amato contadino
te stesso mi porti in dono
fragole, fiori di zucca, pomodorini
erbose scarpe piene di fango
ruvide mani al profumo d’orto.
L’amore alla terra, oggi risorto,
ben lo conosci – qui tu sei nato –
zappi e diserbi, accorato la gramigna
che tuo padre non ha sterminato.
Qui, con te, contadina e regina
l’amore ha il sapore
di un’unica avventura
si coltiva come la terra nell’orto
sempre risorge, mai morto,
in una fragola, in un fiore.
(poesia inedita)
Canto di Giona
Quante volte mi hai raccolto
Ai margini di me
Dove disperavo?
Sempre. Eppure
Ancora tentenno
Nella prova. Ancora dispero.
E basta un pelo
Nell’uovo, e di traverso
Mi si mette, e non lo mando giù
Il mondo, questo groppo
In gola.
” Sorvola.
La tua disperazione è il mio rigoglio
A volte.
Chi mi frequenta
Dal vero
Non riserva per sé altre speranze
Umane.
Cerca la gioia
Anche nel suo lutto.
Cerca.
E mi trova. “
Pèschici sul Gargano
30.7.95
Marco Guzzi, Nella mia storia Dio, 2005
E’ il canto del disertore, che fugge dal destino, dall’appello personale.
E’ il canto della perdizione in un universo senza cuore, nel ventre oscuro della balena.
E’ il lamento di chi si è posto ai margini, alla periferia di sé e può solo recriminare, maledire l’esistenza.
Perché dovresti occuparti di me, più che del bambino che sta morendo ora, dei diseredati della terra, delle vittime di tutti i tempi? Qual è la logica di questo quotidiano massacro? Come potrei mai essere felice, se tutto è così precario e il più minimo sollievo improvvisamente può svanire? Dov’è la tenerezza divina, la bontà di tutta questa creazione?
Sfogo la mia amarezza, la sfiducia che ci sia un senso del tutto, confesso la mia infedeltà, nonostante i segni che tante volte mi hanno fatto percepire di essere guidata verso una dimensione più integra, unificata.
Qualcosa mi raggiunge nell’estrema lontananza, nel fondo della disperazione……e il canto si apre a nuove profondità, a una risposta che sgorga paziente dalle fibre del cuore.
Mi chiedi di sorvolare, di far tacere le mie continue pretese di dare ragione delle cose, di evadere dalle gabbie di un cosmo di rigida e spietata necessità, lasciato al caso.
Mi inviti per un attimo ad abbandonare tutto il dolore del mondo, a scioglierlo, e a scaricare giù dalla schiena, dalle spalle, il groppo in gola.
Dici che dalla mia disperazione può fiorire la vita, e che talvolta la salvezza è tutta passiva, quando accolgo l’impotenza senza bloccare le tenebre al loro nome.
Desideri che io ti frequenti ‘dal vero’ per farmi vedere le cose da un altro punto di vista, dove tutto apparirà più chiaro.
Affidarmi a questo respiro profondo, rimanere nel grembo accogliente che guarisce tutte le ferite, infonde in me uno spirito di luce e di segreta gioia.
Foto: Sara Deledda, Paola Balestreri, Flickr.com
Mi trovo spesso a ripartire dal fondo di un cuore scisso e disintegrato, da una negatività e da una disperazione senza vie d’uscita.
Attendo un soffio, un orientamento: io posso offrire solo il mio divario, una divaricata inconcludenza.
Questa esposizione sincera di ciò che c’è, questa offerta dolente, nasconde un anelito di integrità e trova ascolto.
Tu mi accogli e trasformi tutto il mio nero in luce.
Il pozzo nero
Col nero rimboccato fino agli occhi
Attendo lo zefiro, lo zelo
Tuo, perché da me
Da darti ho solo il mio divario:
La mia divaricata inconcludenza.
“Mi voglio confinare nel tuo nero
Pozzo, e farne combustibile
Per l’illuminazione”.
Marco Guzzi, Figure dell’ira e dell’indulgenza, 1997, p. 131
Foto Sara Deledda
In un tempo di crisi della famiglia, è bello ascoltare questa testimonianza e gustare “il sapore dell’amore compiuto”, come recita il titolo di un libro di Antonio Thellung, qui intervistato insieme alla moglie Giulia.
Entrambi fondatori della “Comunità del mattino” e impegnati da sempre in molteplici iniziative, riescono a raccontarsi con semplicità e a mostrare come il matrimonio si possa vivere in modo creativo e appassionante.
Del resto, in tutti i saggi di Antonio, non solo in quelli sulla vita coniugale, ma anche in quelli dedicati alla realtà della Chiesa e dell’essere cristiani, viene suggerito un modello relazionale che, a partire da una costante ricerca della propria verità interiore, sviluppi la capacità di confrontarsi con gli altri e, se occorre, a “litigare tenendosi per mano e non mettendo in discussione il rapporto”.
Come cristiani, si tratta di aderire alla pratica di un dissenso “affettuoso”, che cioè sappia presentare le proprie ragioni senza mettere mai alla prova la comunione ecclesiale.
Nei suoi libri si respira l’aria gioiosa di una libertà conquistata e irrinunciabile, e al contempo l’impegno ad un servizio fedele per la comunità, che diventa tanto più solido quanto più è fondato sul coraggio della verità.
Riusciremo, come famiglie e come gruppi, a vivere questa dinamica che favorisce la crescita nell’unità?
E soprattutto, da posizioni di autorità, sapremo accogliere benevolmente la critica e il dissenso, senza separazioni e senza scomuniche? A comprendere senza subito giudicare e a volere solo il bene e l’incremento della vita?
Forse è questo uno dei segreti dell’amore. Che ve ne pare?
Per informazioni sui libri di Antonio Thellung: http://www.elogiodeldissenso.it/main.asp
Hai mai sentito piangere l’auriga?
È un canto. Il giovane
rinasce ad ogni istante
in me, e mi richiede
quello che ho perduto.
Le briglie mi tolgono il respiro
d’animale, il morso
insanguina le bave
del galoppo.
Se non son io, è lui
l’eterno me.
Marco Guzzi, Teatro Cattolico, 1991
C’è un giovane dentro di me, un principio originario di vita, un principe.
Il suo richiamo è un pianto perché non è ascoltato.
E’ un canto quando riesco a sentirlo, a riconoscerne la voce di sorgente.
Allora appare la sua figura e, richiedendomi la dignità perduta, me la ridona, fa sì che me ne possa riappropriare.
E’ desiderio puro, forza allo stato germinale: una guida potente e regale capace di governare le energie furibonde e incontenibili che mi attraversano.
Se diserto, lui mantiene la postazione; se mi nascondo e fuggo, lui continua ad esporsi; se dimentico chi sono, lui resta fedele all’immagine perfetta che eternamente mi rigenera.
Gaetano Previati, Il carro del sole, 1907
La sacra rappresentazione
Ciò che non nasce non m’interessa più.
Cade. Sa sacrificarsi.
Il sacrificio dell’asino e del bue
Scalda il presepe.
Io asino, io bue, io stalla
Di letame. Io donna
Ridente, io vecchio Giuseppe, io Mago
Che offro l’Oriente
Ai piedi dell’io bambino.
“Questo presepe è un proiettile, è un film: la sacra
Rappresentazione è la tua vita
Girata in un istante
Tra l’ora delle stelle e il tuo diluvio
Di pianto”.
Sento che vieni in me.
Sento il passo del tuo piede colossale
Varcare la figura planetaria:
Espormi.
E questo pino, davanti alla finestra,
Mi dice che sei tu
Che nutri i suoi aghi come questi
Sogni sempreverdi,
Sempre più nascenti
E veri.
Marco Guzzi, Preparativi alla vita terrena 2002
Se Gesù non nasce nel mio cuore, per me è venuto invano.
Tutte le figure del presepe si animano e mi rivivono dentro, sanno sacrificarsi per l’io bambino, per edificare l’uomo colossale: un corpo più grande di questa terra e delle sue limitazioni.
Questo presepe personalizzato è un proiettile: uccide tutto ciò che è morto e mi proietta, in una sintesi istantanea, alle estremità dell’universo.
Sento che nasce in me: varcando la figura planetaria, mi espone a dimensioni cosmiche.
La vita nuova irrompe nei sogni sempreverdi, donandomi la stupefacente grazia dell’attimo presente.
Caravaggio, Natività con i Santi Lorenzo e Francesco d’Assisi, 1609
Quando raggiunsi il cuore dei misteri
era d’inverno, odioso vanto
delle tribù più vili; e lampeggiava
a tratti la dorsale
spina, nelle sinuose baie
del suo porto.
Mi minacciava
ovunque; ma fiorivo.
Come il cerbiatto
fugge sulla rupe
azzurro e cieco,
così
il moto delle fughe
mi centrò, e un fuoco
mi rifece l’occhio vuoto
per l’abbondanza delle tue cadute.
Marco Guzzi, Teatro Cattolico, 1991
Viviamo in un tempo di grande confusione e oscurità, nonostante le luci artificiali e i falsi movimenti che illudono chi resta in superficie.
Scarsi sono i richiami, gli appelli ad una crescita dell’umano: tutto sembra cospirare per renderci distratti, confusi, lontani da noi stessi.
Ci accomuna spesso uno ‘stare insieme’ tribale, fatto di riti collettivi mediatici e di sacrifici a idoli.
Poco di cui vantarsi, poca vitalità e energia “nell’oscuro distretto degli uomini” (Trakl).
Eppure basta un momento per raggiungere il cuore dei misteri.
È un’avventura che accade nella viltà, nell’umiliazione, nel gelo di quest’inverno della civiltà.
Accade nel corpo, lungo la spina dorsale, a lampi.
Con la minaccia di forze avverse e a rischio di spaventose aperture.
Un flusso di energia spirituale inonda la mia vita con una dinamica folle e precisa, un fuoco accende la nuova visione nell’occhio purificato dalle acque del cielo.
Questa visione mi dice emotivamente dove mi trovo, offrendomi delle tracce per proseguire il cammino.
Mi assicura che, nonostante tutto, inesorabilmente, fiorisce il seme della crescita.
Dove il mio io sa vedere solo la penuria, il finire, la morte, questa parola rivela abbondanza di vita, ricchezza di doni e di futuro.
Immagine: Alessandro Guzzi, Il luogo della cerva, 1991
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