LIBRO PROVOCAZIONE DELLO PSICANALISTA RECALCATI: “L’UOMO MODERNO HA CANCELLATO L’INTIMITA’ DEL SOGGETTO, L’ECCESSO DI STIMOLI UCCIDE IL DESIDERIO”
C’è una probabile vittima e, secondo gli indizi, si chiama inconscio. C’è un forte sospettato e, prove alla mano, è il nostro tempo. Ma forse c’è ancora una speranza di scongiurare il peggio. È un’indagine originale quella che lancia Massimo Recalcati, analista lacaniano (ma lucido, brillante, originale e chiarissimo, al contrario del grosso dei lacaniani), autore del saggio “L’uomo senza inconscio”, edito da Cortina, secondo molti libro destinato a lasciare il segno.
Hanno ammazzato l’inconscio, dunque, la tesi di questo testo che sembra un triller. Ma più che un indiziato unico, a compiere il delitto sarebbe un’associazione a delinquere. Dice Recalcati: “E’ il nostro tempo che minaccia l’intimità più radicale e scabrosa del soggetto. È l’epoca dei turbo-consumatori, dell’inebetimento maniacale, della gadgettizzazione della vita, della burocrazia robotizzata, del culto narcisistico dell’Io, dell’estasi della prestazione, della spinta compulsiva al godimento immediato come nuovo comandamento assoluto”.
Ma non è un omicidio evidente, quello consumato ai danni dell’inconscio. Piuttosto una sparizione. Forse una morte bianca. E prima di avvisare i parenti, Recalcati chiarisce bene qual è secondo lui la foto segnaletica dello scomparso: “L’inconscio non è un dato di natura, qualcosa che esiste in quanto tale. Ma qualcosa che dobbiamo far esistere. L’inconscio esige rigore, perseveranza, ma anche disponibilità a perdersi, a incontrare il caos, l’imprevisto. Soprattutto la capacità di esporsi al rischio della solitudine e del conflitto”.
Siamo infelici, dice l’analista, perché tradiamo il programma inconscio del nostro desiderio, lo mascheriamo, lo sopprimiamo tramite un Io che si modella sulle attese altrui.
Ecco allora che si delineano i moventi di questo possibile omicidio. Le ragioni per abbatterlo, l’inconscio, sono fortissime. Spiega Recalcati: “Come diceva Heidegger, riprendendo Nietzsche, il deserto cresce e il mondo si riduce a mero calcolabile. Il nostro tempo è sordo al tempo lungo del pensiero, maniacalizza l’esistenza con un eccesso di stimolazioni e oggetti di consumo, cancella la spinta singolare del desiderio in nome di un iperedonismo ben integrato al sistema, dell’affermazione entusiasta e disincantata dell’homo felix”.
È interessante il modo in cui l’autore rilegge il vecchio Super–Io. Una metamorfosi inquietante: il comandamento sociale prevalente oggi non impone più la rinuncia al piacere immediato in nome della morale civile, come ai tempi di Freud, ma al contrario impone il godimento come forma inaudita del dover essere. Come obbligo. La vita va così alla deriva, continua Recalcati, caotica, spaesata, priva di punti di riferimento, smarrita e vulnerabile. “Devi godere”, è il nuovo imperativo categorico. Non il godere sano che viene dal desiderio reale, guidato dall’inconscio, ma una volontà tirannica, priva di scambio con l’altro. Priva anche di eros. Prevale solo la pulsione opposta, quella della ripetizione che attenta alla vita, che porta solo disastro.
Insomma, in nome di questo piacere coatto, si aderisce a una maschera sociale, che simula trasgressione ma nasconde conformismo. Al posto del conflitto freudiano tra principio di piacere e principio di realtà si impone il culto della prestazione esibita. Con tutta la serie di nuove malattie che ne derivano: disordini alimentari, dipendenza dagli stupefacenti, depressioni, attacchi di panico, somatizzazioni. Malattie che, secondo l’analista lacaniano, confermano la dissoluzione dell’inconscio. Una clinica dell’antiamore, la definisce nel libro.
Ecco allora, conclude l’autore, che solo il lavoro di ricerca e di scavo nel profondo possono diventare un luogo di resistenza a questa mutazione devastante, a questo omicidio dell’anima che forse ancora non è del tutto compiuto. Compito etico di tutti oggi è promuovere la singolarità irriducibile degli esseri umani. Contro quelle cure egemoni, quelle cliniche dell’antiamore che si limitano a fingere di aggiustarli.
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