La lettera di una suora, arrivata in Redazione, descrive il disagio che si vive in tante comunità religiose; pone l’accento su una crisi che attraversa un po’ tutte le comunità e investe le motivazioni di fondo di una scelta e la qualità delle relazioni. La lettera sembra fotografare anche la vita di tante comunità parrocchiali impegnate in mille attività in cui conta sempre più il ‘fare’ rispetto all”essere’, in cui non c’è più tempo per vivere l’accoglienza reciproca; sembra anche fotografare la vita di tante famiglie in cui non c’è più spazio per l’ascolto, in cui la comunicazione è ridotta spesso a semplice comunicazione di servizio trasmessa via telematica da pc collegati in rete.
A mio parere il problema più grave delle comunità religiose oggi riguarda la qualità della vita comunitaria. Sembrano perse o si danno per scontate le motivazioni che hanno portato delle persone a vivere insieme senza legami di sangue.
Spesso la vita comunitaria si riduce ad una vita di azienda, la comunità diventa un luogo di incontri frettolosi e insignificanti, dettati dalla necessità.
La crisi è anche di carattere relazionale…non si intravede nemmeno quella attenzione alla persona che accordiamo fuori casa a gente che nemmeno conosciamo: facilmente si giudica e si etichetta, spesso liquidando i problemi con atteggiamenti da cultori di un tenace moralismo.
Non si affrontano i problemi di fondo, non si suppongono neanche, non si vogliono conoscere perchè questo richiederebbe tempo e ribaltamento di criteri.
Più sbrigativo è mettere un cerotto sulla piaga.
Mi dico spesso: Quanto sarebbe più efficace se cordialmente chiedessimo a chi è in disagio: “Che cosa ti fa soffrire?”
Mi sembra che domini in tutti soprattutto la paura……..paura di condividere, paura di cambiare, paura di perdere, di non essere considerati, paura di perdere prestigio, di diventare nessuno, paura di soffrire alla fine. Il nuovo soprattutto fa paura ……
Tutto questo richiederebbe una profonda riflessione e una revisione personale e comunitaria… invece si viene risucchiati dalle cose da fare o ci si compensa con cariche o surrogati.
Mi sembra che il problema delle Comunità sia oggi prioritario: siamo un po’ al si salvi chi può.
Gli ambienti risultano poco significativi anche alle stesse persone che li abitano…tuttavia continuiamo a proporli agli altri nella nostra attività apostolica.
I giovani oggi cercano luoghi alternativi di pace, di dialogo, di fraternità… luoghi dove, di fatto, si sperimenti la Carità, la libertà, il senso di appartenenza, la disponibilità al perdono …luoghi abitati da una Presenza, quella di Cristo, che sempre promuove e da vita.
S. Teresa diceva che le Comunità dovevano essere uno scampolo di mondo dove Cristo si sentiva a casa sua.
E’ arrivato il tempo di cambiare e forse già, sotto l’incalzare degli avvenimenti, qualcosa sta cambiando, ma troppo lentamente rispetto all’urgenza e al bisogno.
Etty Hillesum afferma che se fosse sopravvissuta avrebbe creato un mondo diverso, prima conquistato in se se stessa.
Per quanto mi riguarda penso di continuare il lavoro su me stessa nella linea difficile ma richiesta: l’abbandono! Ai piccoli sono rivelati i misteri del Regno.
A questo si aggiunge che migliorando le relazioni, non con astute alchimie ma con la preghiera, si può sperare che qualcosa intorno a noi cambi.
Grazie per avermi ascoltata. suor Vesna
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