edio una fortezza inviolabile….” (diario 1941-1943)
Liberazione Interiore -> Trasformazione del Mondo
«E’ impossibile conoscere la realtà per la stessa ragione per cui è impossibile cantare le patate; esse possono essere coltivate, estirpate o mangiate, ma non cantate. La realtà deve essere ‘stata’…..Il punto in discussione è come passare dal ‘conoscere’ fenomeni a ‘essere’ ciò che è reale». (Bion)
«Dovremmo sempre essere aperti alla possibilità che ci sia un qualche stato di coscienza ‘superiore’ del quale tutti gli altri stati di coscienza possono essere considerati sottosistemi pienamente comprensibili: forse questo è ciò che illuminazione significa in qualche ultimo senso» (Tart)
Molti gli interrogativi suscitati dal post Miracoli e dogmi di fede? Ce li spiegherà la scienza.
Innanzitutto, quale scienza, o meglio quale scienziato sarà in grado di spiegarli?
E ancora: All’interno di quale stato di coscienza ciò potrà avvenire? Quale dovrà essere l’atteggiamento dello scienziato?
Il paradigma positivista, imperante in ambito scientifico, che nel secolo scorso aveva coltivato l’ambizione di arrivare a definire una “visione scientifica del mondo”, quasi un’ironia della sorte, fu messo in crisi proprio dalle scoperte della scienza: il senso di sicurezza circa la possibilità della scienza di conoscere il reale venne meno e da una conoscenza certa si passò ad una conoscenza di tipo probabilistica.
Il concetto di campo mise in crisi il concetto di cose ed eventi separati, ogni cosa esiste in un campo all’interno del quale si definisce.
Il principio di indeterminazione, evidenziando il fatto che l’osservazione di un sistema fisico esercita un’influenza sul comportamento futuro dello stesso sistema fisico, mise in crisi lo schema fondamentale di ogni ricerca scientifica sperimentale e sollevò una discussione, tutt’ora aperta, sui fondamenti e la possibilità stessa della conoscenza della natura.
La teoria della relatività mise in discussione l’indipendenza reciproca dello spazio e del tempo abbattendo così l’idea di uno spazio e di un tempo assoluti.
La scoperta dei quanti, descrivendo il moto come una serie di balzi scissi che gli elettroni compiono in modo casuale e spontaneo, portò una profonda modificazione nel modo di considerare come le cose si mettono in relazione.
Sostenendo che la materia, a livello sub-atomico, non esiste con certezza in luoghi definiti e gli eventi non accadono con certezza in tempi definiti, che la realtà presenta un ineliminabile dualismo al suo fondo (onda e particela sono ciascuna un modo nel quale la materia può manifestarsi ed entrambe costituiscono ciò che la materia ‘è’), la fisica moderna sembra colmare il divario tra scienza e fede ed aprire ad una visione della realtà che assume sfumature mistiche.
Fu Einstein a dimostrare per primo che le equazioni quantistiche preannunciavano la necessità della istantanea non-località. Egli riteneva impossibile ciò perché, secondo la teoria della relatività, nessuna causa (o segnale) può viaggiare da un punto della realtà e toccarne un altro ad una velocità superiore a quella della luce.
Ma esperimenti di correlazione con fotoni (particelle di luce), effettuati negli anni ’70 e ripetuti più volte in seguito, sembrano provare il contrario: i fotoni si mostrano così misteriosamente legati attraverso ogni separazione spaziale, sia di pochi centimetri come dell’intera distanza dell’universo, che pare non esservi spazio tra essi. La stessa misteriosa correlazione si attua attraverso il tempo.
«Di fatto, –dice Zohar, ricercatrice inglese– i fotoni riescono ad estendersi attraverso il tempo in una danza sincrona che sfida ogni immaginazione vincolata al senso comune. (…). La misura in cui esistono effetti correlati non-locali tra corpi o eventi apparentemente separati dipende dallo stato in cui un sistema si trova: in stato di ‘particella’ o di ‘onda’. Le particelle si comportano più come individui separati e sono meno correlate; le onde mostrano un comportamento più simile a quello di un gruppo correlato».
Il comportamento sincrono -che sta alla base di ogni relazione della meccanica quantistica- potrebbe forse costituire il fondamento scientifico di quei fenomeni di ‘sincronicità‘ di cui parla Jung, fenomeni di ‘coincidenza significativa’ tra avvenimenti psichici e avvenimenti fisici che si producono quando vengono mobilitati gli strati più profondi della psiche?
Le scoperte della fisica pongono affascinanti interrogativi e richiedono un cambiamento ‘catastrofico’ nell’atteggiamento conoscitivo: un coinvolgimento del soggetto, un suo ‘mettersi all’unisono’ con la realtà.
Bion, psicoanalista inglese del secolo scorso, ritiene che solo adottando un ‘vertice mistico’, considerando l’esistenza come originaria, inscindibile unità di soggetto ed oggetto, è possibile arrivare a conoscere la realtà.
Trattasi di una ‘conoscenza divenuta’ cui è possibile accedere solo con ‘atti di fede’: la Realtà Ultima, l’inconoscibile (che Bi
on indica con il simbolo O) resta infatti inaccessibile alle funzioni logico-razionali della mente (K) e si rivela solo attraverso la Fede (F).
La Fede è per Bion l’unico vertice/contenitore che consente di dilatarsi all’infinito, l’unico che consente, nel cammino della conoscenza, di affrontare la ‘catastrofe’ del cambiamento e passare dal piano del ‘conoscere i fenomeni’ ad ‘essere i fenomeni’, a ‘divenire’ ciò che è reale.
Questa evoluzione del pensiero (evoluzione in O) viene presentata da Bion come un ‘cambiamento catastrofico’, che suscita terrori di morte.
Solo con F in O è possibile affrontare i terrori che l’evoluzione in O comporta. La conoscenza che si realizza in questo stato di coscienza -alterato rispetto a quello razionale ordinario- è possibile descriverla solo attraverso il linguaggio dell’arte e della poesia.
Lo scienziato, come l’uomo comune, per accedere alla Verità deve quindi affrontare un ‘cambiamento catastrofico’ e le turbolenze emotive che lo accompagnano. Deve sviluppare un atteggiamento simile a quello di un mistico: astensione dalla memoria, dal desiderio, dalla comprensione; consapevolezza dell’«inevitabilità del pensiero» e della «non importanza dell’individuo che lo alberga»; consapevolezza che si albergano dei pensieri ma non si è quei pensieri; che «dopo aver espresso una verità, il pensatore è di troppo».
Se il pensatore (scienziato o persona comune) si ritiene essenziale al pensiero espresso (stato ego-centrato) entra in conflitto con altri pensatori che si sentono essi stessi essenziali al pensiero; il bisogno di affermare il proprio contributo al pensiero come unico ed essenziale determina un clima intossicato da invidia, gelosia, possessività, sentimenti che contribuiscono a creare una cultura che si allontana sempre più dalla verità e si sviluppa dalla bugia.
Bion postula il sorgere di una «scienza dell’essere all’unisono» per conoscere la realtà, una scienza che utilizzi la fede (che noi identifichiamo con lo stato dell’io in relazione) per mettersi all’unisono con la Realtà Ultima (O), una scienza che sappia farsi guidare dalle intuizioni e far ricorso al «germe della fantasia» .
La conoscenza ‘divenuta’ di O viene poi manifestata attraverso le funzioni logico-razionali della mente (K). Le funzioni di K possono quindi favorire uno sviluppo della conoscenza solo se subordinate alle verità intuite tramite “atti di fede”.
Evitare la memoria e il desiderio -sostiene Bion- aumenta la capacità di esercitare “atti di fede”, capacità essenziale al procedere scientifico: l’atteggiamento di fede infatti, anziché attenuarla, aumenta la precisione nella percezione dell’esperienza e sviluppa una sensibilità capace di apprezzare anche quanto rimane fuori dal campo della nostra coscienza.
Sono non credente ma qui ho trovato una via di liberazione.
Quadri di Alessandro Guzzi – Testo di Marco Guzzi
Lo sguardo incantato della ragazza alla finestra è quello dell’anima aperta all’ascolto, capace di reale abbandono al mistero abissale che la abita.
Questo mistero si sgrana nei quadri di Alessandro, che narrano le fasi del cammino iniziatico, alla ricerca dell’unione spirituale con la verità delle cose, con il senso del tutto: una integrità che nasce dall’intimità progressiva con parti di sé che languivano dimenticate nelle profondità dell’inconscio.
L’universo interiore si popola di presenze benevole che assecondano gli aneliti dell’anima e accompagnano, vegliando, lo schiudersi della nuova vita.
Il ritrovamento dell’anello d’oro caduto nelle acque del lago è pegno di nuovi tesori, e promessa di nuovi miracoli.
Il miracolo accade sempre in un momento determinato: avviene ad una certa ora di un giorno preciso, in un mese, in un anno della mia concreta storia umana.
Il tempo si concentra in questo istante e, nonostante tutti i limiti che sperimento, sento irrompere in esso un raggio di eternità: si apre uno spiraglio di salvezza.
Mi aggrappo, mi appoggio a qualcosa, ad una musica da fuori, che mi solleva dalla cappa mortale che mi stringe.
E’ la mia unica libertà: affidare tutta l’angoscia e la disperazione alla cura di un’armonia rivelata che non posso produrre da sola.
Tu vieni a liberarmi.
La tua presenza è la mia gioia: così mi risani, sussurrando parole di tenerezza e promettendo di musicare la mia vita per accordi sempre più sottili.
LA VIOLA D‘AMORE
Ore 18 e 20. Domenica
Ventisei luglio 1992. In casa
Trenta gradi. In testa
Un chiodo. Vige
La cappa in cielo. L’afa
Aggrava la terra.
Ascolto Bach:
Le sonate per liuto, e la mia gioia
Sei tu, presente.
“ Tu sei la mia cantata, ti musicherò
A due, a tre
Voci, ti strumenterò
Per il pensiero
Più vibrato, oh mia dolcissima
Viola”.
Marco Guzzi, Preparativi alla vita terrena, 2002
Chi ha visto serie televisive come Lost o Fringe la domanda se la deve essere fatta: sarà possibile, prima o poi, spiegare con gli strumenti della scienza i misteri insondabili della metafisica? Sarà possibile, prima o poi, creare macchine, protocolli, sistemi per penetrare e magari riprodurre i misteri della nostra fede? Uscirà, prima o poi, un modello matematico per definire i miracoli, la nascita da una vergine, la resurrezione dei morti?
Tra scienze razionali e credo religioso c’è una lunga storia di conflitto e incomprensioni. E oggi, a leggere molti dei libri di successo in circolazione, sembra quasi che nessuna teologia possa frenare l’avanzata della tecnica. Ma proprio dalle file degli scienziati, in genere poco propensi ad aprire orizzonti spirituali nei loro lavori, esce un pensatore di grande originalità: si chiama Frank J. Tipler, insegna fisica matematica alla Tulane University di New Orleans e ha pubblicato di recente il libro “La fisica del cristianesimo” (Mondadori editore).
Cos’ha di speciale Tipler? Che, dopo aver passato in rassegna secoli di scritti e dibattiti, si è reso conto come in tutto lo scontro tra scienza e religione nessuno abbia mai condotto una seria ricerca scientifica sulle affermazioni e le credenze del cristianesimo: gli scienziati troppo sbrigativi nel definire favole le pagine della Bibbia, i teologi troppo assorti nella difesa dei dogmi di fede a prescindere dalla ragione. E allora ci ha pensato lui, Tipler, a fare un po’ di confronti. Nella “Fisica del cristianesimo” presenta proprio i risultati del suo studio per dimostrare che nulla nella dottrina cristiana e nel racconto biblico è incompatibile con le leggi della fisica moderna. Studio pioneristico, ammette lui stesso. Imperfetto. In certi casi, per chi legge, carico di disorientamento e non sempre facile da capire. Ma per gli animi curiosi, per gli spiriti in ricerca, le pagine di Tipler suoneranno comunque cariche di suggestioni, di richiami e di stimoli. Dice il fisico americano che l’esistenza del Dio di ebrei e cristiani, la Causa prima dell’universo, non contraddice nessuna legge di natura. Al contrario, sono gli stessi fisici che oggi ipotizzano la presenza di una Singolarità cosmologica, ossia di un inizio non causato del cosmo. E poi, capitolo dopo capitolo, ecco una giustificazione scientifica per episodi come le guarigioni e le resurrezioni operati da Gesù, per la verginità di Maria, per l’incarnazione del Figlio dell’Uomo, per la resurrezione dei morti. Tutto secondo Tipler, che attinge a piene mani nel mondo della quantistica, della genetica e delle scienze informatiche, è fisicamente realistico.
Persino gli assunti che sembrano più implausibili dal punto di vista scientifico, sostiene lo scienziato di New Orleans, si fondano o possono fondarsi su leggi fisiche certe e possono trovare conferma nei più recenti studi di laboratorio. Rivolto ai lettori cristiani e non solo, “La fisica del cristianesimo” è un libro importante, destinato a gettare un ponte tra le nuove prospettive della scienza e le menti più aperte della teologia.
M.C.
Poesia quanto basta, sobrietà e compassione
Se desidero che nella mia vita soffi l’impercettibile soffio della libertà ho da preparare tutti i giorni una dimora sufficientemente sgombra da ciò che è inutile e sufficientemente cava da accogliere l’eccedenza. Proprio come tutti i giorni arieggio casa.
Per una dimora sufficientemente sgombra imparo tutti i giorni ad essere un po’ più sobria, di una sobrietà che parta da una decisione del cuore e da una voglia di pulizia della testa.
Che parta da dentro e raggiunga mani e piedi.
E scorra nelle mani non accaparratrici che sappiano offrire, aggiustare, lasciare, scambiare, condividere e non solo prendere, acquistare,conquistare.
E scorra nei piedi che non desiderino più soltanto calpestare, mangiarsi in fretta chilometri pigiando l’acceleratore, stare nelle scarpe, stare in quelle all’ultima moda, stare in due scarpe diverse per mero vantaggio personale, camminare indifferenti e scortesi.
E scorra nei piedi a imprimere il giusto passo, la leggerezza, la voglia dell’incontro e del riposo, del cammino, della danza e della sosta.
Che parta da dentro a contenere le voracità, tutte le voracità, anche quelle di belle parole, di buoni libri, di idee illuminate.
Perché anche ciò che è buono e bello va gustato e non ingurgitato, va calato in ogni fibra offrendo tempo, attenzione, spazio e diventi parte di noi e non scivoli via veloce senza nulla cambiare dentro e attorno a noi.
Che parta da dentro e sappia condurci a vedere come stiamo diventando unilateralmente vocati al consumo e sempre più smemorati circa la nostra vocazione ad essere felici, come stiamo preferendo l’apparire su qualche palcoscenico effimero anziché vivere davvero la propria vita con le porzioni di rischio e di responsabilità da assumere in compagnia con gli altri uomini e le altre donne.
La sobrietà rende concava la mia vita per stare intensamente nella vita e stare con gli altri in regime di attenzione ai più piccoli segnali di bellezza e di dolore.
I dettagli di bellezza accolti sono la festa dell’anima oltre che degli occhi e germinano parole nuove nel mondo, le parole di tutti e di sempre dette con grammatiche altre da quelle consuete e ritmi che s’accordano con la semplicità della vita.
Parole di tutti e di sempre risvegliate dai loro torpori e squarcianti i nostri.
Parole di tutti e di sempre che suscitano il senso dell’incomparabile dagli angoli dimenticati dove l’abbiamo relegato, quasi fosse inutile.
Parole di tutti e di sempre come piccole luci a far rinascere in noi il senso dell’unicità di ognuno, spogliato d’arroganza, e tutte le possibilità d’essere che abbiamo soffocato, e gli stupori che credevamo ormai estinti.
E i più piccoli segnali di dolore, i gemiti, i sospiri che salgono da sotto la pelle del pianeta e si fanno leggibili nei pori degli esseri viventi e nell’incrociare sguardi di chi ci cammina a fianco: anche loro accolti nella nostra dimora resa un po’ concava dalle decisioni di quotidiana sobrietà.
Ogni più piccolo segnale di dolore s’accomuna al nostro e ogni gemito e sospiro diventa tutt’uno col nostro patire che la terra è sottoposta a violenza, che i miti sono sopraffatti e che di ingiustizia sono intrisi i nostri rapporti.
Questo compatire si fa com-partire.
E nella strada che parte dall’avvertire che stiamo partecipando del dolore fino ad arrivare a partecipare lo stesso cammino ci sta di mezzo il com- partire i sogni gli uni degli altri e contaminare i propri con gli altrui.
La compassione non è un buon sentimento, un po’ inerte e un po’ dolciastro: può portare ad ospitare un lupo nel cuore accanto a quello che ulula in noi e trasformarli entrambi in cantori della bellezza della luna. E questo è il caso in cui la compassione è legna per il buon fuoco dell’indignazione e della lotta per le trasformazioni attorno, quando le cose attorno hanno il virus dell’ingiustizia.
Altre volte la compassione si declina con la compagnia discreta a se stessi, con l’assunzione silenziosa nel laboratorio alchemico delle trasformazioni profonde e sottili che ci fanno fare passi verso l’armonizzazione di sé.
Lotta non meno ardua contro il virus dell’intolleranza che vorrebbe cancellare in noi parti di noi, piuttosto che fermarsi a dar loro nome e volto, e guardarle con tenerezza e trasformarle.
Eva
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