Vi è mai successo di arrabbiarvi con i vostri familiari più prossimi proprio a ridosso delle feste ?
Il giorno della vigilia di Natale, per fare un esempio …
Liberazione Interiore -> Trasformazione del Mondo
Vi è mai successo di arrabbiarvi con i vostri familiari più prossimi proprio a ridosso delle feste ?
Il giorno della vigilia di Natale, per fare un esempio …
Andrea, mio figlio di 5 anni, è un amante della vita. Lui se la gode e quando ti sorride l’energia che rimanda è così vitale che non opponi nessuna resistenza e ti lasci andare. E’ un suo talento, un dono. A volte queste sue esplosioni di vitalità e di scarsa consapevolezza del suo corpo forte e imponente per la sua età lo fa comparire agli agli occhi di altri “fuori dal normale” e quindi un “problema” per chi invece si aspetta altro. Anche Andrea vive questa sua frustrazione. Negli ultimi 3 anni ha lavorato sul linguaggio, la psicomotricità di fine e sul suo modo di approcciare le relazioni a volte in modo oppositivo poco collaborativo. Lo sta facendo con la sua famiglia insieme a persone innammorate di lui e del proprio lavoro. Nel tempo questo ha diminuito la sua frustrazione nel fare e dire quello che i suoi amici facevano “spontaneamente”. E se la gode questa conquista e sorride sempre di più ed è diventato un umorista. Un altro talento scoperto.
Durante questo periodo pieno di tante parole e promesse mi è spesso venuto in mente quanto avevo scritto nel post “dichiarazione di missione personale” che concludevo con la seguente frase (familiare a chi frequenta il percorso dP da qualche tempo):
“…quello in cui crediamo (teologia) produce poi una visione dell’uomo (antropologia) e delle sue relazioni (sociologia)…”
Questa sintesi è per me un efficace chiave di lettura del mio vissuto e di quello che mi succede intorno anche in questo periodo di cambiamento del paese in cui abito.
Le agende, i contratti, le promesse rispondono in modo esplicito alla prima parte della frase? ossia alla domanda: in cosa crede l’uomo della polis che chiede la mia fiducia? in cosa crede il gruppo del quale fa parte? Prima di rivolgere questa domanda devo aprire un dialogo con me stesso: io (tu) in cosa credi? (attenzione alle risposte reattive … automatismo perverso).
Odori, colori, suoni, tutto è intenso in questo periodo ed estremamente vitale. Desidero stare fuori e godere il più possibile di questa esplosione di generosa bellezza.
Smetto di concentrami sui contenuti e mi sintonizzo sul sentire, cosa che non mi riesce facilmente visto che sono sbilanciato ancora molto sul cognitivo (e quindi desideroso di controllo .. da buon occidentale).
Su cosa lavorare perché questo avvenga? [Leggi di più…]
Insegniamo a leggere e a scrivere ma non ad ascoltare. E infatti le frasi spontanee che vanno di moda al lavoro, sul treno, tra coppie, tra genitori e figli, nei dibattiti tra i politici sono “tu non mi ascolti”, “tu non senti quello che dico”…
Per essere pragmatici e dire da cosa cominciare mi viene spontaneo dire dalle nostre emozioni.
Ogni emozione ascoltata porta alla luce un pensiero che può essere il punto di partenza di una conversione (= cambiamento) che culmina con un abbraccio benedicente o una maledizione escludente.
Fin dai primi incontri dei gruppi Darsi Pace, tramite gli esercizi di autoconoscimento che si possono trovare alle pagine 20-22, 64-65, 87-91 del libro ‘Darsi Pace’ di Marco Guzzi, ed.Paoline, collana Crocevia, iniziamo a individuare dentro di noi una zona molto dolorosa e dolorante, una ferita originaria.
Quando ho visto questo video sono rimasto davvero sorpreso.
Davide, in tanti anni di incontri e di dialoghi, non mi aveva mai parlato di questa sua arte, manifestando così uno dei suoi caratteri preminenti: la discrezione, un’umiltà che rischia di farsi chiusura.
In queste opere però noi vediamo emergere il suo cuore più profondo, un cuore sostanzialmente estatico e pieno di bontà.
Questi volti infatti comunicano una densità umana raramente riscontrabile nel casermone contemporaneo dell’arte, ricco di pagliacciate, di astrazioni concettuali, e, appunto, di brutali disumanità.
Qui invece l’umano ritrova una misura, un volto, fatto di dolore e di pace, di sbigottimento e di dolcezza infinita, e specialmente di apertura all’infinito: questi volti sono sempre ri-volti a qualcosa che verrà, che ci sta già raggiungendo, e che a volte intravediamo tra lo stupore e la gioia.
Grazie, Davide, e donaci altri frutti della tua arte. [Leggi di più…]
Allora l’uomo è veramente uomo,
quando, giocando, si diverte con le cose.
SCHILLER
Ho la fortuna di lavorare con i bambini e, alcuni anni fa, nelle classi in cui insegno, ho giocato con loro a disegnare il volto.
Ci siamo divertiti a guardarci, a comunicarci le nostre caratteristiche, a cercare il materiale che sentivamo più adatto per connotarci e, con esso, a disegnare le nostre facce.
Ne è uscito un video intitolato INTERFACCE montato da due operatori di AVISCO – BRESCIA (www.avisco.org).
FACCE fresche e sorridenti di bambini.
FACCE che si guardano, si riconoscono, si compongono e scompongono.
FACCE interattive, intermittenti, interessanti, intere, interrogative, interminabili.
Nel libro “Darsi pace” Marco scrive che la ricerca spirituale autentica possiede molti caratteri simili alla ricerca artistica, è cioè un gioco fatto molto seriamente, come sanno giocare i bambini. (pag. 25)
Da quando frequento i corsi di liberazione interiore, mi viene da associare il gioco fatto con gli alunni al lavoro che compiamo nel cammino di trasformazione.
Riconoscere le nostre emozioni, i pensieri distorti, le maschere che ci siamo costruite; accordare mente, cuore, parola e azione liquidando le nostre falsificazioni; integrarci in unità sempre più coesa fa emergere il nostro vero VOLTO e ci dona gioia e senso di liberazione.
Mi è venuta così l’ idea di proporvi lo stesso gioco per giocarlo insieme proprio come sanno giocare i bambini.
Che ne dite?
Io comincio così:
mi piacciono i fiori e, da quando frequento la montagna, mi piacciono in modo particolare i fiori di roccia; li trovo belli per l’intensità dei loro colori e perché riescono a vivere in poca terra e a quote elevate. Con questi fiori disegno il mio volto:
Vi va di giocare con me?
Ero presente al tuo concepimento
Nell’adrenalina della vergogna di tua madre
Mi sentivi nel fluido del ventre di tua madre
Venni a te prima che tu potessi parlare
Prima che tu potessi capire
Prima che tu potessi sapere
Venni a te quando stavi imparando a camminare
Quando eri senza protezione ed esposto
Quando eri vulnerabile e bisognoso
Prima che tu possedessi qualsiasi protezione
Il mio nome è vergogna tossica.
Venni a te quando eri magico
Prima che tu potessi conoscere la mia esistenza
Ho danneggiato la tua anima
Sono penetrata nel tuo cuore
Ho evocato in te la sensazione di essere pieno di difetti
Ho fatto sorgere in te sensazioni di sfiducia, bruttezza, stupidità, inferiorità, indegnità, inutilità
Ti ho fatto sentire diverso
Ti ho detto che in te c’era qualcosa di sbagliato
Ho sporcato la tua somiglianza a Dio
Il mio nome è vergogna tossica.
Esistevo prima della coscienza
Prima della colpa
Prima della moralità
Sono l’emozione principale
Sono la voce interiore che bisbiglia parole di condanna
Sono il brivido interno che ti attraversa senza alcuna preparazione mentale
Il mio nome è vergogna tossica.
Vivo nella segretezza
Dell’oscurità, della depressione e della disperazione
Riesco sempre a strisciare furtivamente su di te, a coglierti di sorpresa, a entrare dalla porta di servizio
Non invitata, non desiderata
La prima ad arrivare
Ero presente all’inizio del tempo
Con Padre Adamo, Madre Eva
Con fratello Caino
Ero presente alla torre di Babele, alla Strage degli Innocenti
Il mio nome è vergogna tossica.
Vengo da tutori «senza vergogna», dall’abbandono, dalle beffe, dall’abuso, dalle negligenze, dai sistemi perfezionisti
Sono rafforzata dall’intensità scioccante dell’ira di un genitore
Dalle osservazioni crudeli dei fratelli
Dall’umiliazione degli altri bambini
Dal brutto riflesso negli specchi
Dalle carezze sgradevoli e spaventose
Dallo schiaffo, dal pizzicotto e dallo strattone che distruggono la fiducia.
Sono intensificata da
Una cultura razzista e sessista
Dall’ipocrita condanna dei bigotti religiosi
Dalla paura delle pressioni dell’educazione
Dall’ipocrisia dei politici
Dalla vergogna multigenerazionale di sistemi famigliari malati e corrotti
Il mio nome è vergogna tossica.
Posso trasformare una donna, un ebreo, un nero, un omosessuale, un orientale, un bambino prezioso in
Una puttana, uno sporco ebreo, un negro, un finocchio, un muso giallo e un piccolo bastardo egoista
Posso provocare un dolore cronico
Un dolore che non passa
Sono il cacciatore che ti segue giorno e notte
Ogni giorno ovunque
Non ho limiti
Cerchi di nasconderti da me
Ma non puoi perché vivo dentro di te
Ti faccio sentire senza speranza
Come se non avessi via d’uscita
Il mio nome è vergogna tossica.
Il mio dolore è così insopportabile che devi passarmi ad altri attraverso il controllo, il perfezionismo, il disprezzo, la critica, le beffe, l’invidia, il giudizio, il potere e l’ira
Il mio dolore è così intenso
Che devi coprirmi con dipendenze, regole rigide, ripetizioni di esperienze vissute e difese inconsce
Il mio dolore è così intenso
Che devi lasciarti stordire per non sentirmi più.
Ti ho convinto che me ne sono andata, che non esisto, hai sperimentato la mia assenza e il mio vuoto
Il mio nome è vergogna tossica.
Sono l’anima della co-dipendenza
Sono la bancarotta spirituale
La logica dell’assurdo
La coazione a ripetere
Sono il crimine, la violenza, l’incesto e lo stupro
Sono il vuoto vorace che alimenta tutte le dipendenze
Sono l’insaziabilità e la lussuria
Sono Ahaverus l’Ebreo errante, l’Olandese Volante di Wagner, l’Uomo del sottosuolo di Dostoevskij, il seduttore di Kierkegaard, il Faust di Goethe
Trasformo l’«essere» nel fare e nell’avere
Uccido la tua anima e tu mi trasmetti per generazioni
Il mio nome è vergogna tossica.
(J.Bradshaw, Come ritrovarsi, 1990)
Questo brano di Bradshaw rende visibile un’emozione della quale raramente si parla.
Se ne conoscono le manifestazioni, principalmente la paura, ma l’emozione stessa resta nascosta.
La vergogna infatti porta a nascondersi e a nascondere.
“Ho avuto paura perché sono nudo e mi sono nascosto” (Gen. 3,10)
Adamo mostra consapevolezza della sua paura, ma non della sua vergogna.
Nascondere la propria nudità diventa, dopo il peccato di origine, un fatto costitutivo dell’essere umano. La vergogna viene negata, resta il più delle volte inconsapevole, mentre si manifestano in forma amplificata le emozioni che genera: soprattutto paura, rabbia, depressione.
Gran parte della nostra esperienza interpersonale ruota intorno all’asse della vergogna.
Esistono sistemi familiari, sociali, politici, fondati sulla vergogna.
La paura generalizzata che viviamo nel nostro tempo, le improvvise e apparentemente immotivate esplosioni di violenza, la depressione che contagia tutti, sono forse spie di questa emozione nascosta?
Dove vuole condurci questa emozione?
Possiamo farcela amica e farci svelare qualcosa?
La vergogna mi riporta all’origine, allo strappo, alla scissione iniziale che ci ha abbandonati a noi stessi, esposti allo sguardo accusatore del maligno.
“Allora si aprirono i loro occhi e si accorsero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture” (Gen.3,7)
Il bisogno di nascondere la sua ‘nudità’ si insinua nell’uomo dopo la dis-obbedienza, dopo aver ascoltato un’altra voce che gli suggerisce di fissare lo sguardo su di sé anziché su Dio, di entrare in competizione con Dio.
Fuori dello sguardo amorevole di Dio l’uomo non ode più le parole di bene-dizione che costituiscono il suo essere: “Tu sei il figlio mio, l’amato, il prediletto”.
Esposto all’occhio accusatore del maligno l’uomo ascolta parole male-dette che gli ricordano la sua intrinseca inconsistenza; egli si ‘vede’, vede la sua fragilità, ma non può accoglierla, deve anzi negarla, nasconderla anche a se stesso, perché insegue il sogno orgoglioso dell’ autosufficienza, di un Sé grandioso e onnipotente.
Il maligno giudica e accusa, gli pone continuamente davanti l’immagine di autosufficienza, di grandiosità onnipotente che non riesce a realizzare, lo convince che può essere amato solo a condizione di non essere ciò che realmente è.
Allora l’uomo bisognoso di amore diventa schiavo del giudizio e dell’approvazione del mondo.
Allora deve nascondere a sé e agli altri la verità di sé stesso, la propria intrinseca fragilità.
Allora deve costruire sistemi difensivi sempre pi&u
grave; potenti e sofisticati.
E’ la storia dell’Io ferito dal peccato, la storia di tutti i mascheramenti, le strategie e i sistemi di difesa personali e planetari che ha generato.
Solo con l’aiuto della grazia si possono visitare le stanze della vergogna.
Solo ascoltando le parole che mi ripetono: “Tu sei mio figlio, l’amato, il prediletto”, posso prendere contatto con la mia miseria senza restarne annichilita.
Solo facendo esperienza di un amore che mi ama follemente così come sono posso accogliermi ed amarmi anch’io così come sono e far cadere tutti i mascheramenti e le difese.
Allora anche gli altri potranno far cadere le loro maschere.
Allora finalmente ci riconosceremo tutti fratelli.
A Fiumicino un uomo di 78 anni accoltella una donna di 33 anni a causa di una lite per un posto auto. A Roma tre studenti insultano e picchiano un anziano per impedirgli di passare vicino a loro. A Milano un ragazzo di colore di 19 anni ucciso a sprangate per aver rubato un pacco di biscotti. Questi solo alcuni degli ultimi episodi di una cronaca quotidiana che scivolano ormai nella comune indifferenza.
Cosa sta succedendo? Il nostro non è più il Bel Paese?
Due killer, violenza e indifferenza, si aggirano indisturbati nelle nostre città.
Chi è il mandante? Quale l’emozione di fondo che le genera?
Una ricerca condotta dal Censis su un campione di 5000 persone di 10 megalopoli del mondo dà Roma come la città con il “più alto tasso di inquietudine esistenziale”.
Roma risulta la città più impaurita, più de Il Cairo, più di S. Paolo.
In effetti la paura appare oggi l’emozione dominante a tutti i livelli, colora i nostri discorsi e indirizza le nostre scelte. E’ come un virus letale, contagiosissimo, che sta attaccando un po’ tutti. Ma cosa genera tanta paura?
Occorre fare una diagnosi e trovare rapidamente una cura adeguata alla gravità della malattia, pena la sopravvivenza della stessa umanità.
Viviamo un tempo di rapidissime trasformazioni che suscita in noi smarrimento, senso di impotenza e perdita di controllo. Non abbiamo più una identità certa, punti di riferimento sicuri.
Ci sembra di essere come allo stato liquido, di vivere come su delle sabbie mobili, come sospesi su una lastra sottilissima di ghiaccio che può spaccarsi da un momento all’altro e farci precipitare in un abisso oscuro e pericoloso. Ci sentiamo fragilissimi, totalmente indifesi.
Tutto questo crea un’ansia libera e una paura generalizzata che cumulata nell’aria fa alzare la temperatura emotiva dell’ambiente che raggiunge così livelli esplosivi, ed esplode appunto nei fatti di violenza che la cronaca quotidianamente registra.
Quando la paura domina il sentire collettivo, infatti, viene meno la necessaria mediazione del pensiero e la paura viene agita immediatamente scaricando su un mostro/nemico esterno tutta la violenza di un’emozione divenuta incontenibile.
Oggi il passaggio all’atto sta diventando la modalità comune di agire; i pensieri, colorati dalle nostre emozioni vengono, sempre più frequentemente, agiti immediatamente senza essere pensati, divenendo sempre più spesso esplosivi.
I gruppi ‘Darsi Pace’ nascono come laboratori di ricerca, tentativo di dare senso al travaglio esistenziale della nostra epoca e accompagnare/assistere nel faticoso parto della nuova umanità che preme per nascere in ognuno di noi.
Nell’esperienza del gruppo la paura, ascoltata in una mente divenuta silenziosa attraverso la pratica meditativa, diventa non più un’emozione angosciante da cui liberarmi immediatamente esplodendo/attaccando, ma l’emozione risanante che mi riporta a casa, alla verità di me stessa, al ‘volto originale’ che ci accomuna tutti.
Quando riesco ad accogliere con un sorriso la mia paura mi rendo conto che ho una paura ma non sono la mia paura, che il mio Io è più ampio della mia paura e può contenerla e dialogare con essa.
Riesco a sentire la voce che dentro mi ripete continuamente “non temere”.
Riesco ad accogliere come un dono la mia paura e sentire cosa vuol rivelarmi di me, dove mi vuole condurre.
Posso riprendere contatto con il mio Vero Sé, e la mia bambina ferita, arroccata nelle sue difese, può sciogliere le lacrime congelate, l’iceberg di emozioni esplosive, ed aprirsi a relazioni di pace.
E questo ricominciando ogni giorno nella fedeltà alla pratica meditativa e al lavoro interiore, per costruire un mondo di pace.
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