La situazione
I dati statistici sulla situazione della popolazione mondiale oggi e le proiezioni per i prossimi decenni ci presentano un quadro allarmante che giustifica lo stato di paura generalizzato. Attualmente la popolazione mondiale ammonta a circa 6,7 miliardi, con una crescita annua di circa 80 milioni di persone. Di questi quasi 5,5 miliardi, vivono nei Paesi in Via di Sviluppo.
Un miliardo e mezzo di persone vivono sotto la soglia di povertà (meno di un dollaro al giorno); un miliardo vive in baraccopoli. La sperequazione del reddito è spaventosa: il 2% della popolazione mondiale possiede la metà della ricchezza mondiale.
Le proiezioni al 2050 prevedono una popolazione mondiale di 9,2 miliardi di cui 8 miliardi nei Paesi in Via di Sviluppo. I Paesi a Sviluppo Avanzato rappresenteranno solo il 13% della popolazione mondiale. In Europa si prevede un calo demografico di circa 70 milioni (con 66 milioni di lavoratori in meno) e un aumento di migranti di circa 103 milioni, di cui 6-7 milioni in Italia.
Leggere i segni
Un vero e proprio tsunami umano sta per riversarsi sul nostro Paese: già da tempo si registrano onde anomale alle quali si risponde con rimedi estemporanei di difesa. Ma per arginare l’onda umana gigantesca che sta per arrivare basterà militarizzare le strade delle nostre città e i mari del nostro paese? Miliardi di disperati che cercano un’occasione di vita potranno essere fermati da soluzioni dettate dalla paura?
C’è un senso più profondo in quello che sta accadendo? Occorre allargare lo sguardo ad orizzonti più ampi e chiedersi: L’umanità a che punto è della sua evoluzione? I sintomi che manifesta sono travaglio di crescita o processo di decomposizione? Dobbiamo preparare una bara, una culla, o entrambe? Cosa sta morendo? Cosa dobbiamo lasciare morire? Cosa cerca di nascere? Cosa dobbiamo aiutare a nascere?
E ancora: Cosa significano gli esodi di massa, le migrazioni di interi popoli? Ciò che appare una catastrofe è forse l’alba della nostra liberazione?
Ci troviamo ad un punto di svolta.
Ogni epoca storica ha un compito evolutivo da realizzare. Quale compito l’umanità è chiamata a realizzare in quest’epoca storica? L’ontogenesi riproduce la filogenesi: osservando il cammino evolutivo del bambino possiamo comprendere il cammino evolutivo dell’intera umanità.
L’umanità sembra affrontare oggi il passaggio dall’età adolescenziale all’età adulta e vive tutto il travaglio, le paure, le angosce tipiche di questo passaggio.
Per difendersi dal dolore del cambiamento -come un adolescente che rifiuta di crescere- sta attivando ogni difesa possibile, ma il passaggio è inevitabile, è come iscritto nel suo DNA.
O l’umanità imparerà la lezione necessaria al suo passaggio evolutivo, imparerà cioè ad uscire dal suo egoismo, dallo stato ego-centrato, illusorio, bellico, oppure si autodistruggerà.
Vivere è condividere: sembra questa la lezione da apprendere nel nostro tempo per superare l’esame di maturità. I compromessi, le mezze misure, le alternative egoiche, tutto ciò che in epoche precedenti era ancora possibile oggi non è più ammesso. La recente crisi del sistema finanziario ne è la conferma. In un mondo sempre più globalizzato non è più consentito vivere per sé, perseguire unicamente i propri interessi ignorando le necessità degli altri, dell’altro a me ‘prossimo’. Globalizzare la solidarietà sembra l’unica strategia di sopravvivenza concessa all’umanità.
Ciò che prima realizzavano solo i ‘santi’ oggi è richiesto inevitabilmente ad ogni donna e ogni uomo del nostro tempo. L’umanità sembra posta davanti ad una scelta finale: scegliere di amare e conservare così la vita o perseverare nell’egoismo e votarsi all’autodistruzione.
Tsunami umano: esame di maturità.
Forse allora il fenomeno migratorio di massa è allo stesso tempo lezione del giorno e indicazione del compito da svolgere. Questo esodo planetario che porta milioni di persone a mettersi in cammino nella speranza di una liberazione dalla fame, dalla guerra, dalle persecuzioni, vincendo la paura dell’ignoto, affrontando rischi spesso mortali, è come una lezione a cielo aperto, come una rappresentazione su uno schermo planetario di un cammino cui l’umanità (=ogni donna e ogni uomo del nostro tempo) viene chiamata per entrare nella maturità e realizzare la sua vera identità.
I milioni di immigrati in fuga dalle varie forme di schiavitù che li opprimono nei loro paesi sono per noi invito alla liberazione: ci dicono che il tempo è compiuto, che l’alba della liberazione è vicina, che bisogna essere disposti a lasciare tutto, a rischiare anche la propria vita per conquistare l’autentica libertà. Sono un invito a metterci anche noi in cammino, a liberarci di tutti i fardelli che rendono pesante e triste il nostro passo.
Sono l’occasione che ci viene offerta per fare tirocinio sulla lezione del giorno, per crescere nella capacità di amare, per fare delle nostre comunità grandi reti di accoglienza. Essi stessi diventano per noi strumento di liberazione da tutte quelle catene che ci tengono in cattività e ci rendono quindi cattivi, carichi di paura esplosiva. Sono il nostro esame di maturità.
Divenire umanità adulta, imparare a ‘lasciare’, a non rimanere ‘attaccati’ a ciò su cui abbiamo fondato le nostre sicurezze e la nostra stessa identità, imparare ad accogliere e dialogare con il ‘diverso’ da noi, imparare a con-dividere, richiede un personale, lungo, paziente lavoro di con-versione, lavoro facilitato all’interno di piccoli gruppi di trasformazione/liberazione.
La nuova umanità autenticamente libera, capace di amare e condividere, preme per nascere in ognuno di noi. Il gruppo Darsi Pace è come una piccola sala parto di questa nuova umanità. E’ una palestra in cui imparo con dolcezza ad accogliere e a lasciar andare, a non attaccarmi; in cui imparo a non aver paura della mia paura ma ad accogliere anch’essa con un sorriso, a farla mia amica, a farmi condurre verso il ‘mio’ tesoro, il tesoro cui ho ‘attaccato’ e legato il mio cuore.
Darsi Pace è un piccolo laboratorio in cui imparo l’arte del dialogo con un tu diverso da me; in cui imparo a fare esperienza di accoglienza verso me stessa (le parti rimosse di me che tendo a proiettare all’esterno) e verso gli altri; in cui imparo ad allentare le mie corazze, ad aprire feritoie nella mia torretta di orgogliosa autosufficienza, e ad accettare/accogliere la mia fragilità come la mia unica autentica forza., perché –come mi ricorda S. Paolo- “quando sono debole è allora che sono forte”.
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