LA DISCESA A OSTACOLI DEL CRISTIANO
Poco più di due minuti. Tanto dura il frammento del proprio futuro che ogni uomo della Terra riesce a vedere con chiarezza. Un futuro che trova conferma nei riscontri incrociati tra miliardi di testimonianze. Chi si vede innamorato di una persona che ancora neppure conosce diversa dal proprio coniuge. Chi sorprende se stesso inseguito da killer minacciosi. Chi sta semplicemente sulla tazza del water a leggere il giornale. Chi invece non vede nulla, perché quel giorno sarà già morto. È lo spunto di partenza di Flash Forward, telefilm americano partito di recente anche in Italia. Serie tratta dal bel romanzo di Robert Sawyer (regalatomi dal mio amico e collega di redazione Marco).
È un libro che, insieme alla serie, consiglio. Perché, nella trama ricca di azione e colpi di scena, pone domande molto forti su ciò che siamo. Anzitutto: il futuro dipende completamente da noi o è già scritto? E nel caso fossimo in grado di conoscerlo, dobbiamo rassegnarci a subirlo in modo passivo, bello o brutto che sia, o possiamo cambiarlo? A generare questo gigantesco salto in avanti temporale, nel libro (in cui il passaggio è di decine di anni) come nel telefilm (dove per rendere più stringente l’azione è di pochi mesi rispetto al presente, con annessa minaccia terroristica), è un esperimento mal riuscito al Cern di Ginevra. E questa è la fiction.
Nella vita vera, invece, mi sembra di percepire qualcosa di simile al tema di Flash Forward nelle nostre attitudini inconsce. Già, quei meccanismi difensivi indotti dalle proprie ferite che nel produrre pensieri e preconcetti in modo automatico delineano ogni giorno piccole e grandi profezie sul nostro futuro. Pensiamo per un istante a cosa sarà tra sei mesi la nostra vita e ci vediamo alle prese con la stessa noia di oggi: quello sbadiglio davanti al televisore o lo stesso scontro con il collega odioso di sempre. O magari vediamo qualcosa di peggiore, percepiamo che perderemo un’occasione, o un lavoro, o una persona cara. Oppure, quando le cose girano bene, vediamo un paesaggio più roseo. E ci sentiamo col vento in vela. Anticipazioni che, a volte, si avverano. O, forse, semplicemente, si autoavverano, proprio perché da esse siamo attratti in un vertiginoso gioco di causa e effetto, così come Macbeth diventa esecutore consapevole e insieme vittima impotente della sua stessa tragica profezia, una volta che l’ha appresa dalle tre streghe.
Quanto pesano queste vere e proprie visioni che abitano i nostri pensieri, anticipazioni del futuro che spesso orientano in quella direzione le nostre vite? Quanto siamo agiti da questi presagi che ci fanno sentire come bestie condotte al macello, rassegnati a finire dove il nostro oracolo interiore ha indicato che finiremo, in modo inconscio o sotto forma di umori indistinti. Spesso in qualche brutto posto. Perché questo? Laici o religiosi, atei o devoti, tutti siamo più o meno convinti di disporre del nostro libero arbitrio. Poi, tutti, più o meno sperimentiamo la difficoltà di mantener fede ai nostri impegni, siano smettere di fumare, tenere più in ordine la scrivania o passare più tempo con le persone amate. Perché? Che qualcosa ci sovrasti in modo inappellabile lo pensavano già i greci: malgrado tutti i nostri migliori sforzi, ci dice per esempio l’Edipo Re di Sofocle, c’è una predestinazione nelle nostre vite a cui è impossibile sfuggire. Se è destino che ucciderai tuo padre e sposerai tua madre, questo avverrà nonostante tutte le precauzioni per evitarlo. E l’idea di un destino già scritto è, per certi aspetti, anche alla base del pensiero protestante. O, nei tempi odierni, è la stessa fisica quantistica a ipotizzare che il futuro sia già segnato come il passato, un po’ come raccontava bene il film Sliding doors. Allora: che rapporto c’è tra libero arbitrio e destino? Siamo noi a decidere cosa fare dei nostri giorni o è qualcosa di superiore che ci fa fare alcuni incontri e ce ne risparmia altri? Fino a che punto dobbiamo leggere i segni, nella vita, nelle profezie, negli astri, per orientarci verso una meta già decisa o fino a che punto, al contrario, possiamo sfuggire a questa morsa, rilanciando l’obiettivo delle nostre vite anche quando gli anni e le delusioni sembrano soffiare contro il nostro slancio?
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