E’ in libreria l’ultimo libro di M. Guzzi “Yoga e preghiera cristiana – Percorsi di liberazione interiore” – Ed. Paoline 2009
http://www.marcoguzzi.it/index.php3?cat=libri/crocevia.php
Liberazione Interiore -> Trasformazione del Mondo
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«Colui che ha questa speranza non potrà mai adattarsi alle leggi e alle fatalità ineluttabili di questa terra […]. La speranza non rende l’uomo tranquillo, ma inquieto, non paziente ma impaziente. Essa non placa il cor inquietum ma è essa stessa questo cor inquietum nell’uomo.»
Jürgen Moltmann, Teologia della Speranza
Scelgo di pubblicare e condividere con voi questo brevissimo stralcio, tratto dalla principale opera del teologo luterano Jürgen Moltmann, Teologia della Speranza, perché mi pare che – in un tempo di strana reviviscenza di antagonismi chiassosi (ma assai poco seri) sul tema della fede e dell’ateismo, tra nostalgie restauratrici in campo cattolico e furori giacobini in campo ateo – ci aiuti a fare chiarezza sullo specifico contenuto esistenziale del credere. In fondo, mi trovavo qualche giorno fa a pensare, non c’è davvero molta differenza tra l’ateismo a buon mercato di Odifreddi e il dogmatismo reazionario della Fraternità di San Pio X: entrambi esprimono un infantilismo spirituale, che coincide col grado zero della riflessione critica e – anche – col grado zero della speranza. Il fondamentalista e il nichilista (alla Odifreddi, naturalmente) hanno questo in comune: non si attendono nulla dal futuro. Nessuna prospettiva di senso, nessuna cornice che interconnetta le diverse dimensione dell’esistenza, nessuna “direzione di marcia”. Ecco perché, permettetemi la polemica, i cosiddetti lefebvreiani dimostrano di essere, malgado tutto il loro arruginito armamentario medioevale, figli della parte più sventurata della nostra epoca. Sono in fondo, gli uni e gli altri, dei depressi. Ciò che oggi è serio invece è ricominciare a sperare. Partorire una speranza degna di questo nome, capace di interconnettere le parti che ci costituiscono, l’interno e l’esterno, lo spirito e il corpo, il pubblico e il privato, il collettivo e l’individuale, è il lavoro del nostro tempo. Come scriveveva Ernst Bloch, oggi “l’importante è imparare a sperare”.
Perciò mi e vi chiedo: cosa possiamo sperare? Cosa ci motiva, nel senso etimologico del termine: cioè cosa ci muove, quale motivo ha oggi sufficiente energie da sposare i nostri corpi e i nostri spiriti appesantiti di vecchi occidentali disincantati? Si attendono risposte…
«Dio, devo vedere il tuo volto questa mattina, il Tuo Volto attraverso i vetri polverosi della finestra, fra il vapore e il furore; devo sentire la tua voce sopra il clangore della metropoli. Sono stanco, Dio. Non riesco a scorgere il tuo volto in questa storia».
Lo scrittore americano Jack Keruoac, l’autore di On the road, il poeta maledetto della Beat Generation, scriveva queste parole a 26 anni nei suoi Diari. Questa ricerca del Volto nella storia segna da sempre e misteriosamente la vita di ogni uomo, credente o non credente. Proprio a questo tema è dedicata la settimana culturale-formativa organizzata dalla parrocchia San Frumenzio di Roma, ai Prati fiscali, dal 2 al 7 febbraio. Tre conferenze, due laboratori e un concerto gospel per riflettere su “l’umanità di Gesù come porta di accesso al mistero di Dio”.
Si inizia lunedì sera – 2 febbraio, dalle 19 alle 21 – con un incontro sul volto storico di Gesù (“L’Enigma Gesù. Il volto di Cristo tra fede e storia“). La professoressa Emanuela Prinzivalli, docente di storia del cristianesimo alla Sapienza di Roma, presenta i risultati della ricerca storica più recente. Sullo sfondo, i tanti libri usciti negli ultimi anni, che hanno suscitato polemiche testimoniando l’interesse del pubblico per questo tema. Si replica il giorno dopo, alla stessa ora, per i ragazzi delle scuole superiori: “Domande su Gesù”. E’ il primo dei 2 laboratori previsti nel corso della settimana.
Mercoledì sera, 4 febbraio, sarà la volta di Luigi Accattoli, vaticanista del Corriere delle Sera, che racconterà “Il volto di Gesù riflesso dai media e incontrato tra la gente“. L’orario è sempre dalle 19 alle 21.
Venerdì sera, 6 febbraio, “Il volto di Gesù nel Cinema“. Come il Cinema ha immaginato e rappresentato il volto del Cristo, da Zeffirelli a Pasolini. Interviene il professore Dario Edoardo Viganò, presidente dell’Ente dello Spettacolo, la fondazione che cura la rivista Cinematografo.
Infine la giornata di sabato 7 febbraio. Nel pomeriggio, dalle 17 alle 19, un laboratorio per gli appassionati di storia dell’arte: il volto di Gesù nelle immagini devozionali della Roma del ‘600. A guidarlo due storici dell’arte, Marco Lattanzi e Marica Mercalli.
La sera, in Chiesa, a partire dalle ore 21, si conclude la settimana con il concerto gospel del coro “The soul singers“, i cantanti dell’anima, perché “anche il canto e la musica sono un modo per incontrare il volto di Dio”. L’ingresso è libero. Si raccoglieranno offerte per la missione in Madagascar di Padre Pedro.
Filo conduttore di tutti gli incontri sarà la domanda che Gesù pone agli apostoli nel Vangelo di Marco – Voi chi dite che io sia? – che diventa, per ciascuno: tu chi dici che io sia? chi sono io per te?
Qualcuno ha già provato a rispondere. Potete leggere qui (http://www.sanfrumenzio.org/servizi/post_all.asp) le prime risposte. E qui (http://www.sanfrumenzio.org/servizi/area.asp), se volete, potete scrivere le vostre. Oppure, se preferite e ne avete voglia, provate a rispondere commentando questo post.
Tu chi dici che io sia? Chi sono per te?
A cosa può servire la vita spirituale? Cosa può darci una persona che si dedichi alla contemplazione? Cosa possiamo ottenere noi stessi offrendo una parte del nostro tempo alle pratiche di meditazione e di preghiera profonda?
Thomas Merton ce lo indica con semplicità: una esperienza.
L’esperienza, ogni giorno nuova, di un altro modo di essere, di sentire, e di vedere rispetto alle modalità ordinarie in cui spesso siamo imprigionati.
L’esperienza contemplativa è in realtà ciò che ogni essere umano desidera con tutto il cuore, anche quando la nega: una relazione assoluta, e cioè sciolta dai legacci del nostro passato, con l’Assoluto.
Ogni essere umano cerca infatti questa relazione, perché è questa relazione: ognuno di noi, ogni io umano è in se stesso un’apertura totale all’Assoluto, un’apertura infinita che solo aprendosi consapevolmente all’Infinito trova la propria misura.
Perciò siamo liberi, ed è la libertà il mistero più grande che connota, caratterizza, e definisce la nostra essenza spirituale.
Che cosa ne pensate? Cosa vi ispirano le parole di Merton? Quali emozioni o quali esperienze personali evocano in voi? Allarghiamo la nostra conversazione anche su quest’onda invisibile di cuori che è Internet.
Sempre più spesso rifletto sul fatto che ogni nostro pensiero o azione sono mossi dal nostro ego, che ormai sappiamo quanto sia alienato.
Non facciamo mai uno sforzo per allontanarci e guardarci dal di fuori.
Solo così potremmo vedere quanto siamo piccoli e quanto piccoli siano i nostri problemi.
Se riuscissimo tutti a spostarci vedremmo finalmente gli altri come parte di noi e tutti insieme parte di un unico infinito.
Quindi solo nella relazione e condivisione con l’altro compiamo la nostra fondamentale missione di vita.
La lettera di una suora, arrivata in Redazione, descrive il disagio che si vive in tante comunità religiose; pone l’accento su una crisi che attraversa un po’ tutte le comunità e investe le motivazioni di fondo di una scelta e la qualità delle relazioni. La lettera sembra fotografare anche la vita di tante comunità parrocchiali impegnate in mille attività in cui conta sempre più il ‘fare’ rispetto all”essere’, in cui non c’è più tempo per vivere l’accoglienza reciproca; sembra anche fotografare la vita di tante famiglie in cui non c’è più spazio per l’ascolto, in cui la comunicazione è ridotta spesso a semplice comunicazione di servizio trasmessa via telematica da pc collegati in rete.
A mio parere il problema più grave delle comunità religiose oggi riguarda la qualità della vita comunitaria. Sembrano perse o si danno per scontate le motivazioni che hanno portato delle persone a vivere insieme senza legami di sangue.
Spesso la vita comunitaria si riduce ad una vita di azienda, la comunità diventa un luogo di incontri frettolosi e insignificanti, dettati dalla necessità.
La crisi è anche di carattere relazionale…non si intravede nemmeno quella attenzione alla persona che accordiamo fuori casa a gente che nemmeno conosciamo: facilmente si giudica e si etichetta, spesso liquidando i problemi con atteggiamenti da cultori di un tenace moralismo.
Non si affrontano i problemi di fondo, non si suppongono neanche, non si vogliono conoscere perchè questo richiederebbe tempo e ribaltamento di criteri.
Più sbrigativo è mettere un cerotto sulla piaga.
Mi dico spesso: Quanto sarebbe più efficace se cordialmente chiedessimo a chi è in disagio: “Che cosa ti fa soffrire?”
Mi sembra che domini in tutti soprattutto la paura……..paura di condividere, paura di cambiare, paura di perdere, di non essere considerati, paura di perdere prestigio, di diventare nessuno, paura di soffrire alla fine. Il nuovo soprattutto fa paura ……
Tutto questo richiederebbe una profonda riflessione e una revisione personale e comunitaria… invece si viene risucchiati dalle cose da fare o ci si compensa con cariche o surrogati.
Mi sembra che il problema delle Comunità sia oggi prioritario: siamo un po’ al si salvi chi può.
Gli ambienti risultano poco significativi anche alle stesse persone che li abitano…tuttavia continuiamo a proporli agli altri nella nostra attività apostolica.
I giovani oggi cercano luoghi alternativi di pace, di dialogo, di fraternità… luoghi dove, di fatto, si sperimenti la Carità, la libertà, il senso di appartenenza, la disponibilità al perdono …luoghi abitati da una Presenza, quella di Cristo, che sempre promuove e da vita.
S. Teresa diceva che le Comunità dovevano essere uno scampolo di mondo dove Cristo si sentiva a casa sua.
E’ arrivato il tempo di cambiare e forse già, sotto l’incalzare degli avvenimenti, qualcosa sta cambiando, ma troppo lentamente rispetto all’urgenza e al bisogno.
Etty Hillesum afferma che se fosse sopravvissuta avrebbe creato un mondo diverso, prima conquistato in se se stessa.
Per quanto mi riguarda penso di continuare il lavoro su me stessa nella linea difficile ma richiesta: l’abbandono! Ai piccoli sono rivelati i misteri del Regno.
A questo si aggiunge che migliorando le relazioni, non con astute alchimie ma con la preghiera, si può sperare che qualcosa intorno a noi cambi.
Grazie per avermi ascoltata. suor Vesna
Hai mai sentito piangere l’auriga?
È un canto. Il giovane
rinasce ad ogni istante
in me, e mi richiede
quello che ho perduto.
Le briglie mi tolgono il respiro
d’animale, il morso
insanguina le bave
del galoppo.
Se non son io, è lui
l’eterno me.
Marco Guzzi, Teatro Cattolico, 1991
C’è un giovane dentro di me, un principio originario di vita, un principe.
Il suo richiamo è un pianto perché non è ascoltato.
E’ un canto quando riesco a sentirlo, a riconoscerne la voce di sorgente.
Allora appare la sua figura e, richiedendomi la dignità perduta, me la ridona, fa sì che me ne possa riappropriare.
E’ desiderio puro, forza allo stato germinale: una guida potente e regale capace di governare le energie furibonde e incontenibili che mi attraversano.
Se diserto, lui mantiene la postazione; se mi nascondo e fuggo, lui continua ad esporsi; se dimentico chi sono, lui resta fedele all’immagine perfetta che eternamente mi rigenera.
Gaetano Previati, Il carro del sole, 1907
Di M.C.
Vorrei segnalare un libro che per chi segue i corsi di Darsi pace dovrebbe risultare familiare. Lo ha scritto Alessandro Zaccuri, giornalista dell’Avvenire, l’ha pubblicato Bompiani e si intitola “In terra sconsacrata – Perché l’immaginario è ancora cristiano”. In sostanza, scrive l’autore, tutto l’immaginario contemporaneo, dal linguaggio della tv, dei giornali, della politica, compreso quello delle personalità più lontane dalla religione (o addirittura atee), è nutrito in modo profondo da temi e situazioni che per secoli sono stati al centro della tradizione cristiana. Anche se pochi se ne accorgono.
Si tratta di un sapere carico di simboli, concetti, immagini, situazioni, parole che i grandi artisti del passato hanno illustrato nelle opere presenti dentro le chiese e che ora vengono saccheggiati dai più svariati generi del racconto popolare, compresi – secondo Zaccuri – i film horror, quelli pornografici e i videogiochi splatter. Anche a chi è lontano dal Vangelo, dunque, l’immaginario creato dalla tradizione cristiana continua a esprimere qualcosa di essenziale.
Qualche esempio presente nel libro??La tomba che Dracula diserta ogni notte e il sepolcro che Maria Maddalena scopre vuoto la mattina di Pasqua, Il Codice Da Vinci e la Commedia di Dante, Matrix e le dottrine dello gnosticismo, l’estasi spirituale di santa Teresa d’Avila e la “piccola morte” erotica ossessivamente celebrata nei recessi di Internet. Ma anche la montagna al centro dell’isola di Lost, che somiglia così tanto al Purgatorio (così come i nomi dei personaggi, legati al vecchio e al nuovo Testamento). O un videogioco horror come Silent Hill. Addirittura la dichiarazione di un campione di motociclismo, che dopo aver ricevuto l’ispezione del fisco, ha dichiarato: “Mi hanno crocifisso”.
“Intrecciando fra loro – osserva l’autore – la critica letteraria, la riflessione teologica e i prodotti più astuti o consapevoli della narrativa pop, questo libro si presenta come un atto di sfida a ogni pretesa riduzionista – se non addirittura denigratoria – dell’esperienza cristiana.?Nella certezza, fra l’altro, che per avvicinarsi al mistero di Dio la poesia può rivelarsi molto più esatta della scienza”.
Vi allego il link al programma fahrenight, su Radio Tre, con l’intervista ad Alessandro Zaccuri (che comincia dopo i saluti del conduttore).
http://www.radio.rai.it/radio3/fahrenheit/mostra_evento.cfm?Q_EV_ID=272689
Ero presente al tuo concepimento
Nell’adrenalina della vergogna di tua madre
Mi sentivi nel fluido del ventre di tua madre
Venni a te prima che tu potessi parlare
Prima che tu potessi capire
Prima che tu potessi sapere
Venni a te quando stavi imparando a camminare
Quando eri senza protezione ed esposto
Quando eri vulnerabile e bisognoso
Prima che tu possedessi qualsiasi protezione
Il mio nome è vergogna tossica.
Venni a te quando eri magico
Prima che tu potessi conoscere la mia esistenza
Ho danneggiato la tua anima
Sono penetrata nel tuo cuore
Ho evocato in te la sensazione di essere pieno di difetti
Ho fatto sorgere in te sensazioni di sfiducia, bruttezza, stupidità, inferiorità, indegnità, inutilità
Ti ho fatto sentire diverso
Ti ho detto che in te c’era qualcosa di sbagliato
Ho sporcato la tua somiglianza a Dio
Il mio nome è vergogna tossica.
Esistevo prima della coscienza
Prima della colpa
Prima della moralità
Sono l’emozione principale
Sono la voce interiore che bisbiglia parole di condanna
Sono il brivido interno che ti attraversa senza alcuna preparazione mentale
Il mio nome è vergogna tossica.
Vivo nella segretezza
Dell’oscurità, della depressione e della disperazione
Riesco sempre a strisciare furtivamente su di te, a coglierti di sorpresa, a entrare dalla porta di servizio
Non invitata, non desiderata
La prima ad arrivare
Ero presente all’inizio del tempo
Con Padre Adamo, Madre Eva
Con fratello Caino
Ero presente alla torre di Babele, alla Strage degli Innocenti
Il mio nome è vergogna tossica.
Vengo da tutori «senza vergogna», dall’abbandono, dalle beffe, dall’abuso, dalle negligenze, dai sistemi perfezionisti
Sono rafforzata dall’intensità scioccante dell’ira di un genitore
Dalle osservazioni crudeli dei fratelli
Dall’umiliazione degli altri bambini
Dal brutto riflesso negli specchi
Dalle carezze sgradevoli e spaventose
Dallo schiaffo, dal pizzicotto e dallo strattone che distruggono la fiducia.
Sono intensificata da
Una cultura razzista e sessista
Dall’ipocrita condanna dei bigotti religiosi
Dalla paura delle pressioni dell’educazione
Dall’ipocrisia dei politici
Dalla vergogna multigenerazionale di sistemi famigliari malati e corrotti
Il mio nome è vergogna tossica.
Posso trasformare una donna, un ebreo, un nero, un omosessuale, un orientale, un bambino prezioso in
Una puttana, uno sporco ebreo, un negro, un finocchio, un muso giallo e un piccolo bastardo egoista
Posso provocare un dolore cronico
Un dolore che non passa
Sono il cacciatore che ti segue giorno e notte
Ogni giorno ovunque
Non ho limiti
Cerchi di nasconderti da me
Ma non puoi perché vivo dentro di te
Ti faccio sentire senza speranza
Come se non avessi via d’uscita
Il mio nome è vergogna tossica.
Il mio dolore è così insopportabile che devi passarmi ad altri attraverso il controllo, il perfezionismo, il disprezzo, la critica, le beffe, l’invidia, il giudizio, il potere e l’ira
Il mio dolore è così intenso
Che devi coprirmi con dipendenze, regole rigide, ripetizioni di esperienze vissute e difese inconsce
Il mio dolore è così intenso
Che devi lasciarti stordire per non sentirmi più.
Ti ho convinto che me ne sono andata, che non esisto, hai sperimentato la mia assenza e il mio vuoto
Il mio nome è vergogna tossica.
Sono l’anima della co-dipendenza
Sono la bancarotta spirituale
La logica dell’assurdo
La coazione a ripetere
Sono il crimine, la violenza, l’incesto e lo stupro
Sono il vuoto vorace che alimenta tutte le dipendenze
Sono l’insaziabilità e la lussuria
Sono Ahaverus l’Ebreo errante, l’Olandese Volante di Wagner, l’Uomo del sottosuolo di Dostoevskij, il seduttore di Kierkegaard, il Faust di Goethe
Trasformo l’«essere» nel fare e nell’avere
Uccido la tua anima e tu mi trasmetti per generazioni
Il mio nome è vergogna tossica.
(J.Bradshaw, Come ritrovarsi, 1990)
Questo brano di Bradshaw rende visibile un’emozione della quale raramente si parla.
Se ne conoscono le manifestazioni, principalmente la paura, ma l’emozione stessa resta nascosta.
La vergogna infatti porta a nascondersi e a nascondere.
“Ho avuto paura perché sono nudo e mi sono nascosto” (Gen. 3,10)
Adamo mostra consapevolezza della sua paura, ma non della sua vergogna.
Nascondere la propria nudità diventa, dopo il peccato di origine, un fatto costitutivo dell’essere umano. La vergogna viene negata, resta il più delle volte inconsapevole, mentre si manifestano in forma amplificata le emozioni che genera: soprattutto paura, rabbia, depressione.
Gran parte della nostra esperienza interpersonale ruota intorno all’asse della vergogna.
Esistono sistemi familiari, sociali, politici, fondati sulla vergogna.
La paura generalizzata che viviamo nel nostro tempo, le improvvise e apparentemente immotivate esplosioni di violenza, la depressione che contagia tutti, sono forse spie di questa emozione nascosta?
Dove vuole condurci questa emozione?
Possiamo farcela amica e farci svelare qualcosa?
La vergogna mi riporta all’origine, allo strappo, alla scissione iniziale che ci ha abbandonati a noi stessi, esposti allo sguardo accusatore del maligno.
“Allora si aprirono i loro occhi e si accorsero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture” (Gen.3,7)
Il bisogno di nascondere la sua ‘nudità’ si insinua nell’uomo dopo la dis-obbedienza, dopo aver ascoltato un’altra voce che gli suggerisce di fissare lo sguardo su di sé anziché su Dio, di entrare in competizione con Dio.
Fuori dello sguardo amorevole di Dio l’uomo non ode più le parole di bene-dizione che costituiscono il suo essere: “Tu sei il figlio mio, l’amato, il prediletto”.
Esposto all’occhio accusatore del maligno l’uomo ascolta parole male-dette che gli ricordano la sua intrinseca inconsistenza; egli si ‘vede’, vede la sua fragilità, ma non può accoglierla, deve anzi negarla, nasconderla anche a se stesso, perché insegue il sogno orgoglioso dell’ autosufficienza, di un Sé grandioso e onnipotente.
Il maligno giudica e accusa, gli pone continuamente davanti l’immagine di autosufficienza, di grandiosità onnipotente che non riesce a realizzare, lo convince che può essere amato solo a condizione di non essere ciò che realmente è.
Allora l’uomo bisognoso di amore diventa schiavo del giudizio e dell’approvazione del mondo.
Allora deve nascondere a sé e agli altri la verità di sé stesso, la propria intrinseca fragilità.
Allora deve costruire sistemi difensivi sempre pi&u
grave; potenti e sofisticati.
E’ la storia dell’Io ferito dal peccato, la storia di tutti i mascheramenti, le strategie e i sistemi di difesa personali e planetari che ha generato.
Solo con l’aiuto della grazia si possono visitare le stanze della vergogna.
Solo ascoltando le parole che mi ripetono: “Tu sei mio figlio, l’amato, il prediletto”, posso prendere contatto con la mia miseria senza restarne annichilita.
Solo facendo esperienza di un amore che mi ama follemente così come sono posso accogliermi ed amarmi anch’io così come sono e far cadere tutti i mascheramenti e le difese.
Allora anche gli altri potranno far cadere le loro maschere.
Allora finalmente ci riconosceremo tutti fratelli.
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