«Chi uccide un bambino spegne il sorriso di una fata… Mi batterò per liberare me stesso e i miei compagni di sventura dalle catene in cui mi trovo; non solo quelle che colpiscono i bambini, ma anche gli adulti, perché non può esserci benessere per i bambini finché gli adulti saranno offesi e sfruttati». (Iqbal Masih) [Leggi di più…]
La strage degli innocenti continua. 400 milioni i bambini schiavi nel mondo
La risposta
“Sarà come albero piantato lungo corsi d’acqua,
che darà frutto a suo tempo
e le sue foglie non cadranno mai;
riusciranno tutte le sue opere”.
(Salmo 1,3)
Desidero condividere con voi l’esperienza bellissima vissuta nell’incontro di sabato 13 febbraio del gruppo Darsi Pace, seconda annualità. [Leggi di più…]
La risposta
“Sarà come albero piantato lungo corsi d’acqua,
che darà frutto a suo tempo
e le sue foglie non cadranno mai;
riusciranno tutte le sue opere”.
(Salmo 1,3)
Desidero condividere con voi l’esperienza bellissima vissuta nell’incontro di sabato 13 febbraio del gruppo Darsi Pace, seconda annualità.
Marco ci ha spiegato l’esercizio a nove punti che si trova nel libro Per Donarsi (pag. 121-132): noi lo abbiamo eseguito ed approfondito insieme.
Tralasciando le mie risposte ai primi punti dell’esercizio, arriviamo al punto 4:
scendo nel punto di dolore/scissione che si trova sotto tutte le mie rabbie e le mie paure, lo ‘sento’ e provo ad esprimerlo.
Ed io l’ho espresso con queste precise parole:
“Sono arida, asciutta. Un deserto. Non c’è acqua. Non c’è vita. Solo fine, solo morte. Non ci sono parole né salvezza. Niente da dire. MORTE.”
Passiamo al punto 8:
chiedo aiuto a Dio, un aiuto preciso, chiedo ciò di cui ho bisogno vitale.
Ed ecco la mia richiesta:
“apri il mio cuore
al vero Amore
dammi l’acqua
come balsamo di vita
dammi il bene”
Poi il punto 9:
ricevo l’aiuto. Mi sintonizzo su un clima amorevole che già si sta facendo strada nelle mie tenebre se ho lavorato nella luce. Questo clima amorevole è lo Spirito che ci parla attraverso l’amorevolezza, ci dà risposte. La risposta dello Spirito è sempre una consolazione. Qui il nuovo credente, finalmente, dà parola a Dio!
E questo ho sentito:
“Sono Io l’acqua che cerchi”
Naturalmente quando l’ego ha riconquistato terreno, ha portato con lui i suoi soliti dubbi, le sue striscianti insinuazioni, le sue infedeltà. Possibile che Dio mi abbia voluto parlare? Sarà soltanto suggestione. Ma sì, vedrai che è così.
Ma durante la Messa del giorno seguente, ecco cosa diceva la prima lettura:
Ger 17, 5-8
Così dice l’Eterno: “Maledetto l’uomo che confida nell’uomo e fa della carne il suo braccio, e il cui cuore si allontana dall’Eterno!
Egli sarà come un tamerisco nel deserto; quando viene il bene non lo vedrà. Dimorerà in luoghi aridi nel deserto, in una terra salata senza abitanti.
Benedetto l’uomo che confida nell’Eterno e la cui fiducia è l’Eterno!
Egli sarà come un albero piantato presso l’acqua, che distende le sue radici lungo il fiume. Non si accorgerà quando viene il caldo e le sue foglie rimarranno verdi, nell’anno di siccità non avrà alcuna preoccupazione e non cesserà di portare frutto.”
Arrivata a casa ho proseguito la lettura:
Ger 17, 13-14
O Eterno, speranza d’Israele, tutti quelli che ti abbandonano saranno svergognati.
“Quelli che si allontanano da me saranno scritti in terra, perché hanno abbandonato l’Eterno la sorgente d’acqua viva”
Guariscimi, o Eterno, e sarò guarito, salvami e sarò salvato, perché tu sei la mia lode.
Quale dubbio può esserci? Può forse essere un caso che io abbia trovato le STESSE parole da me scritte il giorno precedente? Non sono certo un’esperta conoscitrice della Bibbia, non sapevo quale fosse la liturgia del giorno seguente.
Ecco, quella era un’ulteriore risposta, definitiva, inequivocabile! Un riscontro veramente ‘testuale’! Certo il Signore conoscendo la mia sorda cecità ha voluto squarciarla.
Non vi dico la mia gioia stupefatta, poi sempre più convinta e colma di gratitudine.
E mi sono tornate alla mente due poesie che ho scritto forse una decina d’anni fa, ma che ora leggo sotto una nuova luce.
Nella prima il mio io-mandorlo si trova in uno stato di aridità e di ricerca dolorosa, sassosa ed impervia, in una condizione di sofferta spremitura del suo frutto, nutriente ma secco.
Il mandorlo
radicato
tra scabri sassi sbilenchi
a scovare
esigue gocce riposte,
le aeree corolle
trapuntano i legni
contorti e sfogliati
lacrime bianche
distilla il suo
dolce frutto amaro
come la nostalgia
di un canto andino
lontano
Nella seconda poesia, nonostante la sottesa atmosfera di malinconica nostalgia, il mio io-salice è vicino ad un fiume ( “Egli sarà come un albero piantato presso l’acqua, che distende le sue radici lungo il fiume” ), lo sfiora chiedendo che la sua sete sia consolata e abbandona alla sua corrente le proprie speranze e i propri desideri.
Il salice
quante notti
i miei fili sottili
s’intrecciarono ignari
ai capricci del vento
fiume pensoso
nel languore lunare
se flessuoso ti sfioro la pelle
cullerai questa sete?
a te lascio i sospiri sfioriti
nell’addio
dell’orizzonte estremo
Penso che già allora ( e chissà da quando) io cercassi l’acqua, anelassi al luogo dove piantare il mio albero che vuole dare frutto .
Con affetto
Filomena
Etty Hillesum – profeta per i cuori pensanti
- L'intervento di Marco Guzzi e Fabrizio Falconi su Radio Uno Rai -
Più scendiamo nella confusione e nei conflitti che avvelenano le nostre vite, più diventano vere e profonde le parole scritte settant’anni fa da Etty Hillesum, la giovane intellettuale di Amsterdam uccisa nel campo di sterminio di Auschwitz. All’orrore estremo del male, quello senza paragoni storici prodotto dai nazisti, Etty sapeva reagire smarcandosi dall’odio, certo legittimo e comprensibile, che nutriva i suoi fratelli ebrei. E proponeva una via nuova, folle, ma straordinariamente vera: guardare prima al proprio marciume, estirparlo e dissotterrare quella potenza d’amore che sta in fondo alla nostra anima. Fino a imparare a lodare la vita sempre, malgrado tutto quello che può succedere. [Leggi di più…]
Etty Hillesum – profeta per i cuori pensanti
- L'intervento di Marco Guzzi e Fabrizio Falconi su Radio Uno Rai -
Più scendiamo nella confusione e nei conflitti che avvelenano le nostre vite, più diventano vere e profonde le parole scritte settant’anni fa da Etty Hillesum, la giovane intellettuale di Amsterdam uccisa nel campo di sterminio di Auschwitz. All’orrore estremo del male, quello senza paragoni storici prodotto dai nazisti, Etty sapeva reagire smarcandosi dall’odio, certo legittimo e comprensibile, che nutriva i suoi fratelli ebrei. E proponeva una via nuova, folle, ma straordinariamente vera: guardare prima al proprio marciume, estirparlo e dissotterrare quella potenza d’amore che sta in fondo alla nostra anima. Fino a imparare a lodare la vita sempre, malgrado tutto quello che può succedere.
Lo faceva con grande libertà creativa, con curiosità, pescando senza timori nel meglio della produzione e delle esperienze culturali e spirituali prodotte dall’umanità: la poesia, i testi sacri di tutte le religioni (ma in particolare la Bibbia), la letteratura, la preghiera, la psicologia, la meditazione, l’esercizio fisico, la scrittura, la filosofia, la vicinanza convinta verso il prossimo che soffre.
È la risposta che sempre più spesso cercano oggi gli uomini in ricerca. Una risposta per liberare la forza creatrice imprigionata dalle nostre paure e dalla nostra dipendenza dal giudizio altrui. Nei gruppi di Darsi Pace l’attitudine di Etty Hillesum è uno degli aspetti centrali alla base delle pratiche che vengono sperimentate. E anche i mezzi di informazione sempre più spesso si accorgono di lei, che è stata il cuore pensante tra le baracche del lager e che oggi è profeta di un’umanità nuova, liberata.
Nel link la puntata andata in onda sul programma Il viaggiatore di Radio Uno Rai. Intervengono, tra gli altri, Marco Guzzi, Fabrizio Falconi, Erri De Luca, Giuseppe Cederna, Enzo Maiorca e Angelo Branduardi.
http://www.radio.rai.it/radio1/ilviaggiatore/view.cfm?Q_EV_ID=313454
Per chi vuole approfondire la figura di Etty Hillesum, di seguito un intervento di Marco Guzzi.
UN DIO DA AIUTARE A NASCERE
Tutti concordano ormai sulla rilevanza storica degli scritti di Etty Hillesum, che vengono accolti come uno degli eventi spirituali più incisivi e sorprendenti degli ultimi decenni. E certamente poche pagine possono toccarci più a fondo di quelle in cui Etty esprime la propria riconoscenza, le proprie lacrime di riconoscenza tra i fili spinati dell’inferno di Westerbork.
Eppure non mi sembra ancora chiarito a sufficienza in che cosa consista l’originalità dell’esperienza spirituale di Etty, e cioè quella sua specifica natura che ce la rende così vicina, così contemporanea. E qui ha ragione Gaarlandt quando sostiene che le sempre più numerose rivendicazioni ebraiche e cristiane del suo pensiero dimenticano che Etty “segue un cammino assolutamente personale”, guidato da “un ritmo religioso tutto suo, che non è dettato da chiese o sinagoghe, né da dogmi, né da nessuna teologia, liturgia o tradizione – cose che le erano tutte completamente estranee.” E forse è proprio questo l’elemento spirituale che più ci riguarda, e che andrebbe più attentamente approfondito.
Proporrò dunque solo alcuni spunti molto sintetici, addirittura schematici, in questa direzione interrogativa, una sorta di indice per una ricerca ulteriore :
a) Etty inizia il cammino della propria trasformazione, descritta nei diari, da una condizione esistenziale già estrema, che non sembra determinata di per sè dalle persecuzioni in atto, ma da sommovimenti del tutto interiori : “in fondo ho già toccato i limiti, è già successo tutto, ho già vissuto tutto, perché continuo a vivere ?”. Oltre questa soglia “non mi rimarrà che il manicomio. Oppure la morte?” Qui Etty è sorella di Rimbaud e di Campana, di Trakl o di Dylan Thomas. Patisce cioè esistenzialmente la catastrofe di un’intera figurazione storica di umanità, di cui la Seconda Guerra Mondiale, come la Prima, non furono che lo scenario apocalittico: effetti cioè più che cause.
b) In questa catastrofe, storica e psicologica al contempo, l’ego occidentale sprofonda : “Questo io tanto ristretto, coi suoi desideri che cercano solo la loro limitata soddisfazione, va strappato via, va spento”. E crollano tutte le certezze teologiche e ideologiche, tutte le arroganze conoscitive del nostro ego. Per cui non resta che scendere più profondamente in noi stessi per cercare la fonte di un nuovo orientamento: “la parte più profonda e ricca di me in cui riposo, io la chiamo Dio”.
c) E come la ricerca Etty questa fonte di vita, sottratta alle guerre mondiali del nostro ego? Innanzitutto attraverso un lavoro psicologico sulle proprie aree oscurate : “Il marciume che c’è negli altri c’è anche in noi, (…) e non vedo nessun’altra soluzione, veramente non ne vedo nessun’altra, che quella di raccoglierci in noi stessi e di strappare via il nostro marciume”.
Incontriamo Dio cioè lavorando sulla nostra ombra. E qui Etty assorbe la lezione di Jung attraverso la psicochirologia di Spier. Ed è anche uno sblocco erotico e sessuale a liberare la sua spiritualità.
d) Questo sblocco psichico la libera progressivamente dalle tenaglie della paura, che prima la paralizzava : “Paura di vivere su tutta la linea. Cedimento completo”. E questa liberazione dall’ego e dai suoi terrori sfocia nella creatività, nella scrittura. Il divino liberato si esprime cioè poetica-mente: “In me non c’è un poeta, in me c’è un pezzetto di Dio che potrebbe farsi poesia”. E anche qui Etty, attraverso Rilke, si connette alla linea poetica che da Hoelderlin in poi, e fino a Celan o a Luzi, esperimenta un dire trans-egoico che ci parla e ci guarisce.
Dunque l’esperienza spirituale di Etty sembra essere profondamente psicologica e poetica, e proprio per questo così concreta e capace alla fine di donazione completa di sé. Il cuore può continuare a pensare e addirittura a cantare nell’inferno, solo perché è stato ben lavorato, perché cioè le sue difese sono state già abbattute.
Non c’è niente di intimistico in questo itinerario, si tratta al contrario di contribuire a ricostruire il mondo su un “ordine superiore”: “Da qualche parte in me c’è un’officina in cui dei titani riforgiano il mondo”. Ma Etty sa che i progetti rivoluzionari fondati sull’odio e sulla vendetta, sulla proiezione semplicistica delle proprie ombre sul nemico di turno, e cioè le “durissime teorie sociali di un tempo” sono appunto residui del mondo che sprofonda, reperti di una figura di umanità già finita. Il mondo nuovo è solo l’uomo nuovo che lo incomincia a balbettare con le nuove parole che lascia sgorgare dal cuore pacificato in una assoluta riconoscenza.
Ribalbettando un mondo senza odio Etty incontra poeticamente e psicologicamente, e cioè da dentro la propria carne emotiva, la tradizione ebraica e cristiana: “Mi porterò una Bibbia e quei libretti sottili, le Lettere a un giovane poeta”. Nell’inferno del campo di Westerbork Etty porta nel cuore l’intera storia della salvezza e il travaglio rigenerativo della modernità che culmina nei balbettii dell’Uomo-Dio nascente, ricordato da Rilke proprio al giovane poeta: “Chi vi trattiene dal gettare la sua nascita nei tempi venturi e vivere la vostra vita come un bello e doloroso giorno nella storia d’una grande gestazione?(…) Festeggiate, caro signor Kappius, Natale in questo pio sentimento ch’Egli forse abbisogni appunto di questa vostra angoscia della vita, per iniziare”.
E’ il mistero di salvezza di Cristo che riemerge dal cuore poetico di Etty sciolto dalle catene dell’odio e dalle illusioni dell’io? Quando il suo amico Klaas, il “vecchio e arrabbiato militante di classe”, le dice sconcertato che il suo progetto di purificazione interiore non sarebbe altro che cristianesimo, Etty annota: “E io, divertita da tanto smarrimento, ho risposto con molta flemma : certo, cristianesimo – e perché no?”
Un cristianesimo però decantato attraverso tutte le purificazioni della modernità e dello stesso nichilismo, secolarizzato al massimo, e perciò reso davvero non violento. Un cristianesimo filtrato da Rilke e da Jung, e cioè smascherato in tutte le contraffazioni (psico-teologiche) della sua storia. Un cristianesimo cioè ancora in buona parte futuro.
Ecco perché gli scritti di Etty escono solo nel
1981. Non sarebbero stati assimilabili prima. Non sarebbero stati tollerabili. Forse solo ora possiamo incominciare a riconiugare il Cristo con gli esiti estremi della modernità, la forza della tradizione con l’urgenza di novità poetica, abbandonando dentro e fuori di noi interi repertori storici, abiti mentali e figure di identità, linguaggi e rituali ormai inutilizzabili. Forse solo ora possiamo incominciare ad accettare una prospettiva che coniughi la trasformazione interiore con il processo storico di liberazione, e cioè psicologia, mistica, e politica in una sintesi inaudita, in un orizzonte folle e buono di guarigione e di salvezza davvero globali: “la vita è una cosa splendida e grande, più tardi dovremo costruire un mondo completamente nuovo”.
Claudia: un’energia di vita cui attingere a piene mani
Tante cose di cui fare tesoro, tanti piccoli-grandi segreti, nelle accorate parole di Claudia. [Leggi di più…]
Claudia: un’energia di vita cui attingere a piene mani
Tante cose di cui fare tesoro, tanti piccoli-grandi segreti, nelle accorate parole di Claudia.
Un vademecum per i nostri periodi bui, per le fasi depressive, quando non si vede una via d’uscita e la speranza è una parola vuota, fastidiosa, fasulla.
Chiedere aiuto, spezzare la catena che ci lega ad una visione parziale della realtà e ci fa ripiegare sul nostro dolore: questo atteggiamento di apertura è una prima valvola di sicurezza, che favorisce, a livelli neppure immaginabili, una serie di effetti “serendipitari”, per cui ci viene incontro proprio ciò di cui abbiamo bisogno, e per cui siamo pronti solo ora.
Occorrerà forse uno sforzo di comprensione per decifrare i sottili messaggi che arrivano, ma qualcosa di nuovo accade.
A questo punto, ed è il secondo segreto, è opportuno mettersi a scuola. Altre persone in ricerca possono accompagnarci per un tratto di cammino, svelandoci sentieri inediti e nuove fioriture.
Claudia ha cercato aiuto nella medicina, nella psichiatria, nella direzione spirituale, nella comunità di appartenenza, riscoprendo al contempo il potere della parola rivelata della tradizione, una fonte sorgiva di sapienza e di luce.
Ma soprattutto è stata fedele al suo dolore, non lo ha mascherato, non lo ha contraffatto. “Stai agli inferi e non disperare”, ci ricorda Silvano del Monte Athos, perché è solo da lì, dall’attraversamento del baratro d’angoscia, dove si rinnova la profonda ferita originaria, che potrà sbocciare un virgulto, piccolo, verdino, di vera speranza.
Nella trama dei giorni Claudia ha potuto sperimentare l’unione sempre più forte con l’unico maestro per noi cristiani, venuto a liberarci da ogni idolatria, a richiamarci alla più profonda verità del cuore.
E’ quindi arrivato il momento di donare ciò che ha ricevuto: dall’anima sempre più unificata sgorga infatti un’azione integra che trasforma in buoni conduttori, canali senza ostruzioni della potente azione creatrice dello Spirito della vita.
Lampi – La verità è in croce in questo mondo?
Carissime amiche e carissimi amici,
in questo Venerdì di Passione ripensavo all’interpretazione che Martin Heidegger ci ha offerto del famoso frammento di Eraclito “ethos anthropo daimon”, e cioè: ciò che è più proprio alla natura dell’uomo, la sua dimora abituale, è la dimensione più abissale, quella abitata dal Dio. [Leggi di più…]
Lampi – La verità è in croce in questo mondo?
Carissime amiche e carissimi amici,
in questo Venerdì di Passione ripensavo all’interpretazione che Martin Heidegger ci ha offerto del famoso frammento di Eraclito “ethos anthropo daimon”, e cioè: ciò che è più proprio alla natura dell’uomo, la sua dimora abituale, è la dimensione più abissale, quella abitata dal Dio.
Perciò l’uomo è lacerato.
L’anima umana è come bucata, sfondata sull’abisso, e quindi costantemente inquieta e malata e bisognosa di cura.
Abissale, demonica, divina da una parte, e pronta a rinnegare e a mistificare la propria infinità, dall’altra.
Questa condizione inquietante e ambigua del nostro destino terreno si manifesta in modo direi eclatante nella sorte che tocca il più delle volte a chi tenti di rimanere fedele a questa lacerazione radicale, provando anzi a dimorarvi, senza mascherarne l’abissalità, ma al contrario sondandone le potenzialità creative e rivelative.
Queste persone che restano fedeli alla loro più profonda umanità, e quindi alla verità del loro destino, sono quasi sempre e in vari modi escluse, emarginate, perseguitate, e spesso fisicamente fatte fuori dalle società alle quali appartengono, anche se poi vengono magari onorate e studiate e venerate, ma sia ben chiaro solo dopo la loro morte.
Non si rallegrino troppo però i persecutori dei giusti e degli innovatori, subito pronti a celebrare e ad incensare quelli già da tempo morti e sepolti. La loro condanna infatti è comunque segnata: “Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che innalzate i sepolcri ai profeti e adornate le tombe dei giusti, e dite: Se fossimo vissuti al tempo dei nostri padri, non ci saremmo associati a loro per versare il sangue dei profeti; e così testimoniate, contro voi stessi, di essere figli degli uccisori dei profeti. Ebbene, colmate la misura dei vostri padri!” (Matteo 23,29-31)
Il consesso umano, in altri termini, odia (da vivo) e ama (da morto) il profeta, il saggio, o il giusto che con la sua essenzialità povera, libera, e felice, ridicolizza tutte le mascherate e le carnevalate del potere.
In ogni tempo e in ogni luogo di fronte alle persone più fedeli al mistero abissale della propria umanità, tutti gli altri, e specialmente i più vili, i più alienati, e i più ipocriti, hanno pensato più o meno in questi termini:
“E’ diventato per noi una condanna dei nostri sentimenti,
ci è insopportabile solo al vederlo,
perché la sua vita è diversa da quella degli altri,
e del tutto diverse sono le sue strade.
Moneta falsa siamo considerati da lui,
schiva le nostre abitudini come immondezze.” (Sapienza 2,14-16)
E’ questo che dimenticano gli illuministi e gli ottimisti di tutti i tempi: l’essere umano è lacerato da un demone, da un abisso che se non genera amore produce odio furibondo.
Non basta cioè una buona istruzione e un lavoro sicuro per renderci propensi alla ricerca della verità o del bene comune.
Ben più radicata e profonda è in noi la radice del male.
Ben più folle è il nostro rifiuto della verità, e ben più avanzato è l’ottenebramento cosmico della luce.
Chi non voglia soggiacere al crudelissimo teatro delle menzogne, che di epoca in epoca gli umani mettono in scena, da Caino in poi, è chiamato perciò ad una sorta di insurrezione permanente, e sarà ogni giorno corteggiato dalla seduzione o tormentato dalla persecuzione dei proconsoli e dei funzionari dei poteri tenebrosi di questo mondo.
O lo si vorrà assuefare in ogni modo all’aria mefitica della chiacchiera mondana, e renderlo così inoffensivo, oppure si tenterà direttamente di cancellarlo, di eliminarlo, di metterlo ai margini, affinché la sua semplicità non smascheri l’ipocrisia degli empi.
E allora è molto opportuno, per dribblare indenni tra seduzioni e persecuzioni, apprendere l’altissima arte dell’innocenza delle colombe, ma anche quella non meno sublime dell’astuzia dei serpenti.
Il principe Ki, ci racconta l’I Ching, dovette fingersi pazzo per non lasciarsi corrompere dalle trame della corte del tiranno Ciou Sinn.
E questo può essere un buon metodo per resistere, a volte.
Anche alcuni maestri sufi suggeriscono di fingersi un po’ scemi, e di simulare di dormire mentre si medita o si prega in presenza dei profani, per evitare che possano ridere di noi, insultarci, o peggio.
Geremia poi ci racconta di una continua persecuzione nei suoi confronti, scatenata specialmente da parte dei suoi “amici”: “Tutti i miei amici/ spiavano la mia caduta” (Ger 20,10).
Sono infatti le persone più vicine, quelle che conoscono meglio e in fondo ammirano le qualità dell’”amico”, che finiscono per non sopportare la sua presenza, e per condannarlo all’infamia o alla morte: “Se odo la calunnia di molti, il terrore mi circonda,/quando insieme contro di me congiurano/ tramano di togliermi la vita” (Sl 30,14).
Così è accaduto anche a Socrate, tolto di mezzo dai soliti custodi dell’ordine di questo mondo, proprio perché cercava senza paraocchi la verità e si proclamava ignorante e devoto e povero, in mezzo alle risse dei politicanti e all’alterigia dei “sapienti”.
Ma tutta questa tragedia del rapporto conflittuale tra la verità abissale dell’uomo e l’umanità tendenzialmente ostile alla luce dell’abisso, culmina nella spaventosa vicenda di Gesù.
Sono duemila anni che ci ripetiamo la narrazione di un evento che deve restare comunque sconcertante: un popolo intero, tutti i poteri costituiti: il Re (Erode), il Sacerdote (Caifa), il Governatore dell’Impero (Pilato), accusano un solo uomo, e decidono di farlo fuori, senza alcun motivo, che non fosse la grandezza sempre più evidente e incontestabile del carpentiere di Nazareth.
Ci viene raccontato minuziosamente che questo uomo, innocente e sapiente e buono come pochi, fu schernito e percosso da scherani e soldataglia, insultato e ridicolizzato, schiaffeggiato e fustigato e incoronato di spine, abbandonato e tradito e rinnegato da quasi tutti i suoi amici, dalle persone che aveva guarito e beneficato in ogni modo, e infine inchiodato a una croce tra due briganti, e assassinato.
Ma perché la verità ha una sorte tanto dura in questo mondo?
E perché questa storia terrificante è al centro di tutta la nostra civiltà?
Che cosa ci rivela insomma di essenziale l’abominio della croce?
Se lo chiedano coloro che negano con troppa facilità il mistero della caduta originaria e quindi sorvolano sulla spaventosa atrocità del passaggio del Cristo/Verità, e quindi in definitiva dell’intera storia terrestre, da questo mondo di menzogne alla gloria ridente, allo splendore del Regno del Padre.
E alla fine dovremmo anche chiederci: chi può resistere, chi può restare fedele alla verità vivente, specialmente quando si fa più folle e brutale e fonda l’ora delle tenebre?
Se lo chiedeva il teologo luterano Dietrich Bonhoeffer alla fine del 1942.
E la sua risposta era molto semplice.
“Chi resta saldo? Solo colui che non ha come criterio ultimo la propria ragione, il proprio principio, la propria coscienza, la propria libertà, la propria virtù, ma che è pronto a sacrificare tutto questo quando sia chiamato all’azione ubbidiente e responsabile, nella fede e nel vincolo esclusivo a Dio: l’uomo responsabile, la cui vita non vuole essere altro che una risposta alla domanda e alla chiamata di Dio. Dove sono questi uomini responsabili?”
Oggi più che mai resta e resterà saldo solo chi fonderà la propria saldezza in un punto fuori dal mondo, come cantava René Char: “Noi non apparteniamo a nessuno se non al punto d’oro di questo lampo sconosciuto a noi, e per noi inaccessibile, che tiene desto il coraggio e il silenzio”.
Il tempo della ragionevolezza “etica” è compiuto.
Viene il tempo, e
d è già ora, del totale affidamento a potenze ulteriori, interiori, altre e più nostre rispetto al nostro io che presume di sapere chi è.
Da qui, e solo da qui, da questo punto di vera libertà, oltre la sfera mortale, possiamo ripartire, ora che le catastrofiche illusioni di rinnovare l’uomo restando dentro il mondo e negando Dio, si sono infrante nelle carneficine del XX secolo.
No, il Regno autentico della verità entra nella storia goccia a goccia, e solo per la piccolissima porta del cuore di ogni uomo, che giorno dopo giorno si purifichi dall’odio, per scoprire nella propria abissalità la sorgente stessa dell’essere, al di là dei confini visibili e concepibili del mondo.
E viene e cresce il Regno anche ora, anzi ora più che mai, nonostante tutte le persecuzioni e le esclusioni che le ultime schiere dei servi dell’Usurpatore tentano di mettere in campo.
E se il nostro fosse proprio il tempo giusto per comprendere ad un nuovo livello queste verità? E per prepararci ad una inedita età della storia del pianeta terra, e dell’avvento del Regno che la rinnova?
Domenica 4 aprile, alle ore 8.30, andrà in onda su Radio Uno RAI una puntata della trasmissione Il Viaggiatore, dedicata a Etty Hillesum, e al suo significato rispetto alla Pasqua.
Parteciperanno Marco Guzzi e Fabrizio Falconi.
Il voto – frustrazione, invidia, rassegnazione.
Ancora una volta gli italiani sono stati chiamati a votare. Ma a votare per cosa ? In rappresentanza di cosa e di chi ? Per realizzare quali intenti e quali aspirazioni ? Per eleggere chi ?
Credo che davvero il sistema di rappresentanza politica, in tutto l’Occidente, sia entrato da tempo in una crisi che forse sta raggiungendo il suo punto più basso. [Leggi di più…]
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