Tutti parlano di pace ma nessuno educa alla pace. A questo mondo, si educa per la competizione, e la competizione è l’inizio di ogni guerra. Quando si educherà per la cooperazione e per offrirci l’un l’altro solidarietà, quel giorno si starà educando per la pace
(Maria Montessori)
Ma la pace è possibile? Questa è una delle domande più difficili, ma anche più importanti allo stesso tempo. È una delle domande più importanti non perché stiamo vivendo in un periodo in cui la guerra ha di nuovo occupato l’informazione quotidiana, ma perché le nostre società, le nostre comunità, non sono comunità di pace, anzi, sono esattamente l’opposto. Perché dico questo? D’altra parte, è dal 1945 che l’Italia, come anche il Regno Unito, la Francia, il Belgio, ma anche il Giappone, quindi fuori dalla solita bolla occidentale, non sono, ufficialmente, in uno stato di guerra. Per non parlare degli Stati Uniti, che dalla fine della guerra civile non hanno dovuto combattere una guerra all’interno dei loro confini – non considerando la parentesi di Pearl Harbour naturalmente. Quindi, perché affermo che la nostra società e le nostre comunità non sono in pace? Lo affermo per un motivo ben preciso. Tra i diversi significati, la parola <pace> vuol dire ‘legare, unire, saldare’ (Panigiani, 2018; Encilopedia Treccani, no date). Se pensiamo alla nostra società, alla nostra esperienza di relazione quotidiana con gli altri, possiamo dire che siamo una società i cui membri sono ‘legati, uniti e saldati’ tra di loro? Io direi di no e adesso spiego anche perché.
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