Si può essere contemporaneamente in completa assonanza e in totale disaccordo col pensiero di un altro? A me è capitato ieri, ascoltando l’intervista di Fabio Fazio al card. Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di Milano e attuale campione in campo cattolico progressista (sono, credo da sempre e almeno nei sentimenti, cattolico “progressista”; mi accordo tuttavia che “progressista” è assai vaga parola, appena meno opaca se la si accosta alle riforme del Concilio Vaticano II, alle intuizioni di teologi come Teilhard De Chardin, Yves Congar, Karl Rahner, Jurgen Moltmann).
Per cui le parole del cardinale sulla solidarietà, sull’impegno sociale, sulla giustizia sarebbero dovute suonare alle mie orecchie come un balsamo. E invece niente affatto. Una parte di me assentiva, sebbene distrattamente, alle tesi del cardinale. Un’altra recalcitrava. È dunque questa – mi chiedevo – la sostanza del Vangelo? Un anodino umanitarismo, un neutro egualitarismo, una “dottrina sociale” intrisa di buone intenzioni tanto vaghe quanto fiacche, così concordista da armonizzare “fede” e “razionalità” senza colpo ferire? Il giusnaturalismo, il pensiero liberale, il socialismo, il marxismo non hanno fatto di meglio, quanto meno applicando più rigorosi strumenti di analisi alla realtà materiale? E poi: di quale razionalità parliamo? La razionalità dell’uomo del neolitico, per usare una figura cara a Marco Guzzi, il quale per nulla irenico, per nulla angelicato giunge sostanzialmente a inquietare anche le nostre composte e beneducate coscienze, come tutta la storia della psicologia ha intuito e largamente refertato?
Mi pare di poter dire che la “differenza cristiana” non è, rispetto ad ogni altra morale e dottrina, né nella quantità né nella qualità dei “valori” morali che proclama, dei decaloghi che viene stilando e (malgrado tutto) aggiornando, e su cui oggi tanto volentieri si impiglia la discussione. Come mi è già capitato di scrivere su questo blog parlando della Lettera ai Romani, il pantheon dei valori cristiani è l’Uomo Nuovo che cammina a gambe per aria, il cammino della salvezza che va al rovescio, dalla fine verso il cominciamento. Il cristianesimo è più religione degli eventi e degli accadimenti, che delle idee e dei costumi. Come dice Moltmann, il cristianesimo è tutt’intero escatologia, cioè: parola di promessa fondata sulla credibilità di un testimone. L’indole del Vangelo non è declinare eterei principi morali, ma di adempiere ciò che promette per l’uomo, di anticiparne la trasformazione e di indicarne mistagogicamente la via. Mistagogia, dottrina della trasformazione e del divenire, comunque e sempre attraverso un agire interiore, dentro il ventre dell’umanità, nella chimica molecolare stessa del “credente”. Questa opera di trasformazione, che agisce sull’intero spettro dell’umano, è la sola “oggettività” che l’atto di fede è chiamato a rivendicare. Mistero che un tempo si diceva della “grazia trasformante”, e senza il quale l’intero insegnamento del Vangelo risulta duro, oscuro e incomprensibile. Un fardello in più sulle spalle dell’uomo, con l’aggravante di essere, letteralmente, a lui insopportabile.
È possibile un “progressismo” così inteso, che riprenda sul serio la questione, normalmente e incredibilmente trascurata nelle nostre chiese, dell’educazione e della cura dell’uomo e per l’uomo?
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