Liberazione Interiore -> Trasformazione del Mondo
In questi giorni mi è nato un bambino.
In questi giorni freddi, nel cuore dell’inverno, mi è nata una figlia.
E ancora una volta – per la terza volta – assistendo in diretta all’evento, sono rimasto senza parole osservando come la vita meravigliosa possa sbocciare, apparentemente dal nulla. Da un ordine di infinitesimale piccolezza a un essere strutturato, che sin dai suoi primi vagiti manifesta una personalità propria, una attitudine di diversità, un ‘carattere’, una propensione che nessuno sembra possa avergli insegnato.
E come sempre, mi sono trovato a fare i conti con l’emozione, ma anche con le ansie per il futuro. Che vita sarà ? Che destino sarà ? Che mondo troverà, e lei, che posto avrà nel mondo ?
Sono sicuro che su questa dicotomia – è gia tutto scritto O siamo noi a decidere quale vita avremo ? – si gioca tutto quello che chiamiamo ‘Spirito del Tempo’. E assai spesso ne abbiamo discusso anche qui a Darsi Pace.
Io sono convinto che la vita, la nostra vita è come una assicella in equilibrio tra queste due verità: ciò che ci viene consegnato, da una parte; e ciò che dobbiamo fare noi, che non è poco.
Ripenso alle parole di Gesù (Lc 11,5), che mi sembrano mai così chiare come in questo momento:
“Ebbene io vi dico: Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chi chiede ottiene, chi cerca trova, e a chi bussa sarà aperto. Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pane, gli darà una pietra? O se gli chiede un pesce, gli darà al posto del pesce una serpe? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se dunque voi, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono!”.
Un padre non darà pietre al posto del pane al proprio figlio. Un padre farà il suo. Ma poi, sarà il figlio a farsi la sua strada. Sarà il figlio a dover imparare a chiedere. A bussare alla porta giusta.
E, io mi dico, se chiederà, se busserà, se vivrà la sua vita, lo Spirito si farà trovare.
Fabrizio Falconi.
La vità è bella?
Picchiare qualcuno è giusto?
Dio esiste? e Babbo Natale?
La Morte è cattiva? e gli zingari?
Lui/Lei è buona o cattiva?
Domande impegnative. Le risposte poi non ne parliamo.
Vi siete mai chiesti a che età si comincia a fare questo tipo di domande?
Prima di rispondere fermatevi un attimo. Datevi una risposta e poi continuate a leggere.
Irene, mia figlia, ultimamente m’insegue con queste domande. Dirette. Puntuali. Insistenti. Irene ha quasi sette anni. Come lei anche le sue amiche non scherzano.
Avete capito quanto sono tranquillo ogni volta che Irene mi dice: “Papo, ma … ” oppure “Papo vieni dobbiamo parlare …”
“Cosa” rispondere lo ritengo un problema minore rispetto al “Come”. Come si risponde a Irene? Come si risponde a chi ti fa queste domande?
Mentre ci riflettevo mi sono accorto che quelle domande ci accompagnano sempre. Ci girano sempre intorno. Fin da piccoli. Mi sembra che solo i bambini riescano però ad andare dritti al punto mentre noi svicoliamo … noi, abitanti delle terre di mezzo (nessun riferimento al Signore degli anelli) dove tutto dipende da altri o da qualcos’altro. Ci esprimiamo con un linguaggio ambiguo dove non è mai chiaro cosa è giusto, chi è buono o cattivo.
Chi ascolta oggi, un umano così? Nessuno.
Non poche volte mi sono domandato come mi vede mia figlia o quel bambino e in generale gli altri. Come vedono il mondo che gli racconto e che esprimo con il mio fare. Come rispondo.
E’ tempo di prenderci cura non solo del contenuto (il COSA) ma della sua corretta ricezione. Rendersi conto che dal COME dipende anche la credibilità del messaggio. Potremmo dire che è un fatto di “stile”.
Le risposte di mia figlia (e dei bambini in generale) sono bellissime. Secche, Dirette e senza mezzi termini. Una lucidità impressionante. Io rido di gusto. A volte no. Poi ridiamo insieme. A volte no. Spesso ti accorgi che è necessario riflettere o far riflettere. Un bel parlare insieme… fino a quando non abito (abitiamo) la terra di mezzo (potrei sintetizzare così il percorso Darsi Pace, fuori dalla terra di mezzo).
Vedere il mondo con occhi “altri” è una grande opportunità. I figli e in generale tutti i bambini, sono una via privilegiata perchè sono gli occhi “altri” più vicini a noi. Viviamo in tempi che mai come prima offrono questa possibilità.. Naturalmente c’è anche chi pensa sia un problema, una “maledizione”. E’ l’una e l’altra cosa insieme … dipende a cosa diamo più spazio a quale parte alimentiamo di più. A quanto vogliamo incontrare gli altri. Questo necessita di uno stile. C’è da domandarsi quale …. e quale differenza produce rispetto ad un altro 🙂
Concludo con un simpatico aneddoto tratto dal blog di Luca Di Biase
Un domenicano e un gesuita stanno leggendo il breviario. Il gesuita fuma. Il domenicano osserva: “Ma come: fumi mentre leggi il breviario?”
E il gesuita: “Sì, ho ottenuto il permesso dal vescovo…”
“Anch’io ho chiesto il permesso, ma mi è stato negato” dice il domenicano.
“Ma come glielo hai chiesto?”
E il domenicano: “Ho detto al vescovo: ‘Eminenza, posso fumare mentre leggo il breviario?’ E lui mi ha cacciato in malo modo”.
Il gesuita sorride: “Hai sbagliato la domanda. Io ho chiesto: ‘Eminenza, posso pregare mentre fumo?’ E lui ha approvato con gioia…”
Photo credit: Alessandro Pinna, un caro amico.
Clicca sulla notizia che vuoi visualizzare:
Le fiabe raccontano la nostra storia, non parlano d’altro che degli eterni e universali conflitti che ciascuno di noi incontra nel divenire se stesso, nel suo quotidiano costruirsi in umanità. […]
Il Corso intensivo estivo di svolgerà quest’anno nel Convento dei Padri Barnabiti, a Campello sul Clitunno (PG), un luogo incantevole dell’Umbria. Ci occuperemo del contrasto che spesso viviamo tra l’anelito alla relazione e il desiderio di difendere la nostra libertà. […]
Il volto sempre più pornografico del nostro tempo, traboccante di una sessualità ostentata e mercificata, non segnala affatto una esuberanza del desiderio, quanto piuttosto uno spaventoso calo dell’eros reale. In questo mondo di passioni virtuali o comunque tristi e squallide, soffriamo in realtà di una penuria crescente di passioni autentiche, e di creatività. […]
Forse avrete già visto queste immagini di cronaca recente o comunque ne avrete sentito parlare, le ripropongo perché il vederle mi ha trasmesso forti emozioni.
Cominciando dal video meno recente; il 4 gennaio all’aeroporto di Newark (USA) un uomo sfugge ai controlli. Cominciano momenti di panico dovuti anche al fatto che le autorità aeroportuali, non riuscendo a rintracciare l’individuo, hanno pensato bene di far uscire dalla zona di sicurezza i passeggeri per farli ripassare ai controlli. Risultato: un centinaio di voli bloccati, migliaia di persone costrette a bivaccare nell’aeroporto… ma ecco che, nella tensione e stanchezza generale, Josh Wilson, giovane cantante pop, a un certo punto tira fuori la chitarra ed intona “Hey Jude” incoraggiando gran parte delle persone a seguirlo con un coro. In un attimo le note di una canzone, che non ha tempo ed è nel cuore di tutti, uniscono persone che vivono la stessa situazione …e non c’è più, in quell’attimo, alcuna differenza di razza, di religione, di età, …………..!
Il secondo video mi ha illuminato la giornata, l’altro ieri; l’ho visto prima di uscire di casa, si tratta solo dei primi fotogrammi (non vi consiglio di vedere il resto), e consiste nella ripresa in diretta del salvataggio di un bimbo di 5 anni di Haiti dopo 8 giorni dal sisma. Il bimbo appena estratto dalle macerie, sorride allargando le braccia. Probabilmente non rivedrà più i suoi genitori, probabilmente continuerà a vivere di stenti, ma….nonostante tutto….sorride alla vita. Nonostante tutto!
Link al secondo video: http://www.video.mediaset.it/video/tg5/servizio/151942/haiti-nuove-scosse-e-piccoli-miracoli.html
Giovedì 28 gennaio rilanceremo a Roma il progetto culturale della collana Crocevia, edita dalle Edizioni Paoline e diretta da Marco Guzzi.
Sarà un modo per approfondire le ragioni che stanno alla base del nostro lavoro dei Gruppi Darsi Pace.
L’incontro, organizzato in collaborazione con il Comune di Roma, sarà moderato da Maria Ida Gaeta, che dirige la Casa delle Letterature e introdotto da Giuliano Compagno, dell’Assessorato alla Cultura di Roma.
Parteciperanno Marco Guzzi e Mauro Ceruti, che è un filosofo molto attento ai mutamenti antropologici in corso, ed è anche Senatore della Repubblica.
Siete tutti invitati personalmente e anche sollecitati, se lo riterrete opportuno, a diffondere la notizia di questo evento.
La collana CROCEVIA nasce dal presupposto che attualmente ci troviamo in una fase storica di enormi trasformazioni, addirittura di svolta antropologica, e che purtuttavia manchino spesso chiavi interpretative adeguate, sia in ambito laico che cristiano, per attraversare questo tempo in modo positivo, come tempo propizio per l’emersione di una nuova figura di umanità.
CROCEVIA si rivolge perciò a quel vastissimo pubblico, continuamente in crescita, che sta cercando risposte al proprio smarrimento interiore e che spesso non si sente affatto rappresentato dalle proposte della cultura dominante.
CROCEVIA si rivolge a questi milioni di italiani in ricerca, credenti e non credenti, e si pone perciò al crocevia tra assenza di fede e necessità di rinnovamento della fede; al crocevia dei tempi e dei saperi; al crocevia delle discipline e dei linguaggi: lì dove appunto sta germogliando la sintesi nuova di umanità che preme in ciascuno di noi.
LA DISCESA A OSTACOLI DEL CRISTIANO
Poco più di due minuti. Tanto dura il frammento del proprio futuro che ogni uomo della Terra riesce a vedere con chiarezza. Un futuro che trova conferma nei riscontri incrociati tra miliardi di testimonianze. Chi si vede innamorato di una persona che ancora neppure conosce diversa dal proprio coniuge. Chi sorprende se stesso inseguito da killer minacciosi. Chi sta semplicemente sulla tazza del water a leggere il giornale. Chi invece non vede nulla, perché quel giorno sarà già morto. È lo spunto di partenza di Flash Forward, telefilm americano partito di recente anche in Italia. Serie tratta dal bel romanzo di Robert Sawyer (regalatomi dal mio amico e collega di redazione Marco).
È un libro che, insieme alla serie, consiglio. Perché, nella trama ricca di azione e colpi di scena, pone domande molto forti su ciò che siamo. Anzitutto: il futuro dipende completamente da noi o è già scritto? E nel caso fossimo in grado di conoscerlo, dobbiamo rassegnarci a subirlo in modo passivo, bello o brutto che sia, o possiamo cambiarlo? A generare questo gigantesco salto in avanti temporale, nel libro (in cui il passaggio è di decine di anni) come nel telefilm (dove per rendere più stringente l’azione è di pochi mesi rispetto al presente, con annessa minaccia terroristica), è un esperimento mal riuscito al Cern di Ginevra. E questa è la fiction.
Nella vita vera, invece, mi sembra di percepire qualcosa di simile al tema di Flash Forward nelle nostre attitudini inconsce. Già, quei meccanismi difensivi indotti dalle proprie ferite che nel produrre pensieri e preconcetti in modo automatico delineano ogni giorno piccole e grandi profezie sul nostro futuro. Pensiamo per un istante a cosa sarà tra sei mesi la nostra vita e ci vediamo alle prese con la stessa noia di oggi: quello sbadiglio davanti al televisore o lo stesso scontro con il collega odioso di sempre. O magari vediamo qualcosa di peggiore, percepiamo che perderemo un’occasione, o un lavoro, o una persona cara. Oppure, quando le cose girano bene, vediamo un paesaggio più roseo. E ci sentiamo col vento in vela. Anticipazioni che, a volte, si avverano. O, forse, semplicemente, si autoavverano, proprio perché da esse siamo attratti in un vertiginoso gioco di causa e effetto, così come Macbeth diventa esecutore consapevole e insieme vittima impotente della sua stessa tragica profezia, una volta che l’ha appresa dalle tre streghe.
Quanto pesano queste vere e proprie visioni che abitano i nostri pensieri, anticipazioni del futuro che spesso orientano in quella direzione le nostre vite? Quanto siamo agiti da questi presagi che ci fanno sentire come bestie condotte al macello, rassegnati a finire dove il nostro oracolo interiore ha indicato che finiremo, in modo inconscio o sotto forma di umori indistinti. Spesso in qualche brutto posto. Perché questo? Laici o religiosi, atei o devoti, tutti siamo più o meno convinti di disporre del nostro libero arbitrio. Poi, tutti, più o meno sperimentiamo la difficoltà di mantener fede ai nostri impegni, siano smettere di fumare, tenere più in ordine la scrivania o passare più tempo con le persone amate. Perché? Che qualcosa ci sovrasti in modo inappellabile lo pensavano già i greci: malgrado tutti i nostri migliori sforzi, ci dice per esempio l’Edipo Re di Sofocle, c’è una predestinazione nelle nostre vite a cui è impossibile sfuggire. Se è destino che ucciderai tuo padre e sposerai tua madre, questo avverrà nonostante tutte le precauzioni per evitarlo. E l’idea di un destino già scritto è, per certi aspetti, anche alla base del pensiero protestante. O, nei tempi odierni, è la stessa fisica quantistica a ipotizzare che il futuro sia già segnato come il passato, un po’ come raccontava bene il film Sliding doors. Allora: che rapporto c’è tra libero arbitrio e destino? Siamo noi a decidere cosa fare dei nostri giorni o è qualcosa di superiore che ci fa fare alcuni incontri e ce ne risparmia altri? Fino a che punto dobbiamo leggere i segni, nella vita, nelle profezie, negli astri, per orientarci verso una meta già decisa o fino a che punto, al contrario, possiamo sfuggire a questa morsa, rilanciando l’obiettivo delle nostre vite anche quando gli anni e le delusioni sembrano soffiare contro il nostro slancio?
Il breve video sintetizza le domande più scottanti sul tema affrontato da Marco nella conferenza di apertura dei corsi Darsi Pace. La conferenza, intitolata “Amare alla fine di un mondo”, si è svolta il 10 ottobre 2009 ed è stata già pubblicata sul sito, nella sezione ‘Audiovisioni’.
Tra le varie questioni affrontate nell’intervista: la crisi della coppia e del matrimonio patriarcale, l’amore sempre più ‘liquido’ che oggi rende difficile il consolidarsi dell’unione tra maschio e femmina, il ruolo della sessualità e gli strumenti che occorrono nel faticoso e gioioso cammino per costruire un rapporto sempre più maturo.
Su questi problemi, e, in particolare, su come conciliare l’amore per l’altro con la propria libertà, Marco tornerà anche nel corso intensivo di luglio che si terrà a Campello sul Clitunno.
Con San Paolo (quindi in ottima compagnia!), auguro a tutti noi di poter essere potentemente rafforzati nel nostro uomo e nella nostra donna interiori, così da essere capaci di donarci e di amare sempre di più!
Non parliamo di mafia come fosse una cosa fuori di noi; parliamo della mafiosità, del male spicciolo che è dentro di noi. (Padre Pino Puglisi)
Dio ci chiama ad essere profeti. Il nostro impegno profetico di denuncia non deve e non può venir meno. Per amore della mia gente non tacerò (Don Giuseppe Diana)
Il discepolo di Cristo è un testimone. La testimonianza cristiana va incontro a difficoltà, può diventare martirio. Il passo è breve, anzi è proprio il martirio che da valore alla testimonianza. (Padre Pino Puglisi)
Il video termina con l’invito: Non lasciamoli soli! Ma come? dove trovare il coraggio profetico?
Capisco che il ‘dove’ e il ‘come’ nascono dal silenzio e dall’ascolto: ascolto di me, dei miei pensieri intrisi di emozioni spesso negate e rimosse; dall’ascolto della Parola, Parola che mi ri-crea, mi ri-genera, e mi porta a ‘vedere’ il male presente in me, ad aprire gli occhi sul mondo, a riconoscere ciò che è male e a trovare il coraggio di denunciarlo, vincendo la paura degli Erodi di turno.
“Nel secondo anno del suo regno Nabucodonosor fece un sogno e il suo animo ne fu molto agitato….
Daniele davanti al re disse: “Tu stavi osservando, o re, ed ecco una statua, una statua enorme, di straordinario splendore si ergeva davanti a te con terribile aspetto. Aveva la testa di oro puro, il petto e le braccia di argento, il ventre e le cosce di bronzo, le gambe di ferro e i piedi in parte di ferro, in parte di creta.
Mentre stavi guardando una pietra si staccò dal monte, ma non per mano di uomo, e andò a battere contro i piedi della statua, che erano di ferro e di argilla e li frantumò. Allora si frantumarono anche il ferro, l’argilla, il bronzo, l’argento e l’oro, e divennero come la pula sulle aie d’estate; il vento li portò via senza lasciare traccia, mentre la pietra che aveva colpito la statua divenne una grande montagna che riempì tutta quella regione”. (Dn 2,1.31-35)
Riconosco che la statua, simbolo del male, è anche dentro di me: aspetti di arroganza, prepotenza, violenza, non rispetto dell’altro, prevaricazione, sono anche dentro di me, perché il male, in piccolo o in grande, ha sempre la stessa radice.
Questo l’aveva capito bene don Pino Puglisi, parroco nel quartiere Brancaccio di Palermo, uno dei più disagiati e ad alta densità mafiosa (“Sono diventato il parroco del papa“, diceva scherzosamente riferendosi al soprannome del capomafia Michele Greco che dal carcere continuava ad esercitare un forte controllo sul quartiere), ucciso dalla mafia a Palermo il 15 settembre del 1993.
“Non parliamo di mafia come fosse una cosa fuori di noi; parliamo della mafiosità, del male spicciolo che è dentro di noi.
Chi di noi non ha acceso anche solo un lumicino piccolo piccolo ai tre idoli dominanti: il denaro, il successo, il potere?
Facciamo allora un atto di coraggio e puntiamo il dito contro noi stessi.
Diciamo: io comincio qui e ora.
Qualcosa cambierà certamente, per lo meno in quel pezzetto di mondo che ci è stato affidato”.
Padre Pino Puglisi, soprannominato 3P, aveva fatto del Padre Nostro la preghiera antimafia per eccellenza e sviluppato una vera e propria pastorale antimafia del Padre Nostro.
Il Padre Nostro è “un itinerario di catechesi per un cammino di conversione che comincia da noi”: contro la mentalità mafiosa che in misura diversa appartiene un po’ a tutti, perché anche in chi rimane formalmente estraneo alla mafia, si sono infiltrati mentalità, linguaggio, atteggiamenti mafiosi, che convivono spesso con forme di religiosità tradizionali.
“Un itinerario di catechesi sul Padre Nostro, nei nostri ambienti, vuole riproporre le verità fondamentali della nostra fede, restituire alle parole il loro autentico significato, creare la mentalità nuova dell’uomo nuovo che è il cristiano, figlio di Dio, ‘pietra viva’ nella edificazione della Chiesa
Il Padre Nostro è come il sassolino che manda in frantumi la grande statua del sogno di Nabucodonosor. Buon per noi se andiamo in crisi quando, recitandolo, ci rendiamo conto che non stiamo facendo solo delle domande ma anche delle professioni di fede, delle dichiarazioni di impegno, e –se lo prendiamo sul serio- corriamo il rischio di diventare presenze scomode, segni di contraddizione”.
Presenza scomoda Don Puglisi lo diventa soprattutto quando nel gennaio del 1993 inaugura il Centro Padre Nostro, solo con offerte ‘trasparenti’, rifiutando ogni proposta di ‘aiuto’ che avrebbe voluto dire sottomissione e legittimazione dei meccanismi del potere mafioso.
Il Centro è pensato per coniugare evangelizzazione e promozione umana, per realizzare una pedagogia antimafia cominciando soprattutto dai bambini.
“E’ importante combattere la mafia soprattutto nelle scuole per combattere contro la mentalità mafiosa che è poi qualunque ideologia disposta a svendere la dignità dell’uomo per soldi”.
E’ una sfida della speranza
“perché di fronte all’arroganza, alla prepotenza, alla violenza….non ci si fermi alle proteste, ai cortei, alle denunce.. … Bisogna rimboccarsi le maniche ed agire. …
Cerchiamo di tirare una corda per tirare qualcuno fuori dalla palude…
E’ soltanto un segno per cercare di muovere l’ambiente, senza presumere di risolvere i problemi del quartiere. E’ soltanto per dire che si può fare qualcosa. E se ognuno fa qualche cosa, allora si può fare molto…”
La sua azione scardina un modo di ‘pensare mafioso‘ consolidato, toglie terreno alla mafia.
Il pentito Giovanni Drago: “Il prete era una spina nel fianco. Predicava, predicava, prendeva ragazzini e li toglieva dalla strada. Faceva manifestazioni, diceva che si doveva distruggere la mafia. Insomma ogni giorno martellava, martellava e rompeva le scatole“.
Un ‘rompiscatole’ don Pino; contro di lui e i suoi collaboratori inizia una escalation di minacce e avvertimenti, ma a chi lo invita alla prudenza risponde:
“Se Dio è con noi, chi sarà contro di noi? Io non ho paura di morire se quello che dico è la verità”.
Viene ucciso il 15 settembre del 1993, giorno del suo cinquantaseiesimo compleanno.
“Me l’aspettavo” dice ai suoi killer con un sorriso. Un sorriso che sconvolge il suo assassino, Salvatore Grigoli, il quale, dopo l’omicidio, ha deciso di collaborare con la giustizia.
Don Pino non si è limitato ad annunciare principi, ma ha voluto testimoniare con la vita ciò in cui credeva, come don Giuseppe Diana, 36 anni, ucciso dalla camorra il giorno del suo onomastico,19 marzo 1994, mentre stava preparandosi a celebrare la Messa nella chiesa di S.Nicola a Casal di Principe.
Questo un estratto del documento Per amore del mio popolo non tacerò diffuso nel Natale del 1991 in tutte le chiese di Casal di Principe:
Siamo preoccupati
Assistiamo impotenti al dolore di tante famiglie che vedono i loro figli finire miseramente vittime o mandanti delle organizzazioni della camorra.
Come battezzati in Cristo, come pastori della Forania di Casal di Principe ci sentiamo investiti in pieno della nostra responsabilità di essere “segno di contraddizione”.
Coscienti che come chiesa “dobbiamo educare con la parola e la testimonianza di vita alla prima beatitudine del Vangelo che è la povertà, come distacco dalla ricerca del superfluo, da ogni ambiguo compromesso o ingiusto privilegio, come servizio sino al dono di sé, come esperienza generosamente vissuta di solidarietà”…..
La Camorra oggi é una forma di terrorismo che incute paura …. …
Responsabilità…. La Camorra riempie un vuoto di potere dello Stato che nelle amministrazioni periferiche è caratterizzato da corruzione, lungaggini e favoritismi…….
…..le carenze anche della nostra azione pastorale ci devono convincere che l’Azione di tutta la Chiesa deve farsi più tagliente e meno neutrale per permettere alle parrocchie di riscoprire quegli spazi per una “ministerialità” di liberazione, di promozione umana e di servizio.
Forse le nostre comunità avranno bisogno di nuovi modelli di comportamento: certamente di realtà, di testimonianze, di esempi, per essere credibili…..
Impegno dei cristiani
Il nostro impegno profetico di denuncia non deve e non può venire meno.
Dio ci chiama ad essere profeti.
– Il Profeta fa da sentinella: vede l’ingiustizia, la denuncia e richiama il progetto originario di Dio (Ezechiele 3,16-18);
– Il Profeta ricorda il passato e se ne serve per cogliere nel presente il nuovo (Isaia 43);
– Il Profeta invita a vivere e lui stesso vive, la Solidarietà nella sofferenza (Genesi 8,18-23);
– Il Profeta indica come prioritaria la via della giustizia (Geremia 22,3 -Isaia 5)
Coscienti che “il nostro aiuto é nel nome del Signore” come credenti in Gesù Cristo il quale “al finir della notte si ritirava sul monte a pregare” riaffermiamo il valore anticipatorio della Preghiera che é la fonte della nostra Speranza.
Appello
Le nostre Chiese hanno, oggi, urgente bisogno di indicazioni articolate per impostare coraggiosi piani pastorali, aderenti alla nuova realtà; in particolare dovranno farsi promotrici di serie analisi sul piano culturale, politico ed economico coinvolgendo in ciò gli intellettuali finora troppo assenti da queste piaghe.
Ai preti nostri pastori e confratelli chiediamo di parlare chiaro nelle omelie ed in tutte quelle occasioni in cui si richiede una testimonianza coraggiosa;
Alla Chiesa che non rinunci al suo ruolo ‘profetico’ affinché gli strumenti della denuncia e dell’annuncio si concretizzino nella capacità di produrre nuova coscienza nel segno della giustizia, della solidarietà, dei valori etici e civili (Lam. 3,17-26).
Tra qualche anno, non vorremmo batterci il petto colpevoli e dire con Geremia “Siamo rimasti lontani dalla pace… abbiamo dimenticato il benessere… La continua esperienza del nostro incerto vagare, in alto ed in basso,… dal nostro penoso disorientamento circa quello che bisogna decidere e fare… sono come assenzio e veleno”.
Don Pino Puglisi e don Giuseppe Diana sono capofila di una santità nuova, fatta non solo di virtù private ma anche di pubbliche virtù, di impegno civile, di scelte concrete nella società.
Ci insegnano una direzione e un senso per il nostro essere Chiesa: una grande passione per la giustizia, il coraggio profetico della denuncia, la libertà dai condizionamenti dei potenti del mondo.
Sono una sollecitazione per le nostre parrocchie ad uscire dallo stato di passiva rassegnazione e di inerte indifferenza di fronte a quanto di male accade nel territorio, dal compromesso della separazione e reciproca indifferenza (il prete fa il prete in chiesa, i malavitosi gestiscono indisturbati i loro affari fuori); sono un invito a lasciarsi interrogare da ciò che succede, a non tacere, a costruire comunità adulte nella fede, capaci di coraggio profetico e di testimonianza di vita.
Sono un invito a creare percorsi di formazione che portino ad un’autentica conversione del cuore; un invito ad alzare lo sguardo, a dotarsi di strumenti adeguati e incisivi per divenire, liberati, agenti di liberazione nel mondo.
Proprio ieri, riascoltando il Prologo di Giovanni, pensavo alla bellezza assoluta di quel verso: Dio, nessuno l’ha mai visto.
È proprio così. Dio, nessuno l’ha mai visto. Sembra essere questa la condanna definitiva della nostra ‘condizione umana’. Noi, che attribuiamo un valore fondamentale dell’esperienza, al vedere.
Se una cosa non si vede, per l’uomo, è come se non esistesse.
La prevalenza del vedere è diventata nella nostra epoca quasi una tirannia. Tutto passa dal vedere. E dalla nostra ‘visione’ dipende tutto.
Eppure, mai forse come ora che tutto vediamo, che tutto vogliamo vedere, sembriamo del tutto ciechi.
Lo spiega, in una grandiosa metafora, Josè Saramago in quell’allucinante romanzo – il suo capolavoro – che è Cecità (Ensajo sobre a cegueira) dove immagina una misteriosa epidemia che contagia il mondo intero, rendendo tutti gli uomini ciechi. Gli uomini, deturpati dalla vista, che è l’unico bene che li renda convinti possessori della verità, si trasformano in bestie, il mondo diventa un lager di ciechi che governano altri ciechi, finché l’incantesimo malvagio si spezza proprio grazie alla fede di una donna, l’unica che è stata risparmiata dall’epidemia, l’unica che ha continuato a vedere veramente. Parabola molto istruttiva scritta da un grande ateo.
Blaise Pascal, grande matematico, ammoniva, dal canto suo non solo sulla illusorietà del visibile, ma addirittura sulla illusorietà della conoscenza.
Che una cosa sia incomprensibile, non implica che non esista, scriveva nei Pensieri, L’uomo sa così poco cosa sia Dio, che non sa neppure cosa è egli stesso. E, continua Pascal, incapaci di conoscere chi siamo, non possiamo che conoscerlo da Dio.
Ma se Dio stesso è in-visibile, se nessuno l’ha mai visto, come faremo a conoscerlo?
Il Cristianesimo offre questo straordinario Paradosso: Sì, è vero, Dio, nessun uomo l’ha mai visto. Ma c’è qualcuno che di Lui ci ha parlato, che di Lui ci ha testimoniato, in forma diretta. Questo Uomo è Quello che si è proclamato Figlio. E che, non essendo stato riconosciuto come tale dagli uomini, è stato messo a morte.
Dicono che sia risorto, come riferiscono espressamente i Vangeli. Ma anche i Vangeli cosa sono se non il racconto di provvisorie visioni/testimonianze umane? Il miracolo della conversione a/in Dio per noi uomini, si dovrebbe poggiare sulla testimonianza di donne (all’epoca ritenute del tutto inaffidabili), sul racconto di due viandanti che si fermano a cena con uno sconosciuto…
E allora? No: la conoscenza con la quale arriveremo a Dio, non avrà mai nulla a che vedere con la certezza della visione, e con la razionalità dei sensi.
La via di una nuova conoscenza è la stessa che quel Figlio ci ha invitato a perseguire su questa terra: è il cuore che sente Dio, scrive Pascal, non la ragione. Ecco che cos’è la fede. Dio è sensibile al cuore non alla ragione, il cuore ha le sue ragioni, che la ragione non conosce.
Forse per questo motivo, l’apostolo Tommaso iniziò a credere veramente in Dio, un secondo prima di toccare veramente la piaga del Risorto.
Fabrizio Falconi
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