Quando ho visto questo video sono rimasto davvero sorpreso.
Davide, in tanti anni di incontri e di dialoghi, non mi aveva mai parlato di questa sua arte, manifestando così uno dei suoi caratteri preminenti: la discrezione, un’umiltà che rischia di farsi chiusura.
In queste opere però noi vediamo emergere il suo cuore più profondo, un cuore sostanzialmente estatico e pieno di bontà.
Questi volti infatti comunicano una densità umana raramente riscontrabile nel casermone contemporaneo dell’arte, ricco di pagliacciate, di astrazioni concettuali, e, appunto, di brutali disumanità.
Qui invece l’umano ritrova una misura, un volto, fatto di dolore e di pace, di sbigottimento e di dolcezza infinita, e specialmente di apertura all’infinito: questi volti sono sempre ri-volti a qualcosa che verrà, che ci sta già raggiungendo, e che a volte intravediamo tra lo stupore e la gioia.
Grazie, Davide, e donaci altri frutti della tua arte. [Leggi di più…]
Un volto buono – le sculture di Davide Calandrini
Un volto buono – le sculture di Davide Calandrini
Quando ho visto questo video sono rimasto davvero sorpreso.
Davide, in tanti anni di incontri e di dialoghi, non mi aveva mai parlato di questa sua arte, manifestando così uno dei suoi caratteri preminenti: la discrezione, un’umiltà che rischia di farsi chiusura.
In queste opere però noi vediamo emergere il suo cuore più profondo, un cuore sostanzialmente estatico e pieno di bontà.
Questi volti infatti comunicano una densità umana raramente riscontrabile nel casermone contemporaneo dell’arte, ricco di pagliacciate, di astrazioni concettuali, e, appunto, di brutali disumanità.
Qui invece l’umano ritrova una misura, un volto, fatto di dolore e di pace, di sbigottimento e di dolcezza infinita, e specialmente di apertura all’infinito: questi volti sono sempre ri-volti a qualcosa che verrà, che ci sta già raggiungendo, e che a volte intravediamo tra lo stupore e la gioia.
Grazie, Davide, e donaci altri frutti della tua arte.
Vediamo ora come Davide ha voluto presentarsi nel nostro sito:
“Perché il tema altro non è se non la vita che cerca una forma” (H.Schrade)
Cari amici di Darsi Pace mi presento:
nasco a Cesena il 25.12.1968 dove tuttora risiedo, e svolgo l’attività di artigiano nel settore dei trasporti.
Dal 1997 sono sposato con Roberta e ho due figli, Anita e Damiano.
Parallelamente all’attività lavorativa porto avanti un interesse per le arti figurative e in particolare per la scultura.
Sin da piccolo questa facilità nel disegno e l’attrazione per le arti in genere fu considerata come marginale,
e quel piacere per l’introspezione e le cose minime come timidezza.
Certo, l’ambiente e i genitori non mi hanno aiutato più di tanto, ma devo anche confessare un’indole remissiva che mi portava alla fuga e all’insofferenza, che tra l’altro fino a qualche anno fa consideravo quasi un’elezione più che un difetto.
Sin da piccolo ho avuto la sensazione che nel mondo dei grandi ci fosse qualcosa che non andava. Crescendo poi questa sensazione di alienazione dalla vita vera, a volte quasi totale, si era impossessata anche di me.
Frequentando in seguito gli intensivi e parlando telefonicamente con Marco ho intravisto una via d’uscita, e con fatica comincio a rendermi conto di quanti mascheramenti e irrigidimenti mi blocchino in una dimensione senza speranza.
Ho grande bisogno di darmi pace, e intravedo nel percorso aperto da Marco uno dei pochi “sentieri”di liberazione interiore veramente efficaci.
Grazie a Marco, a Paola, e a voi tutti che partecipate tanto attivamente, nella speranza di riuscire ad abitare questa terra poetica-mente.
Davide Calandrini
In Rete come Uno, Nessuno o Centomila? Parola Agli Studenti
Come promesso ecco le risposte degli studenti alle domande del Prof.
Tutta la conversazione tra il prof e i suoi studenti (ultimo anno di liceo) è avvenuta esclusivamente su Facebook. Fuori dall’orario scolastico … naturalmente
—– Sara
“Proprio ieri affrontavo un interessante discorso con Miriam, la nostra conclusione è stata questa: se non riusciamo più a tessere legami “reali”, ovvero con rapporti “fisici” (senza pensar male ), con chiaccherate, sguardi, strette di mano, come è possibile farlo attraverso qualcosa di cosa immateriale come internet e un computer?
Io penso che il sale della comunicazione siano i gesti, i toni di voce, e tutto ciò che non si limita ad essere “frase”. Tutto ciò che internet non può darci.
Dunque, per me, internet non è altro che un palliativo, un’illusione di poter intrecciare rapporti umani più facilmente, senza la paura di un giudizio immediato, ma che in realtà non fa altro che annientarli e allontanarci dalle vere relazioni.
— Prof
Carissima Sara, forse il nocciolo della questione sta proprio in quel: “senza la paura di un giudizio immediato”.
Perché le relazioni cosiddette “reali” si infrangono sempre più, oggi, contro il muro di un giudizio immediato? E se la Rete attenuasse questa pratica del pregiudizio, non sarebbe allora un’occasione positiva per provare a stare insieme in modo nuovo?
E poi anche la Rete, fatta di parole ma non solo, in fondo usa gli stessi strumenti della poesia e dei romanzi, e dunque perché non potrebbe (almeno in teoria) essere altrettanto espressiva e vitale quanto i gesti o gli sguardi?
Grazie per le tue riflessioni davvero stimolanti.
— Alessandro
“complimenti prof… bellissima domanda! è difficile dare una risposta… poi sicuramentee noi della nostra generazione nn saremo mai in grado di avere su internet un giudizio come lo avete vuoi uomini piu vissuti… noi giovani siamo nati e cresciuti con internet, è diventato per noi praticamente un mezzo di informazione e comunicazione praticamente fondamentale.
Mentre voi avevte passato gli anni giovani senza sapere minimamente che sia internet!
voi secondo me siete in grado di farne benissimo a meno anche se potete ritenerlo utilissimo… mentre noi nn saremmo in grado di orientarci al meglio e ci sentiremo persi se nn dovessimo piu averlo all’improvviso… stesso discorso credo che si possa fare con i cellulare”
—- Prof
Io, ad esempio, ci ho pensato circa un mese alla questione “entrare o meno in Facebook”, perché lo ritenevo un luogo un po’ superficiale, da un lato, e perché temevo di espormi troppo con tutti voi, che in fondo mi vedete un po’ come una figura “istituzionale” (almeno credo ).
Ma poi mi son detto che ogni luogo acquisisce il senso che NOI gli diamo.
Anche Facebook può raccogliere esperienze interessanti e fondamentali: dipende da ciò che uno cerca e da quanta sincerità ci mette.
Allora io ci provo a stare “qui” in maniera diversa, a modo mio, cioè così come sono io, come desidero davvero essere. E spesso mi accade di trovarmi bene, perché mi offrite quello che cerco… Vabbé per adesso mi fermo qui! Aspetto, fiducioso, altri commenti…
—- Alessandro
“ma si, dev’essere così…. una cosa viene alterata a seconda di come noi plasmiamo i nostri pensieri e il nostro modo di agire su di essa…. quindi sono perfettamente d’accordo che un sito come facebook, se viene “impregnato” di propri pensieri, idee e sentimenti, può diventare qualcosa di strettamente personale, e che quindi dipende da noi...
cmq secondo me una cosa che purtroppo capita la maggior parte delle volte in comunity virtuali, è il fatto che nn c’è la possibilità di una espressione verbale, cosa che è secondo me fondamentale, perchè capita molte volte di fraintendere frasi, dal momento in cui il destinatario di una frase, nn sia in grado di intendere i toni e i sentimenti che una persona esprime in quel momento…”
— Prof
Benissimo Ale. Il problema “fraintendimento” c’è. Ma ecco perché è una bella sfida la Rete, perché ci impone una certa “disciplina”, una “cura” delle parole che è altamente formativa e capace di “fare futuro”.
Per non fraintendersi dobbiamo scegliere attentamente la parola più giusta (aldilà delle faccine
standardizzate). Grazie.
Mi piace come sta fiorendo questa piccola discussione. Ve ne accorgete? Nel nostro piccolo stiamo “rivoluzionando” questo luogo! Complimenti.
— Sara
Ma è molto più facile trovare la “parola giusta” senza la fretta del dialogo! C’è molta più riflessione, c’è più tempo per ragionare, e inevitabilmente assume un carattere molto più artificioso!
Nonostante ciò colgo il fatto che anche in un romanzo, in una poesia mancano tutti quegli elementi “fisici”, ma per come la penso io non sono forme per un dialogo diretto..
Ad esempio, ma chi cavolo direbbe mai che io riesca a parlare come sto scrivendo adesso??? Si sente che è un linguaggio artificiale!”
— Alessandro
“si appunto… quello delle chat è proprio un linguaggio artificiale, privo di sentimenti; ed è proprio dalla mancanza di espressività e dei sentimenti che deriva il fatto che noi siamo portati a fraintendere il senso di una frase, perchè usiamo parole che nn possono esprimere sensazioni e hanno solo il loro significato letterario…INSOMMA…
diciamo che è un linguaggio a parte quello del mondo in rete, in cui bisogna stabilire dei criteri razionali nel significato delle singole parole, senza cercare di caricarle di emozioni…”
— Beatrice
“salve prof!! l ho trovata!!!
a me personalmente il fatto di stare in rete è un passatempo…niente di più..invece che guardare la tv sto al pc e navigo in internet..guardo video, parlo cn amici..diciamo che il pc nn è tutta la mia vita però ogni tanto è un ottimo svago dallo studio!”
— Marta
di sicuro è un’enorme distrazione…uff
— Prof
Dai Marta… che c’è dietro quel “uff”! Esprimiti. Ciao.
– Mattia
“prof internet e lo strumento che utilizzato razionalmente e senza perdere la concezione della realtà ti fa girare il mondo abbattendo le frontiere ekonomike razziali emotive e personali ormai attrave
rso internet puoi fare di tutto esperienze nuove vivere la vita k vorresti anke se non ti
appartiene,dokumentarti,istruirti,cazzeggiare,scoprire e molto altro”
– Prof
Mattia, grazie per l’intervento, che è “esattamente” tuo. Tu parli proprio così, senza virgole, senza
prender fiato, un po’ sgrammaticato magari, ma con contenuti interessanti. Dico questo per far notare che poi quello che scriviamo su Internet ci ritrae, ci somiglia, porta il nostro nome, la nostra storia… anche solo nella “forma”, nel “modo” in cui diciamo quel che diciamo…
In Rete come Uno, Nessuno o Centomila? Il Professore Ne Parla Con Gli Studenti.
Photo credit: J Wynia
Qualche tempo fa su Facebook ho avuto uno scambio di opinioni con Renato (che ho conosciuto su questo blog) sul significato che si attribuisce all’espressione “stare in Rete“. Tema che ciclicamente riaffiora ovunque e che discutiamo anche come redazione e associazione.
Renato insegna in un liceo quindi è stato quasi naturale domandarci cosa ne pensano i suoi studenti … La conversazione (su Facebook) si conclude con questo punto interrogativo nelle nostre teste
Dopo qualche giorno mi invia un messaggio comunicandomi che aveva coinvolto direttamente i suoi studenti rilanciando il tema non in classe ma direttamente nel luogo della conversazione .. in rete e precisamente su Facebook.
Il risultato è bello e interessante. Ve lo condivido dopo la loro approvazione.
Cominciamo prima con le domande del Prof Renato! [Leggi di più…]
In Rete come Uno, Nessuno o Centomila? Il Professore Ne Parla Con Gli Studenti.
Qualche tempo fa su Facebook ho avuto uno scambio di opinioni con Renato (che ho conosciuto su questo blog) sul significato che si attribuisce all’espressione “stare in Rete“. Tema che ciclicamente riaffiora ovunque e che discutiamo anche come redazione e associazione.
Renato insegna in un liceo quindi è stato quasi naturale domandarci cosa ne pensano i suoi studenti … La conversazione (su Facebook) si conclude con questo punto interrogativo nelle nostre teste
Dopo qualche giorno mi invia un messaggio comunicandomi che aveva coinvolto direttamente i suoi studenti rilanciando il tema non in classe ma direttamente nel luogo della conversazione .. in rete e precisamente su Facebook.
Il risultato è bello e interessante. Ve lo condivido dopo la loro approvazione.
Cominciamo prima con le domande del Prof Renato!
Cosa ci spinge a stare in Rete? Cosa proviamo, cerchiamo, offriamo, quando ci colleghiamo al mondo?
La Rete potrebbe essere lo “specchio” del mondo? Oppure è un luogo del tutto immaginario, o falso, o ludico?
E che tipo di relazioni consente di instaurare questa forma di “incontro”?
E quando “scriviamo” su queste pagine immateriali, ci sentiamo o no “responsabili” delle nostre parole? Ne avvertiamo il peso, la necessità, l’insufficienza, l’inconsistenza, la paternità/maternità? Che significa, insomma, “essere” in Rete?
Siamo proprio sicuri che non si possa essere “veri” anche in uno spazio come Facebook?
Da chi dipende se non da noi, da quello che desideriamo mettere in gioco?
Come riuscire a non “fare massa”, ma a districarci e recuperare e approfondire la nostra sana “differenza”.
Credo che se davvero lo desideriamo anche la massa di Facebook possa sgomitolarsi e riannodarsi in forme sempre nuove e vitali. O no?
Comincia la conversazione. Parola a voi
… poi agli studenti (con post ad hoc)!
Simbolo del male o presenza reale, chi è per voi il diavolo?
C’è chi dice che sia un’invenzione umana, una proiezione dei nostri abissi più oscuri. Chi lo accetta come un simbolo, un nome sotto cui raccogliere l’immenso groviglio dei mali commessi dall’uomo. Per gli ultimi papi è invece una presenza reale, uno spirito con una sua individualità, un soggetto attivo nella partita del vivere dotato di intelligenza e capacità operativa. E allora, chi è il diavolo? Esiste davvero? E se esiste, in che modo agisce? Organizzando un sistema generale centrato sull’ego, che ci tiene tutti sotto il suo scacco, carichi di paura, avidità e risentimento? Oppure colpendo una a una le singole persone, con piccole punture di spillo, con ansie o – nei casi estremi – con la possessione?
Apriamo questo forum sul ruolo che, secondo voi, l’avversario ha nelle nostre vite. Raccontate la vostra impressione, le esperienze che vi è capitato di conoscere, direttamente o indirettamente. Fa bene la Chiesa a rivalorizzare la pratica dell’esorcismo o è roba da medioevo? È vero, come dice padre Amorth, l’esorcista più famoso d’Italia, che la zampa di Satana è entrata persino in Vaticano? E che vesti ha oggi il diavolo, è ancora il caprone con le corna o ha il fascino sottile di un elegante uomo di potere?
Di seguito, come introduzione, un articolo del vaticanista Gianfranco Zizola pubblicato da Repubblica, che illustra la storia del rapporto, non sempre coerente all’insegnamento di Cristo, tra la Chiesa e il principe di questo mondo.
I cristiani e il potere del male
di Giancarlo Zizola
Negli ultimi anni la dottrina cattolica sull’ esistenza del diavolo è stata messa in dubbio da più di un teologo. Urs Von Balthazar diceva di credere nell’ Inferno ma anche che lo riteneva vuoto. E Borges azzardava che forse i teologi, che avevano esagerato i vantaggi del Paradiso non essendoci mai stati, non avrebbero potuto giurare chei reprobi all’ Inferno fossero sempre infelici: come immaginare che una fabbrica così sadica, vendicativa e inarrestabile di tortura dei dannati, una Auschwitz eterna possa essere compatibile con l’ idea cristiana di un Dio misericordioso? Il minimo che si esigeva dalla teologia era di rimodellare l’ idea della Geenna, destinata ai malvagi. Soprattutto tenendo in maggiore considerazione il ruolo di salvezza assegnato alla figura di Gesù: i Vangeli raccontano le sue lotte contro i demoni, ma anche le loro disfatte e le guarigioni operate sugli indemoniati. Il Credo cristiano dice che dopo morto egli scese tre giorni agli Inferi con altrettanta potenza liberatoria ma una lettura pigra di quell’ evento sembra trattenerlo agli Inferi per molto più tempo. La maggior parte dei biblisti pensa che non sia possibile,o comunque sia piuttosto rischioso, negare l’ esistenza di spiriti maligni. Molti temono che una cerimonia troppo disinvolta di addio al diavolo potrebbe far parte della sua tattica. Citano Baudelaire: “L’ astuzia più raffinata del diavolo è di persuadervi che non esiste”. Il licenziamento teologico del diavolo produrrebbe l’ insignificanza del male nei contemporanei ma questa censura non sembra abbia l’ effetto di porre fine al suo evidente successo. Nel 1972 Paolo VI è il primo a lamentare che il “fumo di Satana” si sia infiltrato da qualche fessura anche «nel tempio di Dio». Si rompe l’ incantesimo post-conciliare su un approccio indiscriminato della Chiesa al mondo moderno. Il Papa reagisce a una interpretazione del dialogo con la cultura dei Lumi che potrebbe risolversi in una liquidazione delle soglie critiche della coscienza cristiana di fronte al mondo e dunque in una omologazione della Chiesa ai “poteri del male”. Sulla stessa linea Wojtyla lancia dal Monte Gargano, mitico luogo di lotte anti-demoniache, la sfida ai cattolici a sguainare di nuovo la spada di San Michele Arcangelo «contro il dragone, il capo dei demoni, vivo e operante nel mondo». I suoi segni non sono più le corna, il piede caprino, l’ odore dantesco di zolfo ma «consumismo, sfruttamento disordinato delle risorse naturali, voglia sfrenata di divertimento, individualismo esasperato». Negli stessi anni il cardinale Ratzinger ricorda «a certi teologi superficiali» che il diavolo è per la fede cristiana «una presenza misteriosa ma reale, personale, non simbolica, una realtà potente, una malefica libertà sovrumana opposta a quella di Dio». Rivendica al cristianesimo di avere introdotto in Occidente «la libertà dalla paura dei demoni» ma teme che «se questa luce redentrice di Cristo dovesse spegnersi il mondo con tutta la sua tecnologia ricadrebbe nel terrore e nella disperazione». Segnali di ritorno di forze oscure, secondo il futuro Papa, sono i culti satanici in aumento nel mondo secolarizzato, l’ espansione del mercato della pornografia e della droga, «la freddezza perversa con cui si corrompe l’ uomo, l’ infernale cultura che persuade la gente che il solo scopo della vita siano il piacere e l’ interesse privato». Sono i primi tentativi della dottrina cattolica per far uscire la descrizione del diavolo da un linguaggio tradizionale ormai incomprensibile dalla stragrande maggioranza dei contemporanei. Il diavolo esiste ma assume le nuove forme delle ingiustizie e delle alienazioni. Il suo teatro non è solo il cuore umano ma anche la struttura sociale. Un teologo come Bernard Haring raccomandava molta cautela considerando il modo fantasioso con cui era stata riprodotta la dottrina sul diavolo: «Oggi lo psichiatra si mostra competente nella maggior parte dei casi nei quali si usava far intervenire l’ esorcista – dice -. La Scrittura non conosce quel tipo di discorso alienante sul diavolo che è stato coltivato nei secoli dai cristiani delle diverse Chiese sotto l’ influsso di culture in cui si realizzava una spaventosa alienazione». E Karl Barth rispondeva a chi chiedeva se dubitasse del diavolo: «Esiste pure quella bestia. Ma quando interviene la fede in Cristo mette la coda tra le gambe e non si fa più vedere».
Crisi epocale e nuovo inizio. Sfide per la vita consacrata
Pubblichiamo la conferenza tenuta da Marco Guzzi all’Istituto di Teologia della Vita Consacrata “Claretianum”, in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico, il 23 ottobre 2009.
L’augurio di un buon ascolto, e l’invito a visitare, nei momenti di maggiore disponibilità di tempo, la sezione “Audiovisioni”, che ha quasi raggiunto la quota di 3000 visitatori.
Qui potrete trovare e scaricare altri materiali video e audio di una certa lunghezza (superiori ai dieci minuti dei video di Youtube).
Parte prima – I caratteri della crisi | Guarda | Scarica |
Parte seconda – Verso un’umanità relazionale | Guarda | Scarica |
Parte terza – Cammini formativi nell’era della globalizzazione | Guarda | Scarica |
Crisi epocale e nuovo inizio. Sfide per la vita consacrata
Pubblichiamo la conferenza tenuta da Marco Guzzi all’Istituto di Teologia della Vita Consacrata “Claretianum”, in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico, il 23 ottobre 2009.
La danza della vita
Una grande lezione di vita la danza di questi due splendidi artisti: è possibile danzare la vita in ogni tempo; trasfigurare ogni limite in pienezza di vita, ogni ombra in luce, ogni morte in esperienza di resurrezione.
Ci è stato dato tutto il necessario per fare della nostra vita un capolavoro. Attingendo a quella pienezza di integrità sempre presente nella profondità della nostra vita possiamo creare la nostra opera d’arte, che sarà unica come lo sono le nostre storie personali.
Proprio le nostre ferite, le nostre mutilazioni interiori, sono il materiale grezzo per la nostra creazione: più povero è il materiale più risalterà l’opera dell’artista. E l’artista è lo Spirito che danza in noi se ci abbandoniamo a Lui, anche quando ci costringe a movimenti inusuali che risultano dolorosi proprio perché resistiamo ancora ad abbandonarci alla Sua danza.
Vi propongo un altro video, un’altra grande lezione di vita.
Proprio lungo la via dolorosa, quando siamo con la faccia a terra, privi di forza, fiducia e speranza, possiamo fare esperienza di una Forza che ci solleva in alto, che trasforma il cielo nero di maledizioni sopra di noi in un cielo luminoso di benedizioni.
Così abbandonandoci al Danzatore la via crucis si trasfigura in via lucis, la via dolorosa in via gloriosa.
Benedirò il Signore in ogni tempo!
Concedimi Signore di lasciare il tuo Spirito danzare liberamente in me, in ogni tempo!
Buona danza verso la Pasqua!
LAMPI – Sanremo, la quaresima, e i nuovi mostri
Carissime amiche e carissimi amici,
martedì 16 febbraio iniziava il Festival di Sanremo con un 47% di share (povera Italia!), e il giorno dopo la quaresima. Strana coincidenza di date: il trionfo dello spettacolo più mondano (e insipido) dell’anno e l’inizio del tempo della purificazione da tutte le cose vane; la baraonda mediatica di Pupo, mamma Clerici, Morgan che non c’è, l’ultimo (si spera) dei Savoia che affossa nella vergogna e nel ridicolo la memoria già infangata dei padri, da una parte, e dall’altra la cenere del mercoledì che ci ricorda che fine faremo tutti prima o poi.
Quasi nessuno ha sottolineato questo paradosso tipicamente italiano, di questo nostro popolo così tanto cattolico e così radicalmente pagano nello stesso tempo, cattolico e mafioso, cattolico e cafone, cattolico e ateo, col santino nel portafoglio e il televoto e il gratta e vinci in mano.
Il filosofo Pierre Klossowski dice che il processo di mostruosizzazione richiede che si impari a compiere il male con crescente insensibilità, apatica-mente. Si diventa mostri così, piano piano, senza accorgersene. Io credo che l’essere umano stia diventando mostruoso attraverso la devastazione progressiva del linguaggio, la resa incondizionata del pensiero alla chiacchiera, e cioè ad un dire che perde ogni contatto con la realtà, e trova il suo unico fondamento nella propria diffusione e nella propria ossessiva ripetizione, che rendono ogni diceria o calunnia sovrane incontrastate del pubblico, ovviamente per la brevissima durata del loro regno.
In tal senso Martin Heidegger dice: “La totale infondatezza della chiacchiera non è un impedimento per la sua diffusione pubblica, ma un fattore determinante”.
La nostra società sembra ormai nutrirsi quasi esclusivamente di parole vuote. E la ripetizione “indifferente”, e appunto “apatica”, di questo crimine contro natura sta producendo la nostra mostruosità. Vorrei tanto che tutti noi tornassimo a comprendere che questa dilapidazione del potere della parola non è affatto innocua, ma ci devasta, sfibrando il nostro essere fino ad avvelenare e a corrodere i nostri tessuti organici, le nostre cellule, il bios cioè, e non soltanto la psyke.
Vorrei che riascoltassimo ciò che dice dell’uso della parola colui che per i cristiani è la Parola stessa, il Pensiero stesso che parla di sé: “Ma io vi dico che di ogni parola inutile (verbum otiosum) gli uomini renderanno conto nel giorno del giudizio; poiché in base alle tue parole sarai giustificato e in base alle tue parole sarai condannato” (Mt 12,36). Ogni parola oziosa (argon, in greco), che non sia cioè operativa, piena di energie, e quindi efficace, in quanto elaborata, pensata e perciò viva e datrice di vita, ci toglie le forze, ci vampirizza, e ci lascia in preda ai processi accelerati della mostrificazione, lungo i quali paghiamo già l’amarissima pena della nostra disumanizzazione, finché nel giorno del giudizio tutti i conti saranno definitivamente regolati, grazie a Dio, e tutte le parole che avremo pronunciate saranno valutate una per una.
La tradizione buddhista elenca 32 categorie di argomenti oziosi. Il Buddha considera inutile e nocivo parlare di “re, ladri, ministri, eserciti, carestia e guerra, il mangiare, il bere, il vestire e la casa, profumi, parenti, veicoli, città, relazioni finite, perdite o guadagni mondani, e così via”. L’intero universo cioè della comunicazione di massa, della pubblicità, e della chiacchiera “culturale”, “politica”, o semplicemente da bar e di strada. Ci potremmo chiedere: ma allora di che cosa dovremmo parlare? A me verrebbe da rispondere d’istinto: ma della verità, e di cos’altro? di ciò che chiede pressante-mente di essere interrogata, per dirla ancora con Heidegger, e quindi di ciò che ci dona, se amata e ascoltata, la nostra vera umanità, la felicità e la salute, una vita più integra e un pensiero più vivace.
Ma credo che prima e contemporaneamente dovremmo riscoprire la bellezza del silenzio, l’effetto curativo del ridurre l’inquinamento acustico della chiacchiera mondana. Kierkegaard diceva che se fosse stato un medico avrebbe condotto subito l’umanità al silenzio, per curarla dei suoi gravissimi mali. Ed eravamo nel 1850 in Danimarca.
Il silenzio però è un lungo apprendimento, non si tratta solo di spegnere la TV per qualche ora, ma di scoprire giorno dopo giorno chi diventiamo, quando incominciamo a spegnere tutti gli altoparlanti interiori che presumono già di sapere chi siamo, e ci predisponiamo così, ogni giorno più attenti e silenziosi, ad ascoltare l’inaudito, ciò che ancora non fu mai udito e che pure ci sta parlando proprio ora.
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