Non parliamo di mafia come fosse una cosa fuori di noi; parliamo della mafiosità, del male spicciolo che è dentro di noi. (Padre Pino Puglisi)
Dio ci chiama ad essere profeti. Il nostro impegno profetico di denuncia non deve e non può venir meno. Per amore della mia gente non tacerò (Don Giuseppe Diana)
Il discepolo di Cristo è un testimone. La testimonianza cristiana va incontro a difficoltà, può diventare martirio. Il passo è breve, anzi è proprio il martirio che da valore alla testimonianza. (Padre Pino Puglisi)
Il video termina con l’invito: Non lasciamoli soli! Ma come? dove trovare il coraggio profetico?
Capisco che il ‘dove’ e il ‘come’ nascono dal silenzio e dall’ascolto: ascolto di me, dei miei pensieri intrisi di emozioni spesso negate e rimosse; dall’ascolto della Parola, Parola che mi ri-crea, mi ri-genera, e mi porta a ‘vedere’ il male presente in me, ad aprire gli occhi sul mondo, a riconoscere ciò che è male e a trovare il coraggio di denunciarlo, vincendo la paura degli Erodi di turno.
“Nel secondo anno del suo regno Nabucodonosor fece un sogno e il suo animo ne fu molto agitato….
Daniele davanti al re disse: “Tu stavi osservando, o re, ed ecco una statua, una statua enorme, di straordinario splendore si ergeva davanti a te con terribile aspetto. Aveva la testa di oro puro, il petto e le braccia di argento, il ventre e le cosce di bronzo, le gambe di ferro e i piedi in parte di ferro, in parte di creta.
Mentre stavi guardando una pietra si staccò dal monte, ma non per mano di uomo, e andò a battere contro i piedi della statua, che erano di ferro e di argilla e li frantumò. Allora si frantumarono anche il ferro, l’argilla, il bronzo, l’argento e l’oro, e divennero come la pula sulle aie d’estate; il vento li portò via senza lasciare traccia, mentre la pietra che aveva colpito la statua divenne una grande montagna che riempì tutta quella regione”. (Dn 2,1.31-35)
Riconosco che la statua, simbolo del male, è anche dentro di me: aspetti di arroganza, prepotenza, violenza, non rispetto dell’altro, prevaricazione, sono anche dentro di me, perché il male, in piccolo o in grande, ha sempre la stessa radice.
Questo l’aveva capito bene don Pino Puglisi, parroco nel quartiere Brancaccio di Palermo, uno dei più disagiati e ad alta densità mafiosa (“Sono diventato il parroco del papa“, diceva scherzosamente riferendosi al soprannome del capomafia Michele Greco che dal carcere continuava ad esercitare un forte controllo sul quartiere), ucciso dalla mafia a Palermo il 15 settembre del 1993.
“Non parliamo di mafia come fosse una cosa fuori di noi; parliamo della mafiosità, del male spicciolo che è dentro di noi.
Chi di noi non ha acceso anche solo un lumicino piccolo piccolo ai tre idoli dominanti: il denaro, il successo, il potere?
Facciamo allora un atto di coraggio e puntiamo il dito contro noi stessi.
Diciamo: io comincio qui e ora.
Qualcosa cambierà certamente, per lo meno in quel pezzetto di mondo che ci è stato affidato”.
Padre Pino Puglisi, soprannominato 3P, aveva fatto del Padre Nostro la preghiera antimafia per eccellenza e sviluppato una vera e propria pastorale antimafia del Padre Nostro.
Il Padre Nostro è “un itinerario di catechesi per un cammino di conversione che comincia da noi”: contro la mentalità mafiosa che in misura diversa appartiene un po’ a tutti, perché anche in chi rimane formalmente estraneo alla mafia, si sono infiltrati mentalità, linguaggio, atteggiamenti mafiosi, che convivono spesso con forme di religiosità tradizionali.
“Un itinerario di catechesi sul Padre Nostro, nei nostri ambienti, vuole riproporre le verità fondamentali della nostra fede, restituire alle parole il loro autentico significato, creare la mentalità nuova dell’uomo nuovo che è il cristiano, figlio di Dio, ‘pietra viva’ nella edificazione della Chiesa
Il Padre Nostro è come il sassolino che manda in frantumi la grande statua del sogno di Nabucodonosor. Buon per noi se andiamo in crisi quando, recitandolo, ci rendiamo conto che non stiamo facendo solo delle domande ma anche delle professioni di fede, delle dichiarazioni di impegno, e –se lo prendiamo sul serio- corriamo il rischio di diventare presenze scomode, segni di contraddizione”.
Presenza scomoda Don Puglisi lo diventa soprattutto quando nel gennaio del 1993 inaugura il Centro Padre Nostro, solo con offerte ‘trasparenti’, rifiutando ogni proposta di ‘aiuto’ che avrebbe voluto dire sottomissione e legittimazione dei meccanismi del potere mafioso.
Il Centro è pensato per coniugare evangelizzazione e promozione umana, per realizzare una pedagogia antimafia cominciando soprattutto dai bambini.
“E’ importante combattere la mafia soprattutto nelle scuole per combattere contro la mentalità mafiosa che è poi qualunque ideologia disposta a svendere la dignità dell’uomo per soldi”.
E’ una sfida della speranza
“perché di fronte all’arroganza, alla prepotenza, alla violenza….non ci si fermi alle proteste, ai cortei, alle denunce.. … Bisogna rimboccarsi le maniche ed agire. …
Cerchiamo di tirare una corda per tirare qualcuno fuori dalla palude…
E’ soltanto un segno per cercare di muovere l’ambiente, senza presumere di risolvere i problemi del quartiere. E’ soltanto per dire che si può fare qualcosa. E se ognuno fa qualche cosa, allora si può fare molto…”
La sua azione scardina un modo di ‘pensare mafioso‘ consolidato, toglie terreno alla mafia.
Il pentito Giovanni Drago: “Il prete era una spina nel fianco. Predicava, predicava, prendeva ragazzini e li toglieva dalla strada. Faceva manifestazioni, diceva che si doveva distruggere la mafia. Insomma ogni giorno martellava, martellava e rompeva le scatole“.
Un ‘rompiscatole’ don Pino; contro di lui e i suoi collaboratori inizia una escalation di minacce e avvertimenti, ma a chi lo invita alla prudenza risponde:
“Se Dio è con noi, chi sarà contro di noi? Io non ho paura di morire se quello che dico è la verità”.
Viene ucciso il 15 settembre del 1993, giorno del suo cinquantaseiesimo compleanno.
“Me l’aspettavo” dice ai suoi killer con un sorriso. Un sorriso che sconvolge il suo assassino, Salvatore Grigoli, il quale, dopo l’omicidio, ha deciso di collaborare con la giustizia.
Don Pino non si è limitato ad annunciare principi, ma ha voluto testimoniare con la vita ciò in cui credeva, come don Giuseppe Diana, 36 anni, ucciso dalla camorra il giorno del suo onomastico,19 marzo 1994, mentre stava preparandosi a celebrare la Messa nella chiesa di S.Nicola a Casal di Principe.
Questo un estratto del documento Per amore del mio popolo non tacerò diffuso nel Natale del 1991 in tutte le chiese di Casal di Principe:
Siamo preoccupati
Assistiamo impotenti al dolore di tante famiglie che vedono i loro figli finire miseramente vittime o mandanti delle organizzazioni della camorra.
Come battezzati in Cristo, come pastori della Forania di Casal di Principe ci sentiamo investiti in pieno della nostra responsabilità di essere “segno di contraddizione”.
Coscienti che come chiesa “dobbiamo educare con la parola e la testimonianza di vita alla prima beatitudine del Vangelo che è la povertà, come distacco dalla ricerca del superfluo, da ogni ambiguo compromesso o ingiusto privilegio, come servizio sino al dono di sé, come esperienza generosamente vissuta di solidarietà”…..
La Camorra oggi é una forma di terrorismo che incute paura …. …
Responsabilità…. La Camorra riempie un vuoto di potere dello Stato che nelle amministrazioni periferiche è caratterizzato da corruzione, lungaggini e favoritismi…….
…..le carenze anche della nostra azione pastorale ci devono convincere che l’Azione di tutta la Chiesa deve farsi più tagliente e meno neutrale per permettere alle parrocchie di riscoprire quegli spazi per una “ministerialità” di liberazione, di promozione umana e di servizio.
Forse le nostre comunità avranno bisogno di nuovi modelli di comportamento: certamente di realtà, di testimonianze, di esempi, per essere credibili…..
Impegno dei cristiani
Il nostro impegno profetico di denuncia non deve e non può venire meno.
Dio ci chiama ad essere profeti.
– Il Profeta fa da sentinella: vede l’ingiustizia, la denuncia e richiama il progetto originario di Dio (Ezechiele 3,16-18);
– Il Profeta ricorda il passato e se ne serve per cogliere nel presente il nuovo (Isaia 43);
– Il Profeta invita a vivere e lui stesso vive, la Solidarietà nella sofferenza (Genesi 8,18-23);
– Il Profeta indica come prioritaria la via della giustizia (Geremia 22,3 -Isaia 5)
Coscienti che “il nostro aiuto é nel nome del Signore” come credenti in Gesù Cristo il quale “al finir della notte si ritirava sul monte a pregare” riaffermiamo il valore anticipatorio della Preghiera che é la fonte della nostra Speranza.
Appello
Le nostre Chiese hanno, oggi, urgente bisogno di indicazioni articolate per impostare coraggiosi piani pastorali, aderenti alla nuova realtà; in particolare dovranno farsi promotrici di serie analisi sul piano culturale, politico ed economico coinvolgendo in ciò gli intellettuali finora troppo assenti da queste piaghe.
Ai preti nostri pastori e confratelli chiediamo di parlare chiaro nelle omelie ed in tutte quelle occasioni in cui si richiede una testimonianza coraggiosa;
Alla Chiesa che non rinunci al suo ruolo ‘profetico’ affinché gli strumenti della denuncia e dell’annuncio si concretizzino nella capacità di produrre nuova coscienza nel segno della giustizia, della solidarietà, dei valori etici e civili (Lam. 3,17-26).
Tra qualche anno, non vorremmo batterci il petto colpevoli e dire con Geremia “Siamo rimasti lontani dalla pace… abbiamo dimenticato il benessere… La continua esperienza del nostro incerto vagare, in alto ed in basso,… dal nostro penoso disorientamento circa quello che bisogna decidere e fare… sono come assenzio e veleno”.
Don Pino Puglisi e don Giuseppe Diana sono capofila di una santità nuova, fatta non solo di virtù private ma anche di pubbliche virtù, di impegno civile, di scelte concrete nella società.
Ci insegnano una direzione e un senso per il nostro essere Chiesa: una grande passione per la giustizia, il coraggio profetico della denuncia, la libertà dai condizionamenti dei potenti del mondo.
Sono una sollecitazione per le nostre parrocchie ad uscire dallo stato di passiva rassegnazione e di inerte indifferenza di fronte a quanto di male accade nel territorio, dal compromesso della separazione e reciproca indifferenza (il prete fa il prete in chiesa, i malavitosi gestiscono indisturbati i loro affari fuori); sono un invito a lasciarsi interrogare da ciò che succede, a non tacere, a costruire comunità adulte nella fede, capaci di coraggio profetico e di testimonianza di vita.
Sono un invito a creare percorsi di formazione che portino ad un’autentica conversione del cuore; un invito ad alzare lo sguardo, a dotarsi di strumenti adeguati e incisivi per divenire, liberati, agenti di liberazione nel mondo.
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