Inizio con una storia.
Un uomo in un letto d’ospedale. Respira con fatica nell’intorpidimento di una coscienza obnubilata. Tubi e cavi entrano ed escono dal suo corpo ormai agli sgoccioli. Il cancro ha mangiato tutto quello che c’era. La moglie è stata al suo fianco nei due anni precedenti, trascorsi più che altro in ospedale, con pochi giorni di intervallo a casa, tra un’operazione e l’altra. Da alcuni giorni i medici sono stati espliciti come non mai: siamo alla fine.
Alla sera, riluttante ad andarsene, la moglie chiede al medico: “È il caso che io resti per la notte?”. “No – risponde il medico – se abbiamo bisogno chiamiamo noi” e se ne va. Un ultimo sguardo al marito, la donna torna a casa nel turbine di emozioni avvoltolate in un cuore che non è abbastanza grande per contenerle tutte. Alle cinque del mattino la telefonata: “suo marito è morto alcuni minuti fa”.
La donna non se ne capacita, “eppure l’ho chiesto al medico, mi ha detto che potevo andare a casa, avrei potuto essergli accanto, tenergli la mano, è morto da solo”. [Leggi di più…]
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