«E’ impossibile conoscere la realtà per la stessa ragione per cui è impossibile cantare le patate; esse possono essere coltivate, estirpate o mangiate, ma non cantate. La realtà deve essere ‘stata’…..Il punto in discussione è come passare dal ‘conoscere’ fenomeni a ‘essere’ ciò che è reale». (Bion)
«Dovremmo sempre essere aperti alla possibilità che ci sia un qualche stato di coscienza ‘superiore’ del quale tutti gli altri stati di coscienza possono essere considerati sottosistemi pienamente comprensibili: forse questo è ciò che illuminazione significa in qualche ultimo senso» (Tart)
Molti gli interrogativi suscitati dal post Miracoli e dogmi di fede? Ce li spiegherà la scienza.
Innanzitutto, quale scienza, o meglio quale scienziato sarà in grado di spiegarli?
E ancora: All’interno di quale stato di coscienza ciò potrà avvenire? Quale dovrà essere l’atteggiamento dello scienziato?
Il paradigma positivista, imperante in ambito scientifico, che nel secolo scorso aveva coltivato l’ambizione di arrivare a definire una “visione scientifica del mondo”, quasi un’ironia della sorte, fu messo in crisi proprio dalle scoperte della scienza: il senso di sicurezza circa la possibilità della scienza di conoscere il reale venne meno e da una conoscenza certa si passò ad una conoscenza di tipo probabilistica.
Il concetto di campo mise in crisi il concetto di cose ed eventi separati, ogni cosa esiste in un campo all’interno del quale si definisce.
Il principio di indeterminazione, evidenziando il fatto che l’osservazione di un sistema fisico esercita un’influenza sul comportamento futuro dello stesso sistema fisico, mise in crisi lo schema fondamentale di ogni ricerca scientifica sperimentale e sollevò una discussione, tutt’ora aperta, sui fondamenti e la possibilità stessa della conoscenza della natura.
La teoria della relatività mise in discussione l’indipendenza reciproca dello spazio e del tempo abbattendo così l’idea di uno spazio e di un tempo assoluti.
La scoperta dei quanti, descrivendo il moto come una serie di balzi scissi che gli elettroni compiono in modo casuale e spontaneo, portò una profonda modificazione nel modo di considerare come le cose si mettono in relazione.
Sostenendo che la materia, a livello sub-atomico, non esiste con certezza in luoghi definiti e gli eventi non accadono con certezza in tempi definiti, che la realtà presenta un ineliminabile dualismo al suo fondo (onda e particela sono ciascuna un modo nel quale la materia può manifestarsi ed entrambe costituiscono ciò che la materia ‘è’), la fisica moderna sembra colmare il divario tra scienza e fede ed aprire ad una visione della realtà che assume sfumature mistiche.
Fu Einstein a dimostrare per primo che le equazioni quantistiche preannunciavano la necessità della istantanea non-località. Egli riteneva impossibile ciò perché, secondo la teoria della relatività, nessuna causa (o segnale) può viaggiare da un punto della realtà e toccarne un altro ad una velocità superiore a quella della luce.
Ma esperimenti di correlazione con fotoni (particelle di luce), effettuati negli anni ’70 e ripetuti più volte in seguito, sembrano provare il contrario: i fotoni si mostrano così misteriosamente legati attraverso ogni separazione spaziale, sia di pochi centimetri come dell’intera distanza dell’universo, che pare non esservi spazio tra essi. La stessa misteriosa correlazione si attua attraverso il tempo.
«Di fatto, –dice Zohar, ricercatrice inglese– i fotoni riescono ad estendersi attraverso il tempo in una danza sincrona che sfida ogni immaginazione vincolata al senso comune. (…). La misura in cui esistono effetti correlati non-locali tra corpi o eventi apparentemente separati dipende dallo stato in cui un sistema si trova: in stato di ‘particella’ o di ‘onda’. Le particelle si comportano più come individui separati e sono meno correlate; le onde mostrano un comportamento più simile a quello di un gruppo correlato».
Il comportamento sincrono -che sta alla base di ogni relazione della meccanica quantistica- potrebbe forse costituire il fondamento scientifico di quei fenomeni di ‘sincronicità‘ di cui parla Jung, fenomeni di ‘coincidenza significativa’ tra avvenimenti psichici e avvenimenti fisici che si producono quando vengono mobilitati gli strati più profondi della psiche?
Le scoperte della fisica pongono affascinanti interrogativi e richiedono un cambiamento ‘catastrofico’ nell’atteggiamento conoscitivo: un coinvolgimento del soggetto, un suo ‘mettersi all’unisono’ con la realtà.
Bion, psicoanalista inglese del secolo scorso, ritiene che solo adottando un ‘vertice mistico’, considerando l’esistenza come originaria, inscindibile unità di soggetto ed oggetto, è possibile arrivare a conoscere la realtà.
Trattasi di una ‘conoscenza divenuta’ cui è possibile accedere solo con ‘atti di fede’: la Realtà Ultima, l’inconoscibile (che Bi
on indica con il simbolo O) resta infatti inaccessibile alle funzioni logico-razionali della mente (K) e si rivela solo attraverso la Fede (F).
La Fede è per Bion l’unico vertice/contenitore che consente di dilatarsi all’infinito, l’unico che consente, nel cammino della conoscenza, di affrontare la ‘catastrofe’ del cambiamento e passare dal piano del ‘conoscere i fenomeni’ ad ‘essere i fenomeni’, a ‘divenire’ ciò che è reale.
Questa evoluzione del pensiero (evoluzione in O) viene presentata da Bion come un ‘cambiamento catastrofico’, che suscita terrori di morte.
Solo con F in O è possibile affrontare i terrori che l’evoluzione in O comporta. La conoscenza che si realizza in questo stato di coscienza -alterato rispetto a quello razionale ordinario- è possibile descriverla solo attraverso il linguaggio dell’arte e della poesia.
Lo scienziato, come l’uomo comune, per accedere alla Verità deve quindi affrontare un ‘cambiamento catastrofico’ e le turbolenze emotive che lo accompagnano. Deve sviluppare un atteggiamento simile a quello di un mistico: astensione dalla memoria, dal desiderio, dalla comprensione; consapevolezza dell’«inevitabilità del pensiero» e della «non importanza dell’individuo che lo alberga»; consapevolezza che si albergano dei pensieri ma non si è quei pensieri; che «dopo aver espresso una verità, il pensatore è di troppo».
Se il pensatore (scienziato o persona comune) si ritiene essenziale al pensiero espresso (stato ego-centrato) entra in conflitto con altri pensatori che si sentono essi stessi essenziali al pensiero; il bisogno di affermare il proprio contributo al pensiero come unico ed essenziale determina un clima intossicato da invidia, gelosia, possessività, sentimenti che contribuiscono a creare una cultura che si allontana sempre più dalla verità e si sviluppa dalla bugia.
Bion postula il sorgere di una «scienza dell’essere all’unisono» per conoscere la realtà, una scienza che utilizzi la fede (che noi identifichiamo con lo stato dell’io in relazione) per mettersi all’unisono con la Realtà Ultima (O), una scienza che sappia farsi guidare dalle intuizioni e far ricorso al «germe della fantasia» .
La conoscenza ‘divenuta’ di O viene poi manifestata attraverso le funzioni logico-razionali della mente (K). Le funzioni di K possono quindi favorire uno sviluppo della conoscenza solo se subordinate alle verità intuite tramite “atti di fede”.
Evitare la memoria e il desiderio -sostiene Bion- aumenta la capacità di esercitare “atti di fede”, capacità essenziale al procedere scientifico: l’atteggiamento di fede infatti, anziché attenuarla, aumenta la precisione nella percezione dell’esperienza e sviluppa una sensibilità capace di apprezzare anche quanto rimane fuori dal campo della nostra coscienza.
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