Da lettore e da scrittore spesso mi chiedo se ci sia un limite alla rappresentazione del Male; e se sì, dove tale limite possa situarsi.
L’interrogativo è pertinente in un tempo come il nostro, ove la cronaca assume i contorni dell’orrore di pari passo a una cultura che rimuove la presenza della morte. In un certo senso assistiamo a un movimento duplice e contraddittorio: 1) la morte non esiste; 2) esiste una cronaca della morte (buon ultimi, i casi mediaticamente ossessivi di Sara e Yara).
Una dinamica del genere procura sofferenze spirituali profonde e spesso, temo, inconsapevoli; e credo che tale fenomeno riguardi più o meno tutti noi.
In tale scenario qual è il compito della letteratura? Quale il suo potere? Ha ancora senso parlare a proposito d’un’opera letteraria di catarsi, come faceva Aristotele? Ne ha meno di prima? Ne ha più di prima? [Leggi di più…]
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